Filippo Venturi è un fotografo documentarista particolarmente interessato al tema dell’identità e della condizione umana. Abbiamo fatto due chiacchere con l’autore a proposito del suo Broken Mirror, progetto che si discosta nettamente dal suo approccio tradizionale e che è stato creato mediante l’utilizzo del software di produzione di immagini Midjourney.
Con Broken Mirror, una tua recente sperimentazione visiva, hai usato l’intelligenza artificiale, nello specifico Midjourney, per produrre le immagini. Ce ne racconti il funzionamento nel dettaglio, comprese le criticità che può avere?
Midjourney è uno dei software di produzione di immagini che hanno raggiunto una considerevole notorietà negli ultimi tempi. Partendo da una descrizione testuale fornita da una persona, è capace di generare immagini grazie a una intelligenza artificiale (IA). Attraverso un prompt, l’utente (definito prompter, suggeritore) può inserire un testo, di poche parole o di diverse righe, in cui descrive lo scenario da creare, quali elementi lo popolano, le caratteristiche dell’immagine, il formato e così via.
Il software poi elabora l’input ricevuto e, in base alla libreria di immagini con cui l’IA si è allenata, offre all’utente un risultato visivo. Questi software sono attualmente in versione beta, sperimentale, ma hanno già aperto grandi riflessioni e interrogativi su come potranno stravolgere il mondo della creatività, dell’arte, della comunicazione e dell’informazione. Oggi le immagini generate possono soffrire di alcuni difetti, ma è questione di poco tempo prima che vengano risolti.
Oltre al realismo del risultato prodotto, desta preoccupazione anche la facilità di utilizzo, proprio come è accaduto alla nascita della fotografia. Anche in questo caso si teme possa causare la scomparsa di alcune forme d’arte come la pittura, l’illustrazione e il fumetto. Analogamente al mestiere del fotografo, che a fatica è uscito dalla banale percezione di essere qualcuno che si limita a premere un tasto per essere riconosciuto come autore e artista, viene ora messo in discussione l’apporto di coloro che si avvalgono di questi strumenti informatici.
A livello creativo è interessante notare che, al momento, alcune restrizioni sono imposte dalle stesse software house che spesso censurano alcune parole che esprimono gesti violenti, atti sessuali oppure le accettano nella descrizione escludendole però dalla creazione visiva. L’origine du monde, del pittore Gustave Courbet, oppure L’esecuzione di Saigon, del fotogiornalista Eddie Adams, non sarebbero riproducibili, ad esempio.
Presto l’IA sarà in grado di produrre immagini, video, voci e testi di qualità tale da essere indistinguibili dall’opera degli esseri umani portando con sé potenziali problemi, come il loro utilizzo per creare fake news, un settore florido già oggi. Credo che la realtà e l’informazione corretta assumeranno ancora più valore in futuro ma, al momento, ho l’impressione che molti non siano disposti a investirci denaro, restando in balìa di presunte notizie che puntano a scandalizzare, fomentare e dividere le persone.
Qual è la storia che racconta Broken Mirror e da dove nasce?
Dal 2015 ad oggi ho usato la fotografia, fra le altre cose, per raccontare la penisola coreana, i fenomeni sociali che la caratterizzano, gli obiettivi raggiunti da Corea del Nord e del Sud, ma anche gli effetti collaterali. Nella mia indagine visiva ho spesso adottato un approccio documentaristico, a volte fotogiornalistico, astenendomi in tutti i casi dal manipolare le immagini. Spesso definisco il mio lavoro come “un testimoniare la realtà”, consapevole che anche il più scrupoloso e onesto dei fotografi non possa che alterarla nel momento in cui sceglie cosa fotografare e, poi, quali fotografie comporranno il suo lavoro che sarà mostrato al pubblico. Questo è inevitabile. L’impossibilità di rappresentare in modo assoluto la realtà non può però giustificarne l’ulteriore manipolazione volontaria, almeno se si vuole essere dei testimoni attendibili.
Nel progetto Broken Mirror, che è un lavoro artistico che usa il linguaggio documentaristico, ho fuso la mia visione della Corea del Nord con quella di una intelligenza artificiale. Partendo da scene di vita quotidiana di nordcoreani, ho inserito un elemento estraneo, sotto forma di insetti che assumono dimensioni sempre più grandi e invadenti, al punto che sembra abbiano il controllo sulle persone, le quali, ad un certo punto, si trasformano a loro volta in insetti, completando il dominio subìto.
Il progetto risulta molto cinematografico. Quali sono state le influenze che ti hanno fatto pensare a delle immagini del genere?
L’idea alla base di questo progetto si rifà, appunto, al mio lavoro di fotografo documentarista sulla Corea, ma anche alla fascinazione verso scenari fantascientifici e distopici, alla fotografia in bianco e nero di grandi fotografi del passato, come Robert Capa, ma anche all’alterazione fisica del corpo nei film di David Cronenberg.
In un certo senso, ho attinto al mio database personale di immagini, video, riflessioni, suggestioni e paure, forse in un modo non troppo distante da quello che ha compiuto l’intelligenza artificiale per assembleare le immagini che desideravo, spesso inserendo elementi imprevisti o su cui non avevo il controllo completo. Broken Mirror è quindi il risultato di un compromesso, tra me e l’IA, dove l’eccezionalità della società nordcoreana, fortemente influenzata da uno dei regimi totalitari più duri al mondo, che isola di fatto il paese e i suoi abitanti, viene raffigurata attraverso l’inserimento di un elemento alieno, in una sorta di metamorfosi kafkiana.
Nel panorama fotografico l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sta producendo pareri contrastanti, anche per una questione di copyright. Cosa ne pensi?
Le librerie sterminate di immagini che compongono i database dati in pasto alle intelligenze artificiali per “allenarsi”, sono spesso raccolte indiscriminatamente dal web o da archivi senza averne l’autorizzazione oppure con una autorizzazione fornita dagli utenti in tempi in cui ancora non era immaginabile questo tipo di utilizzo.
Proprio in questi giorni lo United States Copyright Office ha negato a Kristina Kashtanova la registrazione del copyright di una graphic novel che aveva generato con Midjourney. In particolare è stato ritenuto che le immagini create non avessero un elemento di “paternità umana” sufficiente da finire sotto copyright. In poche parole, l’intervento umano è stato considerato marginale, paragonabile alle direttive che un cliente potrebbe fornire a un artista. Il documento ufficiale riconosce a Kashtanova la paternità della storia e la scelta dell’ordine della sequenza delle immagini, ma non delle singole immagini. Sarà interessante vedere come verrà disciplinata questa tecnologia e se altri enti e altri paesi prenderanno in considerazione o meno questa decisione.
Pensi che Broken Mirror sia solo una sperimentazione per te o intravedi anche una connessione con il tuo pensiero fotografico e i tuoi lavori passati?
Amo sperimentare e provare soluzioni originali. Fino ad oggi l’ho sempre fatto rimanendo all’interno di una fotografia che si prefiggeva di rappresentare eventi e fenomeni sociali impiegando punti di vista o approcci che, seppur diversi dai soliti, rimanessero fedeli alla realtà. Non so ancora dove mi condurrà questo strumento, ma è interessante che il mio primo esperimento abbia riguardato un approccio metaforico alla realtà, rendendo subito evidente allo spettatore l’artificio, sollecitandone l’aspetto evocativo, senza però scollegarsi completamente dal vero. Forse Broken Mirror è stata la reazione più fedele che potevo avere verso il mio pensiero fotografico e i lavori che ho realizzato.
Filippo Venturi “collabora” con l’intelligenza artificiale: nasce “Broken Mirror”
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