Leonardo Costini, segretario del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, e Armando Petrella, Capo dei guardiaparco, mostrano la pelle di un orso bruno marsicano. La pelle apparteneva ad un orso investito da un treno presso la stazione di Sant’Ilario tra Roccaraso e Alfedena. La carcassa dell’animale, dopo essere stata recuperata dai guardiaparco, fu trasportata nella sede del Parco a Pescasseroli per essere scuoiata ed analizzata. Il rapporto mostra che oltre ad avere il cranio frantumato, l’orso aveva subito anche una frattura del bacino. Lo scuoiamento degli animali avveniva quando un orso o un lupo venivano trovati morti. La pratica era utilizzata per eseguire un’autopsia rudimentale sui resti al fine di individuare le cause della morte e recuperare il corpo (ove possibile) per la tassidermia. Carlo Lombardi dall’archivio del PNALM Pescasseroli (AQ), 1976.
Per Giovane Fotografia Italiana, concorso per fotografi emergenti del festival FOTOGRAFIA EUROPEA, Carlo Lombardi espone, a Palazzo dei Musei di Reggio Emilia fino all’11 giugno, La Carne dell’Orso, un’indagine ravvicinata e trasversale sulla figura dell’orso. L’abbiamo intervistato.
Come nasce La Carne dell’Orso?
Sono originario di Pescara, in Abruzzo, ma da molto tempo vivo e lavoro fuori e periodicamente ci torno. Sentivo l’esigenza di riconnettermi ad alcuni luoghi delle mie radici e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è uno di essi. Nel 2019 iniziai, così, a scattare per ricongiungermi alla mia storia, come impulso personale, senza nessuna progettualità. Solo in seguito decisi di dare vita a un progetto. Quando andai, nel 2019, al centro visite del parco c’era un orso bruno marsicano tenuto preventivamente in gabbia perché non era in grado di tornare in natura e lo fotografai. Con quell’immagine ho iniziato a riflettere su cosa si celasse dietro alla simbologia dell’orso, alla sua estetica, al modo che abbiamo di raccontarlo e di viverlo visivamente, alla sua conservazione. Penso che il rapporto tra uomo e natura, che ho voluto documentare come macro tema del mio progetto, sia più facile osservarlo attraverso l’arte che non attraverso la scienza, soprattutto ricordandosi che esiste un’estetica a riguardo, un’estetica animata anche e soprattutto dalle nostre proiezioni umane sulla sua figura.
Un attore posa per un ritratto mentre indossa la maschera dei riti propiziatori invernali, e nello specifico de “La danza dell’orso”. L’evento si svolge in questo modo: l’uomo orso è tenuto in catena da un domatore e da un assistente che lo costringono a ballare sotto la minaccia di un bastone. Di tanto in tanto il gruppo bussa alle porte delle case e la famiglia ospitante offre da bere e da mangiare. La danza dell’Orso potrebbe essere ricollocata in un rito di fertilità o ancor più rigorosamente in un antico rito sciamanico in cui si entrava il più possibile in contatto con lo spirito animale per propiziare una cospicua caccia. L’evento, interrotto con l’avvento della seconda guerra mondiale, è stato poi riproposto dal regista Pierluigi Giorgio. Jelsi (CB), 2019.
Perché hai scelto proprio l’orso come animale metafora del rapporto tra uomo e natura?
Sicuramente è una scelta collegata alla mia storia personale, al fatto di essere nato in Abruzzo, alla mia voglia, come dicevo prima, di ricollegarmi con le mie origini, visto che l’orso in Abruzzo è una figura mitica e molto simbolica. Già da bambino ho cominciato ad elaborare la sua presenza, durante le visite al Parco nazionale e la sua forza probabilmente è rimasta impressa nel mio immaginario e nella mia memoria.
Quindi ne La Carne dell’Orso risuona il tuo moto di appartenenza ad un territorio…
I miei genitori non sono abruzzesi, e nemmeno i miei nonni. Per loro, quindi, è stato complicato trasmettermi l’idea di appartenenza all’Abruzzo e al Parco Nazionale. Probabilmente La Carne dell’Orso mi sta servendo anche per la ricerca delle mie radici, per poterle riconoscere quando mi guardo attorno. D’altronde la fotografia mi ha sempre aiutato a capire molte cose di me, e questo caso non fa eccezione.
