La californiana Mojo Vision (qui) sta sviluppando una lente a contatto per la realtà aumentata (AR, Augmented Reality), ossia in grado di sovrapporre oggetti virtuali alla visione naturale. Il dispositivo integra un display esagonale di 0,5mm di larghezza, composto di pixel verdastri del diametro di neppure 2 micrometri (millesimi di millimetro), ossia circa quattro volte più piccoli di un globulo rosso; lo schermo, con risoluzione di 14k dpi, è il cuore di un microscopico proiettore che invia le immagini alla retina, ed è integrato nella lente assieme a una CPU, una telecamera, un accelerometro-giroscopio per tracciare e compensare i movimenti dell’occhio e una batteria ricaricabile a induzione; non manca la connessione senza fili con il telecomando per gestire l’interfaccia utente e con altri dispositivi esterni. Per farsi un’idea del grado di miniaturizzazione è utile sapere che lo spessore delle normali lenti a contatto da vista va da 0,06 a 0,4mm. Pare che le Mojo Lens, allo studio dal 2017, abbiano completato lo sviluppo di hardware/software e superato i test tossicologici, ancorché non si parli ancora di commercializzazione.
Sempre dalla California arriva la trovata della InWith (qui), che allo scorso CES di Las Vegas (7-10 gennaio) ha presentato una tecnologia per inserire circuiti elettronici nelle lenti a contatto morbide, le più confortevoli: qui le relative immagini tratte da un video YouTube di cnet.com, raggiungibile qui. In questo caso l’obiettivo è implementare tanto apparati microimaging quanto biosensori. Delle lenti a contatto AR InWith si dice che saranno utili anche per la correzione di difetti visivi, e che sono in attesa di vaglio da parte della FDA, l’agenzia governativa americana per la protezione dei consumatori. L’intenzione di InWith sarebbe di arrivare sul mercato alla svelta, ma non è stato ancora mostrato alcun prototipo funzionante.
Il sogno della lente a contatto smart non è nuovo e, se si evolvesse, anche il concetto di “occhio del fotografo” conoscerebbe nuovi orizzonti: per cogliere l’attimo splendente di Cartier-Bresson potrebbe bastare un battito di palpebre. A tal proposito, già qualche anno fa si parlò, oltre che di prototipi in grado di monitorare il tasso di glucosio nel sangue (Verely), utili per chi soffre di diabete, pure di brevetti di modelli integranti una microcamera con annessi e connessi (ci provarono addirittura Sony e Google). Certo è che, qualora fossero introdotti dispositivi del genere, cioè moduli imaging “mimetici”, i rischi per la privacy crescerebbero esponenzialmente.
Ma almeno per ora non si è parlato di capacità di registrazione, quindi a trainare trovate come quelle di Mojo e InWith è l’ipotesi di un utilizzo sempre più pervasivo delle tecnologie AR (che pure raccolgono dati, ma previa autorizzazione dell’utente e indipendentemente dal tipo di visore utilizzato). In gioco ci sono tutti i possibili sviluppi pratici dell’integrazione della visione reale con informazioni digitali: limitandoci a esempi pacifici, immaginate di camminare o guidare l’auto seguendo le indicazioni del navigatore direttamente nella scena anziché su uno schermo, o di evidenziare nella folla una persona con la quale avete appuntamento e che perciò vi ha inviato la propria localizzazione. D’altronde, oggi si guarda alla frontiera del metaverso, nuova forma dell’Internet per la quale la realtà aumentata sarà centrale, e rispetto ai dispositivi AR già esistenti (ossia smart glasses e simili), le lenti a contatto sarebbero tutta un’altra storia: non si notano quando indossate, possono essere trasportate in custodie piccolissime, non si appannano e funzionano anche a occhi chiusi.