Roma
Dal 6 luglio al 7 gennaio 2024
Appena entrati nel Museo di Roma in Trastevere si inizia la visita svoltando a sinistra ed eccolo lì, spiazzante sin da subito: lo sguardo austero di una delle menti più frizzanti del Novecento che guarda dritto in camera, la testa poggiata su un treppiedi come fosse una fotocamera, lo sfondo completamente nero. Ad aprire il percorso espositivo della mostra Lampo di genio, è l’autoritratto di Philippe Halsman, un primo piano eloquente, rappresentativo della padronanza tecnica di uno dei colossi della ritrattistica e dello smisurato potenziale creativo della sua mente, il più importante strumento – a detta di Halsman stesso – di cui dispone un fotografo professionista.
L’incipit è ambizioso, ma il resto del percorso non tradisce le aspettative, mostrando al visitatore tutto il genio di uno degli artisti più apprezzati del secolo scorso.
La retrospettiva – la prima italiana dedicata al lavoro di Halsman – sembra un gustoso romanzo psicologico, fitto di personaggi noti del mondo dello spettacolo, dell’arte, della politica e della scienza, che il fotografo ha saputo analizzare facendo tesoro degli studi di Freud, riuscendo a guadagnarne la spontaneità, da fissare in inimitabili istantanee di leggerezza.
Philippe Halsman: mente aperta ed esigente
La mostra si compone di cento fotografie di vario formato, tutte provenienti dall’Archivio Halsman di New York. Le immagini celebrano la carismatica produzione di un autore che ha lavorato a metà strada tra documentazione e invenzione e che ha firmato ben 101 copertine della storica rivista LIFE, più di qualsiasi altro fotografo. Halsman ha costantemente sperimentato e perfezionato la tecnica senza lasciarsi intimidire dalla transizione al colore, nell’epoca in cui la televisione cominciava a farsi strada nelle case degli americani. La sua pignoleria lo indusse a ritenere poco soddisfacenti le fotocamere in commercio e a progettare personalmente, nel 1936, una reflex biottica 9x12cm che fece costruire da un falegname nipote di Alphonse Giroux, l’artigiano che aveva costruito il primo apparecchio fotografico per Louis-Jaques-Mandé Daguerre, ufficialmente riconosciuto come l’inventore della fotografia.
Jumpology
Un sapore ironico abbraccia gran parte dell’esposizione, raggiungendo un picco nella sezione dedicata a una delle trovate più efficaci del fotografo: la consuetudine di invitare i suoi soggetti – tutti – a saltare di fronte alla macchina fotografica al termine di qualsiasi sessione di posa.
Halsman battezzò “Jumpology” questa curiosa pratica volta a “far cadere la maschera” in un gesto infantile e liberatorio e a riprendere, al tempo stesso, le innumerevoli varianti che il corpo e il volto umano offrivano al suo obiettivo fotografico colti nell’atto di saltare.
La parata di celebrità a mezz’aria include Marilyn Monroe, lo scienziato Robert J. Oppenheimer, Audrey Hepburn, i duchi di Windsor, Brigitte Bardot il comico Harold Lloyd. E ancora, il vicepresidente degli Stati Uniti Richard Nixon, il fotografo Edward Steichen, gli attori Dean Martin e Jerry Lewis uniti in un buffo e dinoccolato abbraccio sospeso.
Philippe Halsman e Salvador Dalì
Nel 1941 la mente dinamica di Philippe Halsman intercettò quella altrettanto propulsiva di Salvador Dalì e ne nacquero un’amicizia e una collaborazione destinate a durare 37 anni.
Sono firmati Halsman i ritratti più noti del celebre surrealista – uno su tutti il primo piano con gli occhi sgranati e i baffi all’insù – nonché gli stravaganti scatti che i due idearono e realizzarono insieme, lanciandosi in vere e proprie performance artistiche. È il caso di Dalì Atomicus, la popolarissima composizione ‘sospesa’ in cui l’artista, la sua tela, una manciata di gatti e una secchiata d’acqua fluttuano in una scena inverosimile che richiese ben ventisei tentativi, con buona pace del protagonista e dei tre felini accomodanti, lanciati in aria dagli assistenti fino allo sfinimento.
