Torino
Dal 21 marzo al 29 giugno 2025
Se prima della Seconda Guerra Mondiale la fotografia di moda era spesso ambientata in studio, seguendo regole estetiche controllate in un ambiente che non lasciava nessuna imprevedibilità, Norman Parkinson procedette nella sua carriera configurando una nuova estetica e un nuovo modo di intendere e comunicare la fashion photography. Portando le modelle in ambientazioni esterne, cercava di cogliere lo stile in luoghi di vita reale, nella città come anche in luoghi esotici, stimolando l’immaginazione.
La mostra torinese Norman Parkinson. Always in Fashion, a Palazzo Falletti di Barolo fino al 29 giugno, porta in scena i suoi cinquantasei anni di carriera, raccontati dai ritratti per campagne di moda o riviste di settore e dagli scatti dei viaggi con la moglie, la modella e sua musa Wenda Rogerson. Abbiamo chiacchierato con il curatore della mostra Terence Pepper sull’opera di Norman Parkinson e specificamente sulla progettualità della mostra di Torino.
Come nasce e come evolve la carriera di Norman Parkinson come fotografo di moda?
La carriera fotografica di Norman Parkinson iniziò all’età di diciotto anni, quando lasciò la Westminster School di Londra. Pur non avendo solide qualifiche accademiche, aveva ottenuto premi sia in campo artistico che sportivo. La scuola era stata contattata da un affermato fotografo del Royal Studio di Bond Street, che cercava potenziali studenti da assumere come apprendisti. Gli studenti scelti, durante un periodo di tre anni, avrebbero acquisito, così, l’arte e il mestiere necessari sul campo, realizzando principalmente ritratti in studio.
Fu proposto il nome di Parkinson e suo padre accettò i termini dell’apprendistato. Tre anni dopo, il ventunenne Norman aprì uno studio al numero 1 di Dover Street, vicino al Ritz, e iniziò a costruirsi una reputazione grazie alle sue opere pubblicate sulle principali riviste dell’epoca. Fu in quel momento che estese la sua visione verso la moda e il reportage. I suoi lavori furono notati dall’Art Editor dell’edizione britannica di Harper’s Bazaar, che voleva competere con il successo dell’edizione americana e in particolare con la nuova scuola di ‘action realism’ ispirata dalle opere dell’ex fotografo sportivo Martin Munkácsi.
In cosa Parkinson ha rivoluzionato l’estetica della fashion photography?
Nei primi anni della fotografia di moda, la maggior parte dei lavori realizzati dai maestri dell’epoca (Baron De Meyer, Steichen e Hoyningen Huene e Horst) erano statici, classici e realizzati in studio. Sebbene anche Parkinson fosse abituato a lavorare in questo modo, preferiva scattare in esterni con uno stile più realistico.
Come avete progettato la mostra Always in fashion?
Per l’allestimento della mostra, abbiamo voluto offrire una panoramica, decennio per decennio, dei suoi sessant’anni di carriera, integrando i suoi ritratti con una quantità crescente di opere a colori. Inizialmente utilizzò il colore, diapositive Kodachrome da 35mm pubblicate alla fine degli anni ’30, per poi passare a formati più grandi, fino a 20x25cm, realizzando fotografie con una macchina fotografica di grande formato, come mostra l’immagine di Nena Thurman sul molo di New York nel 1960.
La mostra, aggiornata con nuove scoperte, è basata sulla prima retrospettiva presentata nel 1981, composta da duecentoquaranta stampe dal 1931 al 1981. Parkinson, dopo quella retrospettiva, avrebbe lavorato per altri dieci anni, quindi questa selezione è più estesa e completa perché ne ripercorre l’intera vita, fino alla sua morte nel 1990.
Una fotografia in particolare, che ritrae la modella Pamela Minchin a mezz’aria mentre salta, gli fece capire che voleva intraprendere la carriera del fotografo. Perché quell’immagine specifica?
