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Home MOSTRE & CONCORSI MOSTRE FOTOGRAFICHE RACCONTI D'AUTORE

“1,2,3… Couleur!”: in mostra la vera storia del colore in fotografia

Dalle prime conquiste dell'Ottocento al Kodachrome, passando per la fecola di patate dei fratelli Lumière.

Giulio Piovesan di Giulio Piovesan
19 Febbraio 2023
in RACCONTI D'AUTORE
Anonyme, Portrait de Jean Paris, laboratoire, vers 1907. © Collection AN
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Le evoluzioni tecnologiche che investono la fotografia la fanno apparire come un linguaggio sempre giovane e fresco. Se da una parte è così, dall’altra è vero che la sua storia è ricca di corsi e ricorsi e che alcune pagine della sua biografia non aspettano che di essere rilette.

Una delle supposizioni più infondate in cui si inciampa quando si muovono i primi passi nel mondo della fotografia è che il colore sia arrivato tardi, magari con quegli scatti degli anni Sessanta e Settanta che fanno tanto reportage da National Geographic o materiale d’archivio di supporto a una serie televisiva. Invece le prime immagini a colori risalgono a ben più addietro, per la precisione alle scoperte brevettate nel 1868 dal francese Louis Ducos du Hauron, il quale le comunicò all’intera comunità artistica e scientifica con un libro pubblicato l’anno seguente (Les Couleurs en Photographie, Solution du Problème). Purtroppo per lui dovette condividere il momento di gloria con il connazionale Charles Cros, che nello stesso anno diede alle stampe un volume da lui redatto (Solution Générale du Problème de la Photographie des Couleurs).

Il procedimento dei fratelli Lumière

Ma nei libri di storia della fotografia le conquiste pratiche e teoriche di entrambi vengono spesso offuscate dal procedimento per sintesi additiva dei fratelli Lumière: chiamato autocromia, venne brevettato nel 1903 e introdotto sul mercato nel 1907. Si tratta di una tecnica che consiste nel registrare i colori del soggetto grazie a uno strato di fecola di patate spalmato su una lastra di vetro. I granelli di fecola – pigmentati di verde, blu-violetto e arancione – producono un’immagine in negativo che, una volta invertita, può essere guardata in controluce o proiettata con l’ausilio di una lampada.

Facile intuire come i fratelli che avevano inventato il cinema ebbero immediatamente successo anche con il loro contributo all’evoluzione della creazione di immagini fisse. Tra i loro primi estimatori ci furono due padri nobili della fotografia americana. Edward Steichen affermò che si trattava “del più bel processo che la fotografia ci abbia mai offerto per riprodurre la natura” e Alfred Stieglitz gli fece eco annunciando che “presto il mondo intero esploderà di colori, e il merito sarà dei Lumière”.

Dall’autocromia dei fratelli Lumière alla fotografia alternativa

L’autocromia è un processo laborioso che richiede un approccio da alchimista che fa sembrare un gioco da ragazzi le fasi di sviluppo e stampa nella tradizionale camera oscura illuminata dalla lampadina rossa. Eppure tutt’oggi c’è chi vi si dedica, come si legge nei vari siti web dedicati alla cosiddetta ‘fotografia alternativa’ (vale a dire tutta quella che non viene realizzata in digitale o con la classica pellicola). C’è addirittura chi pubblica, come l’americano Jonathan Tod Hilty, delle guide per spiegare passo passo come preparare, esporre e sviluppare le lastre per l’autocromia. Però c’è da notare che ciò che in quest’epoca può essere un hobby per appassionati che hanno voglia di sporcarsi le mani, all’inizio del secolo scorso riscosse certamente un immediato interesse da parte di artisti e studiosi di ottica ma venne presto accantonato proprio perché troppo costoso in termini di tempo e impegno.

Anonyme, Façade de la maison de couture Paquin rue de la Paix, décorée à l’occasion de la venue du roi George V et de la reine Mary à Paris, 1914. © Collection AN
Anonyme, Kiosque de fleuriste, vers 1912. © Collection AN
Anonyme, Bouquet de violettes, s.d. © Collection AN
Anonyme, Rocking chair sous le porche, États-Unis s.d. © Collection AN
Léon Gimpel (attribué à) L'autochromiste, vers 1920. © Collection AN
Jules Gervais, Courtellemont Mosquée de la maison de l'écrivain Pierre Loti Rochefort, 1921. © Collection AN

Infatti l’autocromia, pur non scomparendo mai dal mercato, cadde suo malgrado in disgrazia e il colore fu riscoperto nuovamente solo nel 1935, allorquando la Eastman Kodak introdusse le pellicole Kodachrome. Tuttavia alcune lastre create con il processo dei fratelli Lumière sono sopravvissute all’inclemenza del tempo e di tanto in tanto capita di vederle spuntare nei cataloghi delle case d’asta o nella programmazione espositiva di qualche museo. Al momento l’occasione di ammirarne quasi duecento viene offerta da una mostra allestita nel castello della cittadina francese di Tours.
L’esposizione è corredata da un piccolo libro, ma in commercio si trovano molte altre pubblicazioni sugli albori della fotografia a colori che sono sicuramente in grado di essere più esaustive.

Il più bel processo che la fotografia ci abbia mai offerto per riprodurre la natura.
Edward Steichen a proposito dell'autocromia

Nel castello di Tours la mostra “1, 2, 3… Couleur! L’Autochrome Exposée”

L’antologica, intitolata 1, 2, 3… Couleur! L’Autochrome Exposée e organizzata con il sostegno del museo parigino Jeu de Paume , raccoglie opere provenienti da due collezioni: la Collection AN di Soizic Audouard ed Élizabeth Nora e quella della Médiathèque du Patrimoine et de la Photographie. Si tratta dunque di due fondi distinti, uno privato e uno pubblico. Del primo si è sfruttata la varietà di autori e soggetti in esso contenuti, mentre dal secondo è stata attinta una selezione ben circoscritta di immagini. Infatti tutti gli scatti della sezione riguardano la prima guerra mondiale e sono per la maggior parte foto di Paul Castelnau e Fernand Cuville, che nel 1917 divennero gli ‘autocromisti’ ufficiali della grande guerra per conto dell’esercito. 

Paul Castelnau e Fernand Cuville: gli 'autocromisti' della Grande Guerra

Alla coppia va riconosciuto il merito di avere prodotto un consistente numero di testimonianze della vita quotidiana in prima linea, nonostante la tecnica da loro impiegata richiedesse dei tempi di esposizione lunghi e quindi fosse difficilmente adattabile alla dinamicità di un conflitto bellico. 
Anche per ovviare a questo problema Castelnau e Cuville puntarono l’obiettivo soprattutto sulle rovine immobili causate dalla guerra e se ritraevano i soldati lo facevano durante i momenti di quiete, quando gli uomini in divisa si potevano permettere di posare per loro. Sfortunatamente tali reportage fotografici non ebbero una grande diffusione all’epoca; tuttavia vennero conservati in diversi archivi e oggi rappresentano un’importantissima testimonianza non solo del primo grande conflitto del Novecento ma anche del fatto che ogniqualvolta si scrive una pagina di storia c’è un fotografo pronto a immortalarla, magari facendo ricorso a una tecnologia che solo successivamente diventerà di uso comune.

1, 2 ,3… Couleur! L’Autochrome Exposée

  • Château de Tours, 25 Avenue André Malraux – Tours (Francia)
  • dal 2 dicembre 2022 al 28 maggio 2023
  • martedì-domenica, 14-18
  • intero 4,20 euro, ridotto 2,10 euro
  • chateau.tours.fr
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