La storia, viverla e raccontarla, è un lavoro collettivo. Tuttavia succede che il contributo di alcuni venga escluso dai libri su cui si formano studiosi e nuove generazioni di appassionati. La fotografia non fa eccezione e anche le sue vicende sono costellate di nomi rimasti sempre nell’ombra.
Il titolo del libro An Alternative History of Photography non deve trarre in inganno: non si tratta di una storia delle tecniche fotografiche alternative a quelle tradizionali e più diffuse (il negativo e ora il digitale), bensì una concisa storia della fotografia raccontata attraverso le immagini di autori i cui nomi sono stati esclusi dalle narrazioni ufficiali. Non mancano certo gli scatti di maestri conosciuti da tutti, ma ciò su cui vuole porre l’attenzione Phillip Prodger, autore del libro, è la visione ristretta con cui è sempre stata scritta la storia della fotografia, dentro e fuori dai libri.
Storia della fotografia: discriminazioni
Quella osservata da Prodger è una prospettiva deformata dai pregiudizi e dalle chiusure mentali tipiche del pensiero di fine Ottocento e inizio Novecento, quando la realtà veniva letta alla luce di una mentalità centrata sull’egemonia culturale delle vecchie potenze coloniali europee e sulla forza comunicativa degli Stati Uniti d’America, ma anche sulla discriminazione e sulla marginalizzazione di intere fasce della popolazione occidentale, in primis le donne. Infatti, sfogliando il volume si scopre che se da una parte Julia Margaret Cameron oggi non ha bisogno di presentazioni, dall’altra il suo nome è entrato nei libri di storia della fotografia solo quasi trent’anni dopo la sua mostra personale del 1865 al South Kensington Museum di Londra (il futuro Victoria & Albert Museum). Oppure si scopre che la ritrattistica africana può vantarsi non solo di vere e proprie celebrità come i maliani Seydou Keïta e Malick Sidibé, ma di una miriade di fotografi di paese che hanno lavorato spesso nell’anonimato, come per esempio il camerunense Michel Kameni.
Photography 1839-1937 di Beaumont Newhall: limiti e lacune
La storia della fotografia è stata dunque guastata da omissioni e contaminata da pregiudizi, e Prodger sottolinea che anche una pubblicazione seminale come Photography 1839-1937 (intitolato History of Photography a partire dall’edizione del 1949) sia ben lontana dall’essere esaustiva. Il suo autore, Beaumont Newhall, aveva redatto il volume come catalogo per una mostra da lui curata al MoMA di New York per celebrare il centenario della nascita della fotografia. Ma nonostante avesse riconosciuto i meriti delle donne non aveva preso in considerazione quanto fatto dagli afroamericani. Inoltre le immagini provenienti da terre lontane quali la Cina e l’Egitto erano opere di viaggiatori europei e non di autori autoctoni. In tal modo consolidava l’idea che era prerogativa degli obiettivi europei e americani inquadrare il mondo e raccontarlo.
Ovviamente le cose sono cambiate con il tempo, ma se una volta le discriminazioni erano il retaggio della vecchia cultura imperialista e patriarcale, a partire dalla seconda metà del Novecento sono state le gallerie private e il mercato del collezionismo a decidere chi e cosa storicizzare.
Dalla Solander Collection alla Photographers’ Gallery di Londra
Le immagini raccolte nel libro, da cui è stata tratta una mostra alla Photographers’ Gallery di Londra, provengono dalla Solander Collection, creata da Prodger assieme all’amico Graham Howe. La collezione, che prende il nome da un modello di scatole utilizzate dai musei per conservare le stampe fotografiche, si fonda sullo stesso principio che sostiene il volume: raccontare una storia della fotografia che non sia in opposizione quanto piuttosto di comple(ta)mento alla storia che fino a poco tempo fa era considerata la sola attendibile e quindi ufficiale.
Le opere contenute nella collezione coprono un arco temporale che va dai primi dell’Ottocento fino agli anni Ottanta del Novecento, quando le prime emittenti televisive all news hanno cambiato in modo radicale il modo di percepire l’informazione trasmessa attraverso le immagini fisse.
Patrimonio fotografico prima della rivoluzione digitale
Per questa ragione il suo patrimonio consiste di scatti realizzati prima dell’avvento sul mercato della tecnologia digitale, foto prodotte con una varietà di tecniche, apparecchiature e supporti. Tuttavia ciò che è di maggiore interesse nel libro – a cui hanno dato il proprio contributo, tra gli altri, Urs Stahel della Fondazione MAST di Bologna e Yasufumi Nakamori della Tate Modern di Londra – non sono le inevitabili discrepanze tra il suo contenuto e quello dei testi considerati canonici, bensì la constatazione che ciò che viene offerto dai grandi musei e dalle librerie specializzate spesso non è altro che la punta dell’iceberg.
Titolo An Alternative History of Photography
Formato 21x26cm
Immagini 200
Pagine 256
Lingua inglese
Prezzo 56 euro