Quando Fulvio Bugani arriva a Cuba la prima volta, nel 2009, se ne innamora, viene attratto dalla sua complessità, anche dalle sue contraddizioni, oltre che dalla sua bellezza. Avendola già conosciuta attraverso la letteratura, l’arte, la fotografia, i racconti giornalistici e la sua storia di resistenza, Bugani cerca un modo tutto suo per trasmettere la magia di quei luoghi, di quelle persone, servendosi anche della sua storia personale per creare delle analogie e per sentirsi più a casa. Le sue immagini di Cuba, che traboccano di luci, di ombre, di colori, di vita, non sono semplici testimonianze, ma tracce di una profonda partecipazione.
Abbiamo intervistato Fulvio per approfondire il suo sconfinato corpus visivo su Cuba.
Quando nasce il tuo racconto fotografico su Cuba e come si è sviluppato nel tempo?
Nasce da un percorso di studio e di passione per il mondo latinoamericano, la sua letteratura e la storia romantica della rivoluzione cubana.
Fin da ragazzo leggevo gli scritti di Gianni Minà, che mi illuminavano sui personaggi e sulle contraddizioni del Sud America, e da lì mi sono avvicinato ai testi di Eduardo Galeano, Gabriel García Márquez, Luis Sepúlveda, Alejo Carpentier e Miguel Barnet, alle poesie di Dulce María Loynaz e in tempi più recenti di Mario Benedetti, ai film di Tomás Gutiérrez Alea e Humberto Solás e alle canzoni di Silvio Rodríguez.
Quando finalmente sono arrivato a Cuba, mi sono ritrovato a vivere i libri che avevo letto, a respirare quell’atmosfera sospesa tra realtà e sogno, tra poesia e resistenza, che il continente latinoamericano porta dentro di sé e che l’isola incarna con forza unica.
Ho poi conosciuto Alfredo Guevara e tanti intellettuali cubani che mi hanno sempre più coinvolto nel mondo cubano e latinoamericano.
È nato un legame profondo con il territorio, con le persone e con la loro storia, trasformatosi, nel tempo, in un vero e proprio linguaggio fotografico.
Fin dal mio primo viaggio ho sentito che Cuba doveva essere raccontata come uno stato d’animo piuttosto che come un luogo. L’isola mi ha travolto con la sua umanità, la sua complessità, la sua capacità di vivere in equilibrio tra dolore e poesia, in uno struggente senso di decadenza denso di fortissima umanità.
Il corpus di immagini che raccontano Cuba è vario ed eterogeneo. Come è evoluto?
Nel tempo il mio lavoro si è evoluto da un approccio più documentario a uno più intimo e simbolico, dove la realtà si intreccia con la percezione, la memoria e la spiritualità. Oggi considero Cuba un territorio interiore, il luogo dove la mia fotografia è diventata una forma di relazione, non solo di osservazione.
Negli anni ho costruito un racconto su Cuba attraverso progetti diversi ma complementari: Guajiro nasce come un omaggio ai contadini cubani e alla mia voglia di conoscere la vera Cuba della provincia, ma anche come omaggio ai miei nonni materni e ai racconti di mia nonna, che era contadina e poi, con grande determinazione, studiò fino a diventare infermiera. In quelle origini semplici e dure, e in quella sete di conoscenza e cultura, ho sempre ritrovato molto della vita dei cubani. Lo stesso rispetto per la terra, la stessa dignità silenziosa, la stessa fierezza.
Con Yo Soy Fidel ho, invece, raccontato l’eco di un momento storico: la morte di Fidel Castro, vissuta dal popolo tra fede, lutto e speranza. È un lavoro sulla memoria collettiva e sul culto dell’ideale, ma anche un percorso personale e un omaggio a Fidel Castro, alla sua memoria. Ho letto moltissimi testi di Fidel, studiato la sua figura e la storia della rivoluzione, ma non l’ho mai incontrato. Fotografare il suo funerale è stato per me come chiudere un cerchio, un modo per entrare in contatto diretto con una figura fondamentale del Novecento ed anche riferimento per tante persone cubane e latinoamericane.
Soul y Sombra nasce dal desiderio di raccontare una Cuba molto più complessa e sfaccettata di come viene spesso descritta. Per comprenderla davvero bisogna scendere sotto la superficie, mescolandosi con la gente, lasciandosi trascinare dal ritmo della vita quotidiana e dalla ricchezza della sua diversità culturale e razziale.
Realismo Magico prende ispirazione da quella corrente letteraria e culturale che, a partire dagli anni ’40, ha dato forma all’immaginario dell’America Latina. Il realismo magico latinoamericano fonde reale e fantastico, presentando eventi straordinari come parte naturale della vita quotidiana. A Cuba, il realismo magico si manifesta ogni giorno: la magia convive con la fatica, la fede con la contraddizione, il sogno con la resistenza.
Il dialogo tra luci e ombre in Soul y Sombra sembra diversificare il progetto dal resto della tua produzione. Ce ne parli?
La luce è elemento protagonista del progetto, linguaggio e soggetto al tempo stesso: serve a catturare l’anima cubana, vibrante e teatrale. Le ombre, invece, diventano presenze immaginarie, metafore dell’invisibile e del lato più sfuggente dell’isola. Luci e ombre sono quindi per me strumenti simbolici per raccontare la complessità di Cuba, la sua magia e le sue contraddizioni profonde.
