Da Spot Home Gallery di Cristina Ferraiuolo, a Napoli, fino al 12 aprile è esposta la mostra di Anaïs Tondeur, Fiori di fuoco – Testimoni delle ceneri. L’esposizione è il risultato di una ricerca sul campo da parte della fotografa di Parigi; nello specifico, in questa occasione, Tondeur si è ritrovata a imprimere su superfice fotosensibile le piante ruderali della Terra dei Fuochi, territorio campano noto alla cronaca per la tossicità del suo terreno.
Unendo riflessioni che abbracciano filosofia, botanica, senso civico e ambientale ed estetica, Fiori di fuoco è un progetto che racconta di processi di resistenza, della forza della natura, in una zona in cui l’uomo ha agito da predatore, da colonizzatore. Per questo motivo il progetto di Anaïs, nella sua poeticità narrativa, fa trasparire anche una chiara denuncia sociale e politica.
Tempo fa avevamo parlato insieme del tuo Chernobyl Herbarium, atlante delle piante radioattive di Chernobyl. Ora hai spostato l’attenzione sulle piante rustiche che crescono in Campania, nella Terra dei Fuochi. Perché questa scelta?
Dopo Chernobyl Herbarium, Fiori di Fuoco è il secondo atto di un progetto di ricerca, un impegno filosofico e fotografico, teso a raccontare le piante che prosperano in terreni estremi, in questo caso nella Terra dei Fuochi, in Campania.
Ho cercato le piante in nove siti contaminati da decenni dall’interramento e la combustione di rifiuti tossici, lungo un asse che si estende dalle pendici del Vesuvio fino al Lago Patria. Il loro nome latino, ‘ruderale’, deriva da ‘rudus’, che significa ‘macerie’ o ‘detriti’. Questo termine, introdotto dal naturalista Carl von Linné, descriveva originariamente le piante che crescevano tra le rovine, come lui le aveva viste nei siti archeologici.
Tuttavia, Linné non poteva prevedere che queste piante sarebbero prosperate in terreni saturi di ferro, fosfati e nitrati e che a loro modo avrebbero contribuito alla guarigione di terreni fortemente inquinati. Ho rivolto la mia attenzione a queste piante ruderali, cercando di imparare da loro, considerandole come esseri che sfuggono al controllo, che vivono ai margini del capitalismo. Come suggerisce Teresa Castro, questo progetto si focalizza sul valore politico del vivere portando ciò che è invisibile e dimenticato nello spazio della città. Significava quindi pensare alla città come uno spazio condiviso di cura e riconoscimento reciproco, uno spazio in cui possiamo ‘creare un mondo’ anche nel mezzo della devastazione.
Qual è il processo fotografico che sta dietro alla produzione di un’immagine di Fiori di fuoco - Testimoni delle ceneri?
Il processo fotografico si basa sulla fitografia, una tecnica con cui invito le piante a rivelare le loro impronte direttamente su una superficie sensibile alla luce, senza la necessità di uno sviluppo fotografico tradizionale. Questo metodo di fotografia a contatto si basa su una reazione chimica tra le molecole di fenolo, naturalmente prodotte in eccesso dalle piante in risposta alla contaminazione da metalli pesanti nel terreno, e le particelle d’argento della superficie fotosensibile.
Mettendo la pianta a contatto diretto con la carta e utilizzando la cenere presente sul terreno della Terra dei Fuochi come attivatore naturale, l’immagine emerge. Per questo motivo lavoro sul posto, nell’ambiente naturale della pianta, senza estrarla dal terreno. Utilizzo una camera oscura mobile al momento di mettere la pianta a contatto con la superficie sensibile alla luce, e in seguito la espongo alla luce intensa del sole della Campania.
Se nelle immagini di Chernobyl la radioattività produceva una certa estetica, nel caso delle piante della Terra dei Fuochi, il fenolo che apporto visivo conferisce alle tue immagini?
In Chernobyl Herbarium, le immagini recavano tracce spettrali di radiazioni, una presenza invisibile ma materialmente inscritta. In Fiori di Fuoco, invece, l’eccesso di fenolo nelle piante che crescono in terreni tossici reagisce con la superficie fotosensibile. Il processo fitografico raccoglie questo eccesso su una superficie che può essere carta o tessuto di grandi dimensioni che riciclo direttamente dalla terra desolata, e lo manifesta come sottili linee marrone scuro. A differenza di un fotogramma tradizionale, in cui un oggetto blocca la luce per produrre un’immagine negativa, la fitografia invita la pianta a iscrivere la propria presenza.
Come l’estetica finale del tuo progetto segue le asperità e le complicanze del territorio, ecologiche, ma anche sociali e politiche?
