In oltre quarant’anni di carriera Jeff Corwin ha navigato nella fotografia commerciale per poi approdare alla fine art, mantenendo un inconfondibile stile basato su equilibrio, ritmo, linee e ripetizioni.
Ecco i principi essenziali su cui Jeff Corwin ha costruito la sua intera carriera fotografica, sviluppando una personale estetica rigorosa e coerente, riconoscibile tanto nella sua sconfinata produzione di immagini commerciali, quanto nella sua più recente attività di fotografo fine art. Nel corso degli anni Corwin ha realizzato servizi fotografici nelle situazioni più stravaganti: appeso a un elicottero che sorvolava il fiume Tamigi, immerso nelle selvagge foreste del Borneo, sulle piattaforme petrolifere del Golfo del Messico, a bordo della portaerei italiana Giuseppe Garibaldi, solo per citarne alcune.
Ha lavorato in 41 Paesi e 5 continenti, accettando incarichi da portare a termine sopportando i 45°C della torrida Abu Dhabi e i -40°C delle gelide terre del Canada, nutrendo con abbondanza la prestigiosa lista dei suoi clienti che annovera aziende del calibro di Microsoft, Dell, Apple e Boeing. Jeff Corwin ha puntato l’obiettivo su Bill Gates e altri volti noti come Cesar Chavez, Ray Bradbury, Michel Graves e Gloria Allred e oggi, appagato dalla sua escalation di successi fotografici che hanno sempre incontrato il favore dei committenti, si dedica esclusivamente alla fotografia fine art. Tuttavia, l’approccio a questo nuovo capitolo di produzione fotografica non ha tradito la visione maturata negli anni di carriera commerciale, piuttosto ripropone i cardini degli anni focalizzati sui servizi fotografici per uffici aziendali, industrie, e compagnie aerospaziali. Uno sguardo alla corposa parentesi di fotografia commerciale di Jeff Corwin, dunque, può essere illuminante per comprendere l’essenza di questo “autore tuttofare” che abbiamo intervistato.
Quanto tempo e quanta libertà di movimento ha a disposizione un fotografo che lavora per una compagnia aerospaziale?
È diverso ogni volta. Mi è stato chiesto di entrare e uscire dal mio ambiente di lavoro in meno di un’ora, come pure è capitato che mi siano stati concessi addirittura due giorni. Spesso dipende dal cliente e dalla sua capacità di comprendere l’entità del lavoro necessario alla realizzazione di una specifica fotografia, ma la verità è che in molte occasioni il tempo a disposizione può essere anche fuori dal suo controllo per svariate ragioni. Uno scatto per tre veicoli Boeing – un F18, un F15 e un UCAV – richiese due giorni di lavoro: dovevamo cercare il luogo più adatto, e il primo giorno trascorse così. Il mattino seguente posizionammo i jet e passammo la giornata a pianificare l’illuminazione sapendo che avrei effettuato le riprese al tramonto, perfezionando il tutto al calar del sole. Basta dare un’occhiata alle mie fotografie per capire che l’illuminazione di soggetti di grandi dimensioni ha sempre fatto parte del mio processo di lavoro e perciò, quando possibile, dedicavo dalle tre alle sei ore a ogni singolo fotogramma. Per quanto riguarda la libertà di movimento, nella maggior parte dei casi non ero autorizzato a muovermi intorno a un velivolo come meglio credevo, e lavoravo sotto l’occhio supervisore di un contatto locale incaricato dal cliente. Questo non solo per impedire che io fuggissi a bordo di un cacciabombardiere F18, ma soprattutto per assicurare la mia incolumità.
Qual è l’attrezzatura necessaria per riprese di questo livello? Eri supportato da un assistente?
Durante questo genere di lavori avevo uno o due assistenti e ho sempre lavorato con fotocamere medio formato. All’inizio, prima dell’avvento del digitale, utilizzavo vari corpi Hasselblad, nello specifico CM, ELD, ed ELX; le equipaggiavo con obiettivi Zeiss 40mm e 50mm, che è il mio preferito, e poi 80mm, 150mm, 250mm e 350mm; il corredo era, ovviamente, completato da molti dorsi. Quando la pellicola non ha più goduto dei favori dei committenti, sono passato a una PhaseOne P45+ con dorso digitale che si adattava al mio precedente corredo, affiancandole una PhaseOne P30+ di supporto. Per l’illuminazione mi sono sempre affidato a flash ProFoto, in particolare con un kit composto da tre generatori, sei lampade dotate di vari modificatori, come griglie, soft box e ombrelli. Ci sono situazioni in cui non serve tanta luce e casi in cui ne occorre tre volte tanta: per il ritratto ambientato di Louis Chenevert, il CEO della United Technologies, furono necessari due giorni di lavoro, 9 generatori e 18 monotorce.
Ti piace definirti un problem solver, ossia risolutore di problemi, piuttosto che un fotografo. Come hai risolto la gestione dell’illuminazione di soggetti così grandi?
