Bologna
Dal 25 settembre al 13 dicembre 2024
Il 9 ottobre 1963 quasi duemila persone persero la vita travolte da una gigantesca onda d’acqua e fango provocata da un’enorme frana precipitata nel bacino idroelettrico del Vajont (PN). Dopo poco più di sessant’anni la storia del Vajont rimane tra i più gravi disastri ambientali causati dall’azione antropica.
Un’investigazione fotografica sul disastro del Vajont
An investigation into the Vajont catastrophe è la mostra fotografica collettiva di CALAMITA/À, a cura di Laura De Marco, che comprende il lavoro di sei autori. Il progetto si occupa di esplorare i territori geografici e culturali del Vajont, interrogandosi su come ci si possa rendere conto dell’avvicinarsi di una catastrofe ambientale.
CALAMITA/À: le fasi del progetto
CALAMITA/À è un progetto artistico di ricerca fondato nel 2013 da Gianpaolo Arena e Marina Caneve e basato sull’esplorazione del tema della catastrofe e dell’effetto catartico che questa ha sulle persone, con particolare attenzione al caso specifico del Vajont.
In una fase iniziale durata tre anni, il progetto ha coinvolto più di cinquanta artisti e ricercatori per affrontare il tema della rappresentazione della catastrofe attraverso progetti site specific a breve termine, oltre a promuovere riflessioni su argomenti quali la trasformazione del paesaggio, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la relazione tra uomo, natura e potere, l’emarginazione sociale delle minoranze e l’identità individuale e collettiva.
Dal 2016 in poi, il progetto si è concentrato sullo sviluppo dei i lavori a lungo termine di un gruppo ristretto di autori, iniziati tra il 2013 e il 2015: Gianpaolo Arena, Marina Caneve, Céline Clanet, François Deladerrière, Petra Stavast, Jan Stradtmann.
Nel 2023, grazie al supporto della Provincia di Treviso e alla collaborazione con il FAST – Foto Archivio Storico Trevigiano della Provincia, CALAMITA/À è risultato vincitore del bando “Strategia Fotografia” del Ministero della Cultura, dando di fatto l’opportunità agli autori di concludere le loro ricerche.
An investigation into the Vajont catastrophe: una panoramica dei lavori in mostra
Collapsing Stars (2013-2024) di Gianpaolo Arena comprende una serie di ritratti a soggetti appartenenti alla stessa generazione, tutte persone abbastanza grandi da aver vissuto il trauma degli eventi del 1963, da adolescenti o da bambini. Crolla la diga. Le voci si contraddicono (2013-2024) di Marina Caneve si concentra sulle differenze e le incoerenze dei racconti del disastro ascoltati dall’autrice sin da bambina in diversi ambienti, incluse la famiglia e la scuola.
Con Una notte, la montagna è caduta (2015-2024), invece, Céline Clanet ha studiato il territorio e cercato di comprendere se gli elementi trovati lungo il cammino fossero tracce del disastro passato o segni premonitori di un evento futuro.
Echo (2015-2024), di François Deladerrière, è la restituzione delle lunghe passeggiate diurne e notturne del fotografo nella valle, una testimonianza del tempo trascorso cercando una connessione con il paesaggio, provando a sentire il suono lontano e debole della catastrofe passata.
The Spectators (2016-2024), di Petra Stavast, si concentra sugli abitanti di Erto e Casso che assistettero alla tragedia dalle loro case. Sebbene i paesi siano rimasti per lo più illesi, il giorno dopo il catastrofico evento le autorità hanno costretto gli abitanti a evacuare la zona bloccando poi l’accesso con la costruzione del “muro della vergogna”.
Stavast ha indagato, inoltre, l’immenso archivio del geologo Edoardo Semenza (figlio di Carlo, l’ingegnere che progettò e costruì la diga), che scoprì la pericolosità del Monte Toc, da cui si staccò la frana, nell’agosto del 1959, ben quattro anni prima che provocasse il disastro. Le sue osservazioni furono confermate dal geologo austriaco Leopard Müller, ma per ragioni mai rese note non venne dato seguito alle loro segnalazioni.
Third Nature (2015-2024) di Jan Stradtmann, infine, combina paesaggi contemporanei, ritratti e nature morte di oggetti ritrovati. I discendenti dei sopravvissuti sono stati fotografati in ambienti domestici o urbani nella città del Vajont, costruita a circa 40Km dalla diga del Vajont per dare nuove case ai sopravvissuti. A più di cinquant’anni dalla catastrofe, Stradtmann utilizza la fotografia per documentare lo stato attuale del sito – il “com’è” dopo il “com’era” – trasformando il disastro in una metafora di un processo decisionale errato.
CALAMITA/À. An Investigation into the Vajont Catastrophe
- A cura di Laura De Marco
- Spazio Labò, Strada Maggiore, 29 – Bologna
- dal 25 settembre al 13 dicembre 2024
- mer-ven 17-19
- ingresso gratuito
- spaziolabo.it
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