Nell’introduzione di Guaijors scrivi: “Questa è la loro storia e la mia”. Per una questione di immedesimazione rispetto alla vita dei tuoi nonni di cui ci parlavi prima o anche per un diretto coinvolgimento con la storia dei contadini cubani?
Per una questione di coinvolgimento totale, sia emotivo e affettivo, sia fisico. Non ero un osservatore esterno, ma ero parte della loro quotidianità. Ho mangiato con loro, ho lavorato con loro, ho dormito nelle loro case. Ho condiviso il silenzio, la fatica e la serenità dei gesti semplici. Tutto questo ha influenzato profondamente la resa fotografica, perché nelle immagini si percepisce quella intimità reale e quel senso di fiducia reciproca che nascono solo dal tempo vissuto insieme.
In Intimate Interior entri nelle case di Cuba e ne ritrai gli abitanti, in un dialogo molto intimo con il tuo soggetto. Che valore ha quel progetto?
Intimate Interior è un racconto di silenzi personali, in cui ho usato la fotografia per esplorare me stesso e la mia relazione con le persone. È un lavoro sull’intimità, sul ritratto autentico, su quel momento, come scrive Jean-Luc Nancy “in cui la persona rappresentata non è colta in un’azione né adotta un’espressione per nascondere sé stessa”. Ho cercato proprio quell’istante di verità, in cui il soggetto torna ad essere sé stesso, e la fotografia diventa uno scambio silenzioso di sguardi e di identità.
Le luci morbide, i colori pastello e le atmosfere calde che caratterizzano le immagini non sono scelte estetiche ma emotive e nascono da ciò che trovo nei miei incontri a Cuba, da una luce particolare, da una forma o da un gesto che mi emoziona.
Il titolo riflette il doppio livello del progetto: da un lato l’interno delle case cubane, dall’altro l’interno umano, quello più profondo.
Nei tuoi lavori, come sei riuscito a cogliere con una tua ricerca un’estetica cubana molto caratterizzante?
Cuba è un luogo in cui realtà e immaginazione si confondono. Fin dal primo viaggio ho capito che non potevo raccontarla solo attraverso la cronaca o il reportage classico, serviva un linguaggio capace di restituirne la complessità emotiva e il suo ritmo interiore. La mia ricerca estetica nasce proprio da questa tensione: tradurre visivamente l’energia e la spiritualità dell’isola, senza cadere negli stereotipi.
Chiunque vada a Cuba torna con buone fotografie, perché la bellezza è ovunque. Io però volevo qualcosa di diverso, più profondo.
Volevo conoscerla davvero, andare sotto la superficie, perché sentivo che mi emozionava: nelle relazioni con le persone, nei colori caraibici pieni di energia, in quella luce affascinante e dura allo stesso tempo, così diretta, così non ambigua, vera protagonista del mio racconto visivo. Le persone, per me, sono il vero monumento di Cuba. Sono ciò che andrebbe protetto e celebrato.
A Cuba la luce è viva, teatrale, quasi mistica. Ho imparato a usarla come linguaggio narrativo più che come elemento tecnico. Le ombre e i contrasti fanno parte del racconto, creano un dialogo tra visibile e invisibile. E poi c’è il colore, che non è mai solo decorativo: il rosso, il blu, il giallo non sono pigmenti ma vibrazioni, stati d’animo collettivi che esprimono identità e personalità.
Quali influenze rivedi nelle tue immagini?
Nel mio percorso hanno avuto grande importanza Walker Evans, con il suo sguardo sincero sull’Alabama e sull’America profonda, e poi la visione complessa e magica di Alex Webb, capace di trasformare la realtà in pura alchimia visiva. Mi ha profondamente segnato anche la forza poetica di Josef Koudelka in Zingari, così come la genialità e la libertà creativa di Joel Meyerowitz, che considero un vero Maestro di fotografia e di vita.
E poi Paul Strand e Tina Modotti. Allo stesso tempo, la cultura cubana stessa è stata una grande maestra. La musica, la pittura e la letteratura di Alejo Carpentier e Gabriel García Márquez, il giornalismo empatico di Gianni Minà, la scrittura poetica e lucida di Eduardo Galeano, e perfino i primi scritti del Che Guevara, mi hanno insegnato che il realismo può essere magico, e che la verità non è solo ciò che si vede ma anche ciò che si sente.
Continui ad andare a Cuba? Hai in progetto nuovi lavori?
Sì, continuo a tornare regolarmente a Cuba, dove da molti anni organizzo workshop fotografici per la mia scuola IMAGE di Bologna e per Leica, con cui collaboro a livello internazionale. È un luogo che non smette mai di insegnarmi qualcosa, sia come fotografo, sia come persona. Oggi sto lavorando a nuovi progetti dedicati alle nuove generazioni cubane, a quei giovani che rappresentano il futuro ma che troppo spesso lasciano l’isola.
Attraverso le loro storie voglio raccontare una Cuba che cambia, sospesa tra radici e fuga, tra desiderio di libertà e appartenenza.
Sento, inoltre, la necessità di fare un libro su Cuba. Credo che sia arrivato il momento giusto per raccogliere questo lungo percorso, ma, allo stesso tempo, ho un po’ paura di dover mettere un punto, come se chiudere un libro significasse chiudere anche un capitolo della mia vita. Cuba è casa mia.
Ulteriori fotografie e informazioni sul lavoro di Fulvio Bugani sono disponibili sul sito del fotografo fulviobugani.com.
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