Chi è nato in Abruzzo sa bene che lì, da sempre, le pecore fanno girare l’economia e sfamano intere comunità.
Chi è nato ai piedi del Gran Sasso, come Davide Ferella, sa anche che troppe volte il passo incalzante della modernità calpesta storia e tradizione, dimenticando la tempra e la tenacia silenziosa dei pastori che “ancora oggi” – dice Davide – “continuano a reggere sulle gambe il peso delle montagne”.
Per omaggiare quegli uomini che provano a resistere al tempo che passa, Davide ha deciso di seguirli e fotografarli nelle loro attività quotidiane per sei mesi, sulle montagne del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Il primo protagonista – di otto – è stato Mario, figlio di un pastore transumante, uno di quelli che a settembre lasciavano gli alpeggi con migliaia di pecore e camminavano per giorni sotto le intemperie, lungo chilometri di tratturi, finché non raggiungevano la Puglia per lo svernamento delle greggi in una terra dal clima meno rigido.
Una volta avviato il progetto, gli altri contatti son saltati fuori in modo piuttosto naturale, attraverso il passaparola o tramite uno scambio di battute con i pastori incontrati durante le giornate al pascolo. “Mi avvicinavo – ci ha raccontato il fotografo – sempre dopo aver chiesto il permesso di farlo. Mai avvicinarsi ad un gregge senza il benestare del pastore, perché i suoi cani possono essere pericolosi”.
Sono tanti gli scatti di Davide in cui compaiono i cani. Nella vita dura e lenta dei pastori nascono alcuni legami splendidi e inscindibili: con le pecore, con la montagna e con i cani, sia quelli da conduzione – comunemente detti cani paratori – che quelli da guardiania, i famosi pastori abruzzesi.
Fotografare la vita dei pastori da vicino
Tutte le fotografie sono state scattate con una mirrorless Sony A7C II, prevalentemente con ottiche grandangolari: un 20mm, un 24mm e un 28mm. “Qualche scatto è stato realizzato con un 50mm – ha aggiunto Davide – e raramente sono andato oltre gli 80mm, perché ci tenevo a essere sempre dentro la scena”.
Per entrare nel cuore della vita di un pastore abruzzese, chiaramente, non è sufficiente accorciare la lunghezza focale: occorre tuffarsi nella sua routine, ad esempio facendo campo base a L’Aquila, montando in auto di buon’ora per raggiungere il pastore di turno in circa quaranta minuti di viaggio, assistendo alla mungitura e alle altre faccende quotidiane per poi uscire al pascolo intorno alle ore 11.
“Mi è capitato di trascorrere sette o otto ore al pascolo”, ha spiegato il fotografo, “percorrendo più di quindici chilometri con un dislivello di oltre 500 metri. Ho avuto occasione di partecipare anche alla giornata della tosatura, ‘carosa’ in abruzzese, una pratica che richiede grande maestria da parte del pastore. Dopo un intero pomeriggio passato a tosare pecore si cena tutti insieme davanti ad un bel bicchiere di vino”.
Per sei mesi, quasi ogni giorno, Davide ha reimpostato i suoi ritmi uniformandoli a quelli dei pastori, scanditi dall’andamento del sole e dall’incedere puntuale delle stagioni; ha assaporato i silenzi, ha ascoltato racconti di transumanza, di lupi e di nevicate apocalittiche.
Gli abbiamo domandato se consiglierebbe ai giovani un’esperienza di affiancamento simile alla sua, a prescindere dall’intento fotografico. Ci ha risposto: “Consiglierei a chiunque di passare una giornata al pascolo. Si impara molto, soprattutto a dare il giusto peso alle cose. Si impara il valore della fatica e della rinuncia e ci si riconnette con la parte più ancestrale di sé. La montagna è un’ottima maestra di vita”.
Relativamente al suo progetto fotografico Davide ha aggiunto: “Scegliere di raccontare i pastori è scegliere di tornare alla terra, tornare ad una fotografia essenziale, priva di orpelli e moderni cliché. Ho deciso di farlo in bianco e nero, che è il mio linguaggio, ma che è anche il linguaggio del tempo che resta.
Un lavoro, il mio, lungo e impegnativo, ma che da abruzzese credo valga la pena fare, perché rischiamo, nel giro di qualche decennio, di non vedere più le greggi tra le montagne d’Abruzzo.
Il mio progetto vuole consegnare a chi verrà un’eredità importantissima, l’identità di una terra fatta anche delle fatiche e del sudore di questi uomini antichi.
I pastori d’Abruzzo possono essere molto schivi, ma se ci si avvicina a loro con discrezione e rispetto, è assai probabile che si riesca a entrare nelle loro vite. A me è successo ed è stata una delle esperienze più formative e arricchenti della mia vita”.

Bio e contatti
Nato a L’Aquila nel 1992, Davide Ferella si è avvicinato alla fotografia in giovane età spinto dal desiderio di comunicare attraverso le immagini. Specializzato in fotografia di reportage in bianco e nero, ha esposto in vari festival nazionali e ha tenuto conferenze per associazioni e circoli fotografici.
Ulteriori immagini di Davide Ferella sono visibili sul suo sito davideferella.it e sul suo profilo Instagram 30cinquemillimetri.
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