L’estetica di Fiori di Fuoco cerca di andare oltre una semplice rappresentazione della Terra dei Fuochi, promuovendo una relazione con le comunità vegetali che abitano questo territorio e riflettendo le molteplici storie incastonate al loro interno. Il lavoro cerca di rivelare molteplici prospettive, proprio come la terra stessa, che custodisce storie intrecciate di vite umane e non umane, collegando il passato e il presente della regione. In effetti, la Terra dei Fuochi porta con sé una memoria profonda: rinomata per la sua straordinaria fertilità, il suo suolo è stato modellato dalla cenere vulcanica del Vesuvio e da millenni di decomposizione organica, formando strati di humus spessi più di un metro, in alcune aree.
Dagli anni ’60, tuttavia, questa stessa terra è stata trasformata in una discarica per rifiuti pericolosi, la sepoltura e l’incenerimento dei quali hanno lasciato tracce visibili e invisibili nel paesaggio.
I processi al centro di Fiori di Fuoco abbracciano queste cicatrici, rendendole tangibili all’interno del tessuto visivo e concettuale del progetto. Lavorare direttamente sul campo, nelle zone contaminate, è diventato un modo per confrontarsi con la precarietà del territorio, dove l’ingiustizia ambientale si interseca con la negligenza politica. Questo sforzo è stato reso possibile dal contributo essenziale di Cristina Ferraiuolo, curatrice e intima conoscitrice della regione, dalla collaborazione del filosofo Michael Marder e dal lavoro sul campo condotto insieme ad agronomi, botanici e comunità locali, ognuno dei quali ha rivelato non solo le ferite, ma anche la vitalità ecologica che prospera lungo tutto il territorio.
In mostra compaiono anche fotografie di frammenti di vite vegetali carbonizzate ritrovate durante gli scavi archeologici di Pompei. L’estetica della rovina di questo tipo di immagini come dialoga, simbolicamente, con il tuo erbario?
In effetti, la mostra presenta anche una serie di fotografie di resti vegetali carbonizzati, fossilizzati dalle nubi di fuoco vulcanico durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Ho potuto fotografare queste reliquie grazie all’archeologa e botanica Chiara Comegna, nel suo laboratorio a Pompei, dove frammenti carbonizzati di tronchi, frutti ed erbe sono conservati in grandi cassetti di ferro. La maggior parte dei resti fotografati è stata trovata in un prato di Oplontis, che era stato appena falciato prima dell’eruzione. Come le piante che si incontrano nella Terra dei Fuochi, anche queste sono piante spontanee che crescono ai margini della città.
Molte di esse sono descritte da Plinio il Vecchio nei libri dal 12 al 27 della Naturalis Historia. Sono stati questi frammenti organici carbonizzati a condurci per primi alla conoscenza delle piante del presente, che crescono oggi tra le ceneri della Terra dei Fuochi. Le otto fotografie sono stampate con inchiostro a base di carboncino e presentate in dialogo con le radici che ho trovato nei siti bruciati della Terra dei Fuochi. Questa giustapposizione apre una prospettiva storica sulla relazione millenaria tra le piante e gli incendi della regione, sia vulcanici che innescati dall’azione umana.
In Fiori di fuoco - Testimoni delle ceneri il filosofo Michael Marder interagisce direttamente con le tue immagini, producendo delle lettere rivolte ad ogni singola pianta riprodotta. Qual è il valore dei suoi testi nella complessità del progetto?
Il mio gesto fotografico funge da mediatore tra il filosofo e le piante ruderali della Terra dei Fuochi.
Rievocando il rituale della poetessa ed erborista Emily Dickinson, che racchiudeva piante essiccate nelle sue lettere, ho inviato le impronte fitografiche delle nove comunità vegetali della Terra dei Fuochi a Michael Marder, che ha risposto con una lettera scritta rivolta a ciascuna pianta. Dopo aver ricevuto il suo testo, sono tornata da ogni singola pianta, condividendo con lei le parole del filosofo. Durante questa sorta di rito, ho messo un’altra superficie fotosensibile a contatto con la pianta, invitandola a lasciare una nuova impronta, che ho poi rispedito a Michael, sollecitandolo ad inviare un’altra lettera in risposta.
In questo modo, ci siamo impegnati in un’azione di corrispondenza continuativa, sviluppando una relazione specifica con questi esseri ruderali, attraverso parole e un processo ecologico di creazione di immagini.
Abbiamo sviluppato questo scambio in dialogo con la pratica buddista del Tonglen: una meditazione sul dare e ricevere, coltivando una relazione reciproca e approfondendo la nostra attenzione ai ritmi distinti delle piante e alla loro esistenza ai margini delle nostre società. Attraverso questo dialogo abbiamo cercato di aprire uno spazio condiviso di reciproco riconoscimento e cura all’interno della Terra dei Fuochi.
Anaïs Tondeur. Fiori di fuoco - Testimoni delle ceneri
- In collaborazione con Michael Marder
- Spot Home Gallery, via Toledo, 66 – Napoli
- dal 12 febbraio al 12 aprile 2025
- lun-ven 15.30-19.30, o su appuntamento
- ingresso gratuito
- spothomegallery.com
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