Sono realtà assurde e paradossali quelle che inscena Katerina Sysova con la sua staged photography, ma se ci si avvicina con attenzione al suo lavoro si percepisce come le sue immagini siano stratificate: sotto al manto dell’apparenza, colorato e pop, ironico e divertente, si annida una profonda consapevolezza di pensiero. Nelle sue immagini, infatti, si ritrova una certa critica alla comunicazione contemporanea ma anche un’analisi accurata della storia e della politica dei Paesi, oltre ad una profonda conoscenza dell’iconografia classica. Sysova cerca quindi di attrarre l’attenzione dello spettatore con l’estetica per poi rivelare il suo pensiero visivo e sociale. L’abbiamo intervistata per sapere di più sul suo lavoro.
Cosa ti ha portato alla staged photography come tua espressione eletta?
Ho iniziato la mia carriera con un approccio documentaristico alla fotografia, studiando giornalismo e frequentando una scuola in cui tale approccio era molto enfatizzato. Nel tempo, però, ho capito che per me era più significativo considerare la fotografia una sorta di tela bianca, come fa un pittore. Questo cambiamento mi ha portato ad esplorare la staged photography, attraverso cui potevo comporre e creare immagini in maniera più controllata e con maggiore intenzione artistica.
La tua pratica fotografica porta alla luce una forte critica alla società contemporanea. Da dove nasce questa tua intenzione?
La critica alla società contemporanea nella mia fotografia è profondamente influenzata dalle mie esperienze personali, in particolare dall’essere cresciuta in Repubblica Ceca, con una madre tedesca. La mia vita, fin da giovane, mi ha permesso di avere uno sguardo sensibile alle differenze culturali e sociali. Non si tratta solo di criticare, si tratta di comprendere ed evidenziare tali differenze in un modo che risuoni a un livello più ampio e universale. Questo approccio è ulteriormente arricchito dal mio background accademico in storia dell’arte, che mi ha mostrato come la cultura visiva possa riflettere e sfidare efficacemente le norme sociali. Tutti questi elementi hanno condotto la mia pratica fotografica non solo a documentare, ma soprattutto a mettere in discussione e commentare il mondo che ci circonda.
Nelle tue immagini, infatti, appaiono evidenti rimandi alla tradizione pittorica antica. Chi sono i tuoi riferimenti e cosa connette quello sguardo estetico e compositivo alla società contemporanea?
Nel mio lavoro spesso attingo alle tradizioni della pittura classica, in particolare al periodo barocco e rinascimentale. Artisti come Caravaggio e Vermeer hanno influenzato significativamente il mio approccio, soprattutto con la loro padronanza della luce e della composizione. Ciò che mi affascina di questi periodi è il modo in cui questi artisti hanno catturato non solo la forma umana, ma anche le emozioni sottostanti e il dramma della vita quotidiana.
Sono convinta che molti elementi nell’arte siano universali e ciclici. Motivi e temi possono riemergere in stili o espressioni diversi, adattandosi alle tendenze e ai climi culturali attuali, ma il loro significato fondamentalmente rimane lo stesso.
Quanto è importante l’elemento ironico per il tuo lavoro?
L’umorismo gioca un ruolo cruciale nella mia pratica fotografica perché funge da punto di accesso a soggetti e temi più profondi, a volte difficili. Introduco l’ironia nel mio lavoro con l’obiettivo di disarmare gli spettatori, rendendoli più ricettivi ai messaggi di fondo. L’umorismo, in questo senso, non è solo uno strumento di intrattenimento, ma un metodo strategico per promuovere comprensione ed empatia, rendendo l’esplorazione di temi diversi e significativi più accessibile e riconoscibile.
Puoi raccontarci il tuo ultimo progetto, Kukbuk?
Il mio ultimo progetto, Kukbuk, è una serie fotografica che mette in scena un panorama contaminato tra cucina e cultura. È iniziato con una riflessione spensierata sui significati letterali e figurativi di cui le frasi comuni legate al cibo sono intessute. Il mio scopo è scoprire e criticare le narrazioni stereotipate che animano le nostre abitudini culinarie e il modo in cui queste riflettono tendenze e stereotipi culturali più ampi. Questa serie invita gli spettatori a riconsiderare l’atto ordinario del mangiare come un momento carico di espressione culturale e di riflessione sociale.
Perché ti sei concentrata particolarmente sul cibo?
Concentrarmi sul cibo mi permette di esplorare pratiche culturali profondamente radicate. Il cibo è un aspetto universale della vita umana, ma porta con sé significati unici in culture diverse, incarnando tradizioni, norme sociali e influenze storiche ed economiche. Nella Repubblica Ceca, ad esempio, la dieta prevalente a base di carne è un’eredità delle politiche socialiste che hanno promosso la disponibilità di carne a basso costo. In origine, tali alimenti erano considerati oggetti di lusso, consumati principalmente in occasioni speciali come la domenica. Tuttavia, sotto il socialismo, veniva propagandata l’accessibilità alla carne per tutti, anche se spesso a scapito della qualità.
La realizzazione delle tue immagini è il risultato di un lavoro di équipe?
Di solito lavoro da sola perché mi consente un ambiente più intimo e concentrato, che è fondamentale quando devo catturare l’energia unica tra me e i miei modelli. Questa nostra connessione personale è importantissima per dare vita alle fotografie. Tuttavia, sono interessata a esplorare scene più complesse in futuro, il che richiederebbe probabilmente uno sforzo collaborativo con un team. Questo cambiamento consentirebbe composizioni più ricche ed elaborate, mantenendo al contempo la dinamica essenziale tra il fotografo e il soggetto.
I tuoi soggetti sono dei modelli professionisti?
Alcuni dei miei soggetti sono modelli professionisti, ma lavoro anche con persone comuni che incontro nella vita di tutti i giorni, per strada, agli eventi o durante i miei viaggi. Questo mio alternare modelli professionisti e non aggiunge profondità e autenticità al mio lavoro.
Prima abbiamo parlato dei tuoi riferimenti pittorici. Vuoi raccontarci, invece, a quali fotografi ti ispiri?
Traggo ispirazione da una vasta gamma di fotografi, ma Cindy Sherman e Gregory Crewdson sono stati particolarmente influenti nel mio lavoro. La capacità di Cindy Sherman di trasformarsi e, con le sue ‘maschere’, di criticare la società contemporanea, ha sempre avuto un impatto fortissimo su di me e sul mio lavoro. Come anche i primi lavori di Gregory Crewdson, con la loro qualità cinematografica e la messa in scena profondamente atmosferica.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Katerina Sysova sono disponibili sul sito sysova.cz.
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