Non sentono il peso dell’età e ancora oggi, nonostante l’avvento del digitale, sono tra gli accessori più apprezzati da fotografi paesaggisti e non. Sono i filtri fotografici e gli aggiuntivi ottici.
Uno dei luoghi comuni in tempi di digitale è che i filtri fotografici in ripresa siano diventati superflui, perché ogni loro azione può essere emulata in postproduzione, con i programmi di fotoritocco. L’affermazione è vera solo in parte, perché se gli automatismi per il bilanciamento del bianco e della temperatura colore – anche selettiva – e per l’ottimizzazione del contrasto hanno reso in effetti superfluo l’impiego di alcuni filtri come quelli colorati e i soft focus, resta ancora piuttosto complicato, per non dire impossibile, replicare digitalmente gli effetti ottenibili utilizzando, per esempio, un polarizzatore o un ND in fase di ripresa. Le due tipologie di filtri fotografici appena citate, infatti, sono fra quelle che definiamo “intramontabili”, e sono in compagnia degli UV, che svolgono anche la preziosa funzione di proteggere la lente frontale. Con una piccola forzatura tecnica abbiamo deciso di includere in questa rassegna anche le lenti close-up, ossia degli aggiuntivi ottici, che in comune con i filtri “puri” hanno la modalità di utilizzo (si avvitano davanti all’obiettivo), ma hanno azione diversa poiché non influiscono soltanto sullo spettro luminoso ma anche sulle caratteristiche ottiche del sistema di ripresa: in mancanza di un obiettivo macro vero e proprio, queste lenti restano tra le più valide ed economiche alternative per realizzare scatti a distanza ravvicinata con obiettivi non specialistici.
Tabella dei Contenuti
I filtri fotografici: circolari o a lastre
In questo servizio abbiamo deciso di concentrarci sui filtri fotografici di forma circolare, i più classici e anche i più facili da usare, giacché non necessitano di accessori di supporto (al contrario di quelli a lastra) ma si avvitano direttamente sulla filettatura presente nella parte frontale dell’obiettivo: unica prevedibile precauzione è di acquistarli del diametro adatto all’ottica assieme alla quale si intende utilizzarli. I filtri di migliore qualità sono quelli realizzati in vetro ottico (proprio come le lenti degli obiettivi), e trattati con rivestimenti speciali il cui scopo è minimizzare la comparsa di riflessi e artefatti: l’ottica insegna che l’aggiunta di una superficie aria-vetro intacca la resa di qualsiasi complesso di ripresa, e per questo è importante scegliere filtri di alta gamma.
Il filtro UV
Il filtro UV è trattato per intercettare e schermare la componente ultravioletta della luce, che può generare l’effetto “azzurrognolo” nelle riprese in forte luce diurna. Tipicamente, è quanto accade in quota, in presenza di cielo terso e clima rigido, ancor più se nella scena è presente della neve, elemento che riflette fino all’80% degli UV presenti nell’atmosfera.
Sebbene i sensori delle attuali fotocamere digitali siano meno sensibili agli UV rispetto alle pellicole, il fenomeno è comunque percettibile. Inoltre, sembra che i filtri UV rendano meno evidente la componente azzurrina delle aberrazioni cromatiche assiali degli obiettivi.
Infine, poiché i filtri UV sono progettati per non sottrarre luce al sensore, possono anche essere usati a protezione della lente frontale dell’ottica, per evitare che gli agenti atmosferici o la sbadataggine del fotografo possano danneggiarla.
I filtri fotografici tondi di grande diametro sono più costosi di quelli piccoli, ma in alcuni casi comprare un solo filtro oversize può essere conveniente. Poniamo, ad esempio, che il nostro corredo comprenda obiettivi con montature portafiltri di misura differente: per esempio 49, 62 e 72mm. In questo caso, il filtro da 49mm sarebbe la soluzione più economica, ma non potremmo utilizzarlo su tutte le ottiche. Cosa che invece è possibile con il filtro da 72mm, adattabile a obiettivi di diametro inferiore tramite anelli di raccordo dedicati proprio a questo scopo, e quindi “universale” all’interno del nostro corredo. Gli anelli adattatori per filtri sono accessori molto economici e privi di controindicazioni, se escludiamo la probabile impossibilità di applicare il paraluce e il rischio di vignettatura qualora abbinati a ottiche grandangolari estremamente spinte (ma quest’ultima considerazione vale pure per i filtri installati direttamente senza anello, quindi nel caso controllate sempre per bene i bordi della scena inquadrata).
Il filtro polarizzatore
La luce vibra su piani infiniti, ma in determinate condizioni alcune superfici – per esempio l’acqua oppure il vetro – riescono a polarizzarla, ossia a farla vibrare su un solo piano: è così che si formano i riflessi. Il filtro polarizzatore (che, più correttamente, dovrebbe chiamarsi de-polarizzatore) riesce a fermare la luce polarizzata e, dunque, ad attenuare quando non a eliminare del tutto i riflessi. Per ottenere il suo effetto, il filtro va orientato opportunamente mentre si controlla il risultato nel mirino o a monitor: per questo i polarizzatori dispongono di una montatura rotante. In assoluto, l’efficacia del filtro è legata (come del resto i riflessi nella scena) alla posizione del sole rispetto al punto di ripresa.
In questa scena, fotografata con un polarizzatore circolare, in un sol colpo siamo riusciti a eliminare i riflessi dai vivaci tetti in lamiera delle casette di Gouville Sur Mer, in Normandia, saturare il blu del cielo e donare volume alle nuvole sullo sfondo.


