Roma
Dal 28 ottobre al 15 dicembre 2023
Nel 1997 Francesco Zizola vinceva il World Press Photo come “Photo of the Year” con un’immagine che ritraeva la tragedia delle mine antiuomo in Angola. Di premi Zizola ne ha ricevuti molti altri, affidando al racconto fotogiornalistico il suo pensiero e il suo modo di fare fotografia. Da qualche anno, però, il fotografo italiano ha cambiato modalità espressiva, ha cercato di indagare maggiormente le potenzialità del linguaggio fotografico, rendendolo concetto, soffermandosi sulla natura del linguaggio stesso. Da questa indagine, che ha portato la fotografia di Francesco Zizola a un livello concettuale, è nato Hybris, un progetto iniziato nel 2015 e tutt’oggi in corso. Fino al 15 dicembre, a Roma, da 10b Photography, che Zizola usa come studio e spazio espositivo per progetti suoi e anche di altri autori, è in mostra una selezione di foto del secondo capitolo di Hybris, Consequentia Mirabilis, che sarà esposto e presentato nella sua interezza a Milano, al MIA Photo Fair 2024. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Dal 2015 hai dato vita ad un tuo nuovo progetto, Hybris, diviso per capitoli. Una ricerca sul rapporto tra uomo e natura che si delinea secondo i quattro elementi naturali. Ce ne parli?
I greci antichi usavano il termine “hybris” per descrivere la tendenza degli esseri umani a non saper riconoscere i propri limiti, ad oltrepassarli, nello specifico rispetto ai confini con il divino. La “hybris” del mio progetto, invece, è quella dell’uomo contemporaneo nei confronti della natura, che reagisce alla nostra incapacità di rispettarla con delle prove evidenti come calamità e problemi climatici. Il concetto di natura che ho voluto rappresentare, nei quattro capitoli di Hybris, è simboleggiato dai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco.
Il primo progetto della serie, su cui ho lavorato dal 2015, è stato Mare Omnis, focalizzato sull’elemento dell’acqua, che mi è servito a plasmare non solo la struttura teorica di Hybris, ma anche la sua estetica portante, arrivando ad una sintesi simbolica fulcro dell’intero progetto.
Sono fotografie che raffigurano delle reti da pesca, di un metodo inventato più di tremila anni fa dai fenici e dagli arabi, la pesca al tonno rosso con la tonnara. Il tema in questo caso è quello della conoscenza della natura che il genere umano ha saputo sviluppare nel corso della sua evoluzione e che ora è a rischio di scomparsa a favore di metodi industriali e tecnologicamente avanzati, sicuramente più efficaci per l’incremento dell’utile ma molto distruttivi per l’ecosistema.
La resa concettuale di Hybris è sostenuta da una ricerca estetica ben ponderata…
In Mare Omnis, riferimento concettuale ed estetico per l’intero progetto Hybris, le fotografie si presentano come immagini enigmatiche che interrogano più che raccontare. Alcuni non riescono a vedere in queste immagini fotografie e le scambiano per opere grafiche: costellazioni nella notte, graffiti primordiali disegnati nelle grotte o disegni misteriosi visibili dall’alto nel deserto peruviano. Invece ho fotografato le reti delle tonnare con un drone, dopo la loro messa in posa in acqua, il risultato è stato quello di ottenere delle composizioni estetiche e architettoniche molto particolari e complesse, generatrici di illusioni ottiche che conducono lo sguardo dello spettatore oltre la superfice del visibile, oltre ogni riferimento reale contenuto nella rappresentazione fotografica, che rimandano a qualcosa che valica la pratica stessa della tonnara.
Per tale ambiguità, di cui la fotografia si è sempre resa portatrice, le immagini di Mare Omnis appaiono come costellazioni nel cielo notturno, o figure sacre disegnate nella pietra o pitture rupestri, che raccontano dell’antico linguaggio dell’uomo. Attraverso un’estetica straniante voglio indurre una riflessione sul guardare, su cosa stiamo guardando e sul modo in cui lo facciamo. Anche in Consequentia Mirabilis, il secondo capitolo di Hybris sull’elemento dell’aria, ho applicato lo stesso principio concettuale e compositivo: le immagini, in questo caso, ritraggono alcuni iceberg, in Islanda, che, istintivamente, richiamano alla figura di meteoriti nello spazio astrale.