Faggeta all’interno del territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo. Le foreste coprono il 60% dell’area del Parco, e il 90% di tali foreste è costituito da faggi. Villavallelonga (AQ) ,2019.
E come ti sei mosso per organizzare la tua ricerca?
Mi sono rivolto a delle associazioni che si occupano della conservazione della natura appenninica come Rewilding Apennines o Salviamo l’Orso, entrambe in Abruzzo. Mi hanno permesso di accompagnarli nel loro lavoro per la salvaguardia dell’orso, durante operazioni che servono anche a sensibilizzare le persone riguardo questo tema, soprattutto tra chi abita nel parco o nei paesi limitrofi. Così ho approfondito meglio una questione che è molto sfaccettata e complessa.
Il tuo lavoro di documentazione però non si compone solo di immagini prodotte da te, ma utilizza anche una corposa parte di fotografie d’archivio…
Inizialmente mi sono appassionato alla storia del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise tramite le immagini d’archivio esposte al Museo dell’Orso, ora chiuso, a Pizzone, sul versante molisano del parco. Il Parco Nazionale d’Abruzzo è il parco più antico d’Italia, insieme a quello del Gran Paradiso, con cento anni di storia alle spalle. Prima di diventare un parco era una zona di caccia, riservata solo al re, e fondamentalmente è proprio tale divieto di caccia, a tutti tranne che ai reali, che ha consentito agli orsi di sopravvivere e riprodursi. Se così non fosse stato si sarebbero estinti prima dell’inaugurazione del parco nel 1922.
Proiettili estratti dalla carcassa di un orso bruno marsicano ucciso con colpi di fucile. L’orso venne trovato nella zona della Valle Fredda, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, dove morì a causa di ferite da arma da fuoco all’inguine. Il fucile fu poi sequestrato dal Parco. Carlo Lombardi dall’archivio del PNALM Opi (AQ), 1974.
In seguito ho voluto approfondire l’origine di quelle immagini d’archivio che avevo visto al Museo dell’Orso e ho scoperto che esisteva un archivio molto più vasto conservato nella sede operativa del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise a Pescasseroli. Li ho contattati, proponendo il mio lavoro, che poi è stato accolto e finanziato. Ho avuto accesso all’archivio dei loro negativi, ho scansionato quelli che mi interessavano, per un totale di quasi duemila immagini di cui, successivamente, ho fatto un editing.
Guardiaparco mostrano due cuccioli di orso appena prelevati dalla loro tana ad una folla radunatasi per l’evento nella piazza del municipio. Nel 1943, dopo la morte di un vecchio orso che era stato ospitato nello zoo del Parco, fu volontà dell’Ente introdurre nuovi animali affinché tutti potessero ammirarli. I guardiaparco, dopo aver atteso che la madre uscisse dalla tana, prelevarono i cuccioli di appena un mese. Senza la cura parentale, i cuccioli morirono di lì a poco. Carlo Lombardi dall’archivio del PNALM Lecce dei Marsi (AQ), 1955.
Chi erano gli autori di quelle foto?
Erano i guardiaparchi stessi gli autori delle fotografie, non fotografi professionisti. Il parco aveva una propria camera oscura che è rimasta attiva fino agli anni Settanta. Quindi producevano e stampavano in autonomia. Le foto servivano a documentare quello che accadeva all’interno del parco.
Sei riuscito ad identificare delle tematiche o dei filoni ricorrenti all’interno dell’archivio?
Ho riscontrato delle variazioni in base al cambio del direttore. Ad esempio negli anni Settanta con una direzione illuminata, di sinistra, la popolazione e l’architettura dei paesi racchiusi nel Parco iniziano a comparire visivamente come elementi importanti della sua estetica. Il concetto di Parco Nazionale d’Abruzzo, la sua immagine, cambia, includendo come parte attiva i suoi abitanti. Le fotografie di quegli anni rappresentano in maniera trasversale la vita del Parco, documentando anche, ad esempio, le manifestazioni di dissenso contro la direzione, oltre che gli animali e la natura.
Operazioni di salvataggio di un esemplare di orso bruno marsicano del peso di 108 kg. L’orso, precedentemente ferito con un fucile, venne narcotizzato e trasportato nella sede del Parco di Pescasseroli per cure veterinarie. In assenza di sorveglianza speciale, un pastore sparò alla schiena dell’animale, rompendogli la spina dorsale. L’orso morì dopo una lunga e terribile agonia, nonostante i tentativi di salvataggio da parte del personale del Parco. Il pastore ricevette una multa di 12.000 lire. Carlo Lombardi dall’archivio del PNALM Scanno (AQ), 1973.