Il filtro polarizzatore nel paesaggio
Nel paesaggio, il filtro polarizzatore è molto utilizzato per far risaltare il candore delle nuvole saturando il blu del cielo (che appare più scuro poiché vengono eliminati i riflessi generati dalle particelle di umidità sospese nell’atmosfera), come pure per rendere perfettamente trasparente la superficie del mare consentendo di vedere i fondali e di far apparire eventuali imbarcazioni come se levitassero. In generale, il polarizzatore tende comunque a saturare anche altre tinte oltre al blu, con effetti talvolta sorprendenti sul verde della vegetazione, ma c’è chi lo usa nel reportage per fotografare soggetti posti dietro finestre o vetrine che sarebbero di disturbo. Il polarizzatore circolare può tornare utile anche come ND, poiché a seconda di come è orientato può arrivare ad assorbire anche più di 2EV.
Il filtro ND
L’effetto seta dell’acqua di un fiume, di una cascata, del mare, ma anche le scie luminose dei fari delle auto in movimento o i “serpentoni” di folla lungo il corso di un centro città, si ottengono utilizzando un tempo di scatto molto lento. Ma se la luce ambientale è abbondante, per ottenere una posa abbastanza lunga per le nostre esigenze potrebbe non essere sufficiente impostare al minimo il diaframma e la sensibilità ISO: ecco che viene in soccorso il cosiddetto ND, acronimo che sta per “Neutral Density” e che si riferisce a un filtro fotografico cromaticamente neutro (cioè grigio, più o meno scuro a seconda del potere di assorbimento). Un filtro ND anteposto all’ottica taglia via parte della luce indirizzata al sensore. L’entità del suo effetto è indicata da un numero: un ND2 assorbe 1EV, un ND4 toglie 2EV, un ND8, 3EV e così via, consentendo di allungare proporzionalmente il tempo di posa a parità di altri fattori.


Tra gli scatti di questa galleria, uno è stato realizzato anteponendo all’obiettivo addirittura un filtro ND500 con 9EV di assorbimento; per ottenere in pieno giorno un effetto seta sulle acque del piccolo porto di Honfleur, abbiamo sfruttato il nostro filtro per allungare il tempo di posa da 1/15sec a 30 secondi, senza modificare gli ISO (100) e continuando a utilizzare un valore di diaframma ottimale (nel nostro caso f/7,1) anche per evitare fenomeni diffrattivi interni all’obiettivo che penalizzano la nitidezza.
Aggiuntivi ottici: le lenti Close-Up
Detto in parole semplici, le lenti addizionali sono dei veri e propri sistemi ottici – ancorché estremamente semplici, poiché spesso composti da una sola lente – che permettono di accorciare la distanza minima di messa a fuoco dell’ottica e raggiungere al tempo stesso fattori di ingrandimento più elevati. La controindicazione è che quando sono montati fanno perdere la possibilità di mettere a fuoco all’infinito.
L’esempio pratico in alto è stato realizzato con una lente close-up da 4 diottrie
Come gli obiettivi, anche le lenti addizionali hanno una lunghezza focale, data dal rapporto tra 1 metro e il numero delle loro diottrie; pertanto 2 diottrie equivalgono a una lunghezza focale di 500mm, 4 diottrie a 250mm, mentre se si utilizzano assieme due lenti da 4 e 2 diottrie, la focale risultante sarà di 167mm. Spieghiamo come fare i calcoli: la focale risultante dall’accoppiata lente addizionale più obiettivo è pari al rapporto tra il prodotto e la somma delle focali in gioco: la formula è Fn=(Fo*Fa)/(Fo+Fa), dove Fn è la nuova focale, Fo è la focale dell’obiettivo e Fa è la focale della lente addizionale. Invece, il rapporto del nuovo fattore di ingrandimento si trova con la formula R=(Fo/Fa)+1, quindi aggiungendo 1 al rapporto fra focale dell’obiettivo e quella della lente aggiuntiva. Volendo fare un esempio pratico, con uno zoom standard come il 24-70mm f/4 regolato alla massima focale (70mm) e alla minima distanza di messa a fuoco (ipotizziamo 40cm) otteniamo un rapporto di ingrandimento pari a 1:5. Ciò vuol dire che il soggetto ripreso sarà proiettato sul sensore con dimensioni pari a 1/5 di quelle reali. Anteponendo allo stesso obiettivo una lente addizionale (+4), la minima distanza di messa a fuoco si accorcia di circa 10cm e l’ingrandimento sale a 1:1,2, un valore molto vicino all’1:1 considerato il “confine convenzionale” della macrofotografia.

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