# In fondo, non serve (davvero) a nessuno. Potrebbe essere questa la risposta al quesito qui sopra. Ma è errata: se i costruttori di fotocamere continuano ad accrescere la quantità di pixel dei sensori, una qualche utilità, per qualcuno, ci dovrà pur essere. Altrimenti le full frame non avrebbero sfondato la barriera dei 60MP e le MQT (il cui sensore ha una superficie di quasi quattro volte inferiore) non si sarebbero spinte al record di 25MP della nuova Lumix GH6.
# Watanabe non peccava certo di retrograda miopia, né voleva spingere i fotografi ad accontentarsi, ma da tecnico sagace dava il dovuto valore alla densità dei pixel. Infatti, nella stessa occasione spiegò che era opportuno concentrarsi su altre caratteristiche, quali la gamma dinamica, la riproduzione dei colori e la resa agli alti ISO. In altre parole sull’efficienza, notoriamente proporzionale alle dimensioni fisiche dei pixel e alla distanza fra gli stessi, grandezze che si riducono al crescere della densità. Com’è logico influiscono pure l’architettura delle circuitazioni del sensore stesso e l’elettronica di bordo, ma a monte del processo complessivo ci sarà sempre la geometria dei fotodiodi. E le leggi della fisica e dell’ottica non fanno sconti.
# Pacifico che quei “retorici” dodici megapixel di Watanabe fossero rapportati allo status tecnologico dell’epoca. Ma il punto è che potevano, e possono tutt’oggi, tradursi in stampe fotografiche di alta qualità con base di circa trenta centimetri, ossia al di sopra delle esigenze del grande pubblico. Se, poi, ragioniamo in termini di visualizzazione a monitor (quindi in pixel, e non in “punti” di una stampa), allora ne bastano molti di meno. Ma già che si parla di computer, rivolgiamo un pensiero anche ai file: la corsa ai megapixel li fa ingrassare, rendendo necessari processori sempre più potenti per la postproduzione dei RAW, maggior capacità d’archiviazione, e amplissimi monitor professionali per le lavorazioni “di fino”. Per non dire delle difficoltà di condivisione in rete, o del fatto che i sensori super-densi accrescono pure il rischio del mosso in ripresa. Fino a che punto ne vale la pena? E per quanti di noi? Una fotocamera traboccante di megapixel rischia di essere paragonabile a un’impegnativa supercar guidata nel traffico e nel rispetto dei limiti di velocità: non se ne sfrutta il potenziale, sicché la sua scomodità e gli elevati costi di gestione appaiono ingiustificati.
# Chiaro che abbiamo ragionato per paradossi. Sappiamo bene che per alcune applicazioni disporre di una super-risoluzione, finanche quella portentosa che alcune fotocamere raggiungono a suon di scatti additivi e microtraslazioni del sensore, ha in alcuni casi sacrosanta ragion d’essere: si pensi magari alla fotografia documentale, museale, pubblicitaria. Insomma, gli esempi non mancano, ma si parla di nicchie. Quindi d’accordo, l’incipit di questo editoriale è sbagliato. Non è vero che la corsa ai megapixel non serve a nessuno. Ma se è plausibile che è (davvero) utile a pochi, allora il marketing dovrà leggere i dodici megapixel di Watanabe come una profezia. E, stanti i livelli di risoluzione oggi raggiunti, iniziare a guardare altrove.