Le sequenze di Philippe Halsman
Costantemente solleticato dall’esigenza di sperimentare nuovi approcci, Halsman non mancò di dedicarsi alle sequenze fotografiche, che realizzava chiedendo ai suoi soggetti di esprimersi in movimento con dei gesti inusuali, anziché posare staticamente davanti alla sua fotocamera. La formula funzionò alla perfezione con il regista e mimo francese Jacques Tati e con l’attore Fernandel, la cui mimica facciale ispirò Halsman e lo indusse a mettere in piedi quella che definì un’intervista fotografica a proposito dell’America.
Ritratti psicologici
Tra i tanti illustri “modelli” di Halsman ci fu persino Albert Einstein, prima di tutto suo grande amico. Fu grazie all’aiuto del celebre uomo di scienza e al loro rapporto di stima reciproca che Halsman riuscì a ottenere un visto per raggiungere la sua famiglia negli Stati Uniti dopo l’invasione tedesca della Francia. Uno dei tabelloni espositivi che si incontrano nel corso della visita alla mostra riporta le parole del fotografo a proposito del suo legame con Einstein, e di una emozionante sessione di scatti nel suo studio.
Con la stessa schiettezza Halsman esprime il suo tagliente punto di vista sulla personalità di Marilyn Monroe e ripercorre con la memoria l’arcinota sessione di scatti con Anna Magnani, occasione in cui l’attrice lo invitò a non tentare di nascondere le rughe sul volto confidandogli: “Ho sofferto troppo per averle”.
L’ultimo corridoio del chiostro del Museo mostra immagini nate dalle collaborazioni con le grandi testate, insieme a una serie di intensi ritratti per lo show business hollywoodiano, che ben rappresentano la versatilità tecnica ed espressiva di un autore che ha saputo destreggiarsi tra schemi di luce di ogni sorta, che l’osservatore più curioso potrà divertirsi a indovinare osservando le ombre, le alteluci, i riflessi e gli occhi delle innumerevoli star che si sono affidate al suo sguardo sensibile e vivace.
Qualcosa in più su Philippe Halsman
Nato a Riga, in Lettonia nel 1906, Halsman inizia a fotografare amici e familiari dal 1921. Studia ingegneria elettrica, e tra il 1928 e il 1930 sconta due anni di carcere per esser stato ritenuto responsabile della morte del padre, deceduto cadendo in una scarpata durante un’escursione famigliare in Austria. Rilasciato nel 1930, con il supporto di intellettuali e scienziati che ne difendevano l’innocenza, vive e lavora a Parigi come fotografo, collaborando con riviste come Vogue e Vu. Nel 1940, con l’aiuto di Albert Einstein, si trasferisce a New York, dove incontra Salvador Dalì dando vita a un sodalizio che durerà ben trentasette anni.
Dal 1944 ottiene i primi incarichi per la celebre rivista Life e inizia a fotografare personaggi noti dello spettacolo, della politica, della letteratura e dell’arte. Nel 1959 pubblica il libro Philippe Halsman’s Jump Book e nel 1962 fonda la Famous Photographers School con Irving Penn, Richard Avedon e Alfred Eisenstaedt. Dal 1971 insegna per cinque anni ritratto psicologico presso la New School di New York. Insignito di numerosi riconoscimenti nel corso della sua lunga carriera, vede peggiorare le sue condizioni di salute a partire dal 1976. Muore il 25 giugno 1979 a New York.
Philippe Halsman. Lampo di genio: la mostra che prova a ridurre le emissioni di CO2
L’esposizione, a cura di Alessandra Mauro, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con BNL BNP Paribas e Leica Camera Italia. Il catalogo è edito da Contrasto.
L’esposizione è realizzata nel rispetto dei principi di sostenibilità con l’obiettivo di essere carbon neutral. Neutralia, il partner scelto per guidare le attività di misurazione e compensazione, applicherà metodi in linea con la normativa nazionale e internazionale e darà agli organizzatori sia strumenti corretti per misurare e poi compensare l’impatto dell’impronta di carbonio che sarà generata, sia i consigli per adottare metodologie virtuose per i prossimi allestimenti.
Philippe Halsman. Lampo di genio
- A cura di Alessandra Mauro
- Museo di Roma in Trastevere, piazza S. Egidio 1b – Roma
- dal 6 luglio 2023 al 7 gennaio 2024
- martedì-domenica, 10-20
- intero 8,50 euro; ridotto 7,50 euro
- museodiromaintrastevere.it