Da subito fu chiaro quanto fosse importante la luce per le mie fotografie, e volevo che essa divenisse un elemento riconoscibile del mio lavoro, capace di definire il mio stile fotografico. Compresi presto la relazione tra luce naturale e artificiale e il modo migliore per manipolare entrambe, e da allora mi basta arrivare sul posto per capire cosa posso ottenere dal punto di vista dell’illuminazione. Il modo migliore per rendere più evidente la luce artificiale in esterni consiste nell’escludere la luce ambiente mediante tempi di scatto rapidissimi e utilizzare flash molto potenti. Questo crea l’effetto teatrale che cerco, e in uffici o ambientazioni aziendali aiuta a eliminare l’eventuale confusione sullo sfondo portando l’attenzione sul soggetto. Il più delle volte il problema da risolvere prescinde dall’illuminazione e riguarda, piuttosto, la scarsità di tempo per le riprese, l’improvviso malfunzionamento dell’attrezzatura, o il momento in cui si è costretti a scattare.
Tempo fa lavorai con un art director che mi raccontò una storia vissuta sul set allestito per ritrarre il CEO di un’importante compagnia. L’orario delle riprese era fissato intorno alle 7 del mattino, ma il giorno stesso il fotografo venne informato di un cambio di programma nell’agenda del CEO, che lo avrebbe visto arrivare più o meno a mezzogiorno, ossia quando le condizioni di luce sono solitamente tutt’altro che ideali per realizzare un ritratto in esterni. All’aggiornamento da parte dell’art director, il fotografo rispose: “Io non scatto all’aperto a mezzogiorno”. L’art director si voltò immediatamente verso l’assistente e disse: “Tu scatti all’aperto a mezzogiorno?”. Ovviamente la sua risposta fu affermativa, e così l’assistente ottenne l’incarico. Un ottimo esempio di come non si risolve un problema…
La scuola di Arnold Newman ti ha introdotto al ritratto ambientato, specialità che hai esplorato in ogni modo possibile. Tuttavia, è evidente che l’architettura gioca quasi sempre un ruolo fondamentale nella contestualizzazione dei tuoi soggetti. Perché?
Bella domanda. Le teorie di Arnold Newman prevedevano l’inclusione dell’ambiente nel ritratto, al fine di comunicare qualcosa in più sul soggetto ripreso. Questo concetto mi accompagna da sempre. Il mio progetto dedicato agli architetti americani ha proprio questo scopo: valorizzare e definire dei soggetti circondandoli degli elementi che essi stessi creano. Nel mondo della fotografia commerciale, la comunicazione è la chiave del successo di un’immagine. Tuttavia, spesso il contesto a disposizione non è idoneo. Per questa ragione ricorro spesso a una contestualizzazione architettonica, soprattutto perché l’architettura offre elementi da cui sono attratto da sempre – come linee forti, texture e forme che si ripetono – e che traggono vantaggio dall’illuminazione artificiale di cui faccio uso. Ci tengo a sottolineare che la fotografia di Arnold Newman e il suo pensiero critico sono il mio punto di riferimento per qualsiasi lavoro.
Cosa significa fotografia fine art per te?
Una risposta secca: la fotografia che non ha scopi commerciali. Detto questo, ho sempre affrontato il mio lavoro commerciale in maniera decisamente personale cercando di creare una sinergia tra la mia visione e il messaggio da veicolare all’osservatore per conto della committenza. Spesso, sul set, i clienti mi domandavano: “Si occupa anche di fotografia personale?”, e la mia risposta era sempre la stessa: “Sì, lo sto facendo proprio qui, in questo momento”. La fotografia fine art a cui mi dedico adesso, allo stesso modo, è influenzata al 100% dai quarant’anni della precedente attività. Le linee forti, le forme grafiche, la simmetria e le ripetizioni sono forti punti di contatto tra i lavori di tutta la mia produzione, elementi essenziali della mia visione.
Su una scala da uno a dieci quanto conta la composizione?
Se dieci è il massimo, dieci! Noto, nel mondo della fotografia, una continua tendenza ad allontanarsi dalla visione classica, a produrre immagini che sembrano ignorare intenzionalmente i principi di illuminazione e composizione, ma forse sto semplicemente invecchiando. Uno dei primi ritratti realizzati da Newman che mi torna in mente è quello del pittore Piet Mondrian. Al di là del suo modo di impiegare il colore, Mondrian componeva in maniera classica, interveniva su uno spazio vuoto inserendovi dei rettangoli. Questo è ciò che facciamo anche noi fotografi: interveniamo sullo spazio mediante una forma rettangolare che ne seleziona una porzione. Ancora oggi continuo a fare esercizi di composizione posizionando il mio rettangolo per tenere in allenamento la mente, ma sempre con un approccio classico.
Bio
Classe 1954, Jeff Corwin nasce in California, a Los Angeles, e conosce la fotografia a 15 anni, nella camera oscura allestita dal padre nell’unico bagno della loro casa. A 18 anni diviene l’assistente di un fotografo che lo introduce nel mondo della fotografia professionale, nello specifico nella fotografia aziendale. La svolta della sua carriera consiste nell’incarico assegnatoli da Les Daly, Vice Presidente delle comunicazioni della Northtrop Corporation nel 1980. Da allora lavora per molte aziende prestigiose tra le quali Microsoft, Rockwell, Nintendo, Apple, Coca-Cola, Dell e Rolls-Royce; viaggia in 41 Paesi e dalla metà alla fine degli Anni ’80 è corrispondente freelance per le testate Time, Forbes Magazine e Fortune. Ritrae moltissimi volti noti, ad esempio Bill Gates, Cesar Chavez, Michael Dell e Louis Chénevert (7 volte CEO della United Technologies), e la sua pluridecennale produzione fotografica gli vale diversi riconoscimenti. Da tre anni si dedica esclusivamente alla fotografia fine art. jeffcorwinphoto.com