Perché hai scelto il titolo Consequentia Mirabilis?
Consequentia Mirabilis è una locuzione latina utilizzata in logica classica, che fa derivare la validità di un’affermazione dalla constatazione diincoerenza della sua negazione. Ad esempio ‘Non esiste alcuna verità’ è un’affermazione che implica che essa stessa sia una verità, dunque ‘esiste qualche verità’. Nel caso specifico le immagini che ho creato sono, o meglio dire erano, gli ultimi istanti di esistenza di iceberg che si sono dissolti come conseguenza dell’innalzamento della temperatura dell’aria. Alcuni scienziati affermano che questo fenomeno sia ciclico nella storia del pianeta e che di conseguenza le attività del genere umano non ne siano la causa. La maggior parte degli scienziati invece, prove alla mano, afferma che le attività umane, dalla rivoluzione industriale in poi, sono la causa principale del progressivo ed esponenziale aumento delle temperature terrestri. I miei iceberg quindi sono consequentia mirabilis delle teorie negazioniste.
Hybris può essere intesa anche come un’indagine meta-fotografica sull’evoluzione del linguaggio fotografico?
Penso proprio di sì. Sia in Mare Omnis, sia in Consequentia Mirabilis il soggetto della ricerca si focalizza, come detto in precedenza, sull’oblio di una conoscenza legata al mondo naturale e, in un certo senso, anche sulla sparizione o sul mutamento dello stesso linguaggio fotografico, di ciò che si definiva “fotografia” fino a qualche anno fa.
In entrambi i capitoli finora prodotti si avverte, infatti, la tua citazione delle origini della fotografia, il “disegnare con la luce” attraverso il mezzo fotografico…
Sicuramente. Con Hybris cerco di portare avanti il concetto che la fotografia può essere ancora uno strumento interessante di conoscenza, non solo della superfice delle cose, ma anche e soprattutto della loro profondità, compresa la profondità dell’essere umano. Questo pensiero lo si può manifestare andando a richiamare le origini del mezzo fotografico.
Per quanto riguarda, invece, l’evoluzione del tuo percorso creativo. Come è avvenuto il passaggio dal fotoreportage, a cui ti sei dedicato per molto tempo, ad una fotografia più concettuale e autoriale, come quella che stai applicando per Hybris?
Dopo quasi quattro decenni in cui ho usato la fotografia in maniera figurativa, indirizzandola verso la semplicità del messaggio, ora, invece, ciò che maggiormente mi interessa è usarla per raggiungere la maggior profondità di pensiero possibile. Questa mia rivalutazione del mezzo e del linguaggio fotografico è stata occasione di nuove scoperte, di nuove consapevolezze su potenzialità espressive che prima non avevo preso in considerazione.
Ci sono comunque delle continuità tra il reportage di prima e il tuo nuovo linguaggio fotografico?
La ricerca dell’originalità, per prima cosa.
Il punto di vista zenitale del drone, quasi un occhio sovrannaturale che guarda dall’alto, lo hai usato anche pensando al concetto di “hybris”, come un monito divino verso l’uomo?
L’ho utilizzato principalmente per una questione di spiazzamento percettivo. Noi, visivamente, siamo sempre alla ricerca di elementi di riferimento per comprendere e decodificare l’immagine. Il drone mi ha aiutato a rendere meno individuabili questi riferimenti, per ottenere un effetto straniante.
A quale elemento naturale stai lavorando ora?
All’elemento del fuoco inteso come energia. Il tema della “hybris” relativo all’energia è vasto e mi sta impegnando non poco sia a livello teorico che sperimentale.
Francesco Zizola. Hybris
- 10b Photography, via San Lorenzo da Brindisi, 10b – Roma
- dal 28 ottobre al 15 dicembre 2023
- su appuntamento
- ingresso gratuito
- 10bphotography.com