Le immagini di archivio manifestano, così, il rapporto tra uomo e natura…
Sì, anche se poi io mi sono concentrato sulla lettura specifica che riguardava la figura dell’orso e soprattutto le tecniche di conservazione nei suoi confronti da parte dell’uomo. C’è un’immagine ad esempio in cui un orso viene trascinato da alcune persone che non lo stanno maltrattando, bensì cercano di salvarlo dopo che è stato ferito da un pastore. L’ambiguità di lettura dell’immagine è un elemento che ho volutamente inserito nel mio lavoro, è insito nella natura della fotografia.
Invece per quanto riguarda il dialogo tra le fotografie di archivio e le immagini prodotte da te? Qual è il loro legame?
Non ho cercato di creare discontinuità tra le immagini, né tanto meno differenziare in compartimenti stagni le foto di archivio dalle mie. Con le due diverse modalità di narrazione volevo sottolineare la complessità della storia, senza porre al centro la differenza tra “oggi” e “ieri”.
Un guardiaparco scaccia un orso confidente usando un fucile caricato con proiettili non letali. Si tratta di una tecnica di condizionamento negativo che prevede la somministrazione continua e coerente di stimoli negativi ad un orso, al fine di ridurre la manifestazione di comportamenti confidenti. Le azioni, svolte da operatori formati, consistono nell’assumere posizioni di dominanza nei confronti dell’orso, produrre rumore e procurare dolore attraverso l’uso di proiettili non letali. Carrito (AQ), 2021.
Un guardiaparco rileva la posizione di un orso radiocollarato che si avvicina ad un villaggio. La radiotelemetria è una tecnica di monitoraggio e ricerca basata sulla cattura di un animale al quale viene applicato un radiocollare. Tale procedura consente il monitoraggio dei movimenti tramite le localizzazioni GPS acquisite dal collare, e la triangolazione del segnale radio emesso dal collare. Carrito (AQ), 2021.
Da dove nasce il titolo La Carne dell’Orso?
Ho tratto ispirazione da Ferro, un racconto di Primo Levi della raccolta Il sistema periodico. “Questo era tutto – la carne d’orso; e ora che sono passati molti anni, mi pento di averne mangiato così poco, perché nulla ha avuto, anche lontano, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare ed essere padroni del proprio destino”. Per me risuonava con il tema centrale del lavoro, il fatto di conferire ad un animale una caratteristica umana e in particolare alla sua carne. La Carne dell’Orso rappresenta a tutti gli effetti il manifestarsi della proiezione dei nostri desideri, umani, sull’animale.
Feto di orso bruno appartenente ai servizi scientifici del Parco Nazionale d’Abruzzo. I feti degli orsi vengono utilizzati per scopi di ricerca. Pescasseroli (AQ), 2021.
All’interno delle grotte di Stiffe (AQ) è stato ritrovato lo scheletro di un orso delle caverne preistorico. La popolazione di orsi dell’Appennino centrale è stata descritta come una sottospecie con il nome di Ursus arctos marsicanus da Giuseppe Altobello, naturalista molisano che studiò la fauna del Molise e dell’Abruzzo nel 1921. Altobello notò delle somiglianze tra il cranio dell’orso bruno marsicano e quello dell’orso delle caverne preistorico. San Demetrio dei Vestini (AQ), 2020.
Che valore ha, per te, l’orso?
Sono tornato recentemente al Parco Nazionale dopo molto tempo che mancavo, ho visto un po’ di cervi, di volpi, e di altri animali e trovo sempre la loro visione un evento magico. Vedere un animale selvatico in natura genera sempre, in me, questa sorta di sentimento e di emozione, una specie di apparizione. È come se, per un attimo, si bucasse la realtà e mi trovassi in una dimensione altra. Come dicevo prima, però, c’è da considerare, nella lettura che noi facciamo della natura e nel caso specifico dell’orso, la proiezione dei nostri desideri. L’esserne attratti è una questione molto complessa.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Carlo Lombardi e su Giovane Fotografia Italiana sono disponibili sui rispettivi siti ufficiali: https://www.carlo-lombardi.com/carlo-lombardi.com e fotografiaeuropea.it.