Pamela Minchin è stata una delle prime e più importanti modelle di Parkinson e appare in molte delle sue immagini di moda più famose, tra cui ‘Gioco a golf a Le Touquet’ e una che la ritrae su un motoscafo nell’Adriatico, vicino a Dubrovnik nel 1937. Per queste e altre fotografie che mettevano in risalto il movimento, Parkinson usava la sua macchina fotografica Graflex.
Nella sua autobiografia, Lifework (1983), dell’immagine di Minchin che salta, descrive come sia riuscito a congelare la ripresa a mezz’aria mettendo a fuoco lo spazio che avrebbe raggiunto piuttosto che seguendo il suo movimento, cosa che avrebbe reso sfocata la sua immagine. Questa specifica fotografia ha, fin dall’inizio, soddisfatto la sua ambizione di come scattare una ‘fotografia in movimento con una macchina fotografica’, rendendo omaggio allo studio di Munkácsi del 1933 su Lucile Brokaw, una modella di profilo che corre lungo una spiaggia.
Negli anni ’50, Wenda Parkinson, sua moglie e modella, divenne la sua musa ispiratrice. Ci può raccontare la loro storia che intreccia vita privata e visione fotografica?
Parkinson incontrò per la prima volta l’attrice Wenda Rogerson quando lei era una delle quattro modelle che la rivista Vogue ingaggiò per un servizio fotografico in studio sui viaggi, illustrato secondo diversi modelli di abbigliamento che potevano essere indossati per viaggiare in treno o aereo. Fu Cecil Beaton, che lavorava con Parkinson a Vogue, a raccomandargli Wenda. All’epoca di questo incontro entrambi erano già sposati e, sebbene la loro relazione sia iniziata in quel momento, solo nel 1951 furono liberi di sposarsi e trascorrere il resto della vita insieme.
Durante questi anni e fino alla fine degli anni ’50, Parkinson avrebbe scattato di lei numerose, splendide immagini, molte delle quali sono incluse in questa mostra, che ripercorrono i loro viaggi all’estero, a New York e poi in Sudafrica nel 1949 e nel 1951, e inoltre diverse copertine di Vogue. Come lui stesso notò, le foto scattate per le collezioni londinesi del 1949 e nella campagna inglese contrastano magnificamente con le prime immagini a Tobago e in Giamaica.
Mi piace molto l’immagine di Wenda sdraiata vicino al bordo delle Cascate Vittoria, che ricorda quella di Henry Rousseau, e il contrasto con la sua posizione di fronte al salto di trenta metri delle Cascate Howick.
Oltre a praticare fotografia di moda era un attento ritrattista delle personalità della musica e dello spettacolo. Cosa congiungeva la sua produzione fashion a quest’altro filone fotografico?
Sebbene l’attuale selezione della nostra mostra sia orientata verso l’immagine di moda, vedo uno stretto legame con gli altri suoi studi di ritratto e con gran parte delle sue tecniche, in quanto i termini di ambientazione e illuminazione sono gli stessi. La vera abilità di Parkinson in tutte le sue fotografie è quella di conquistare la fiducia del soggetto, e questo atto di collaborazione è ciò che definisce la migliore fotografia del XX secolo.
Qual è l’eredità che Norman Parkinson ha lasciato?
Non avrei mai immaginato – quando, nel 1980, iniziai a fare ricerche sulla carriera allora dimenticata di Norman Parkinson per una mostra fotografica – che quarant’anni dopo l’interesse per il suo lavoro sarebbe stato così costante e crescente. Tanto che, insieme ai miei colleghi di Iconic Images, abbiamo pubblicato tre libri sull’autore, incluso quello relativo a questa mostra, in italiano, pubblicato da Moebius edizioni. Inoltre ci sono ancora molti altri tesori da riscoprire e condividere. Le reazioni sui social media sono state travolgenti (un post recente ha superato le 97.000 visualizzazioni), senza contare le vendite di libri e stampe.

Titolo Norman Parkinson. Always in Fashion
Fotografie di Norman Parkinson
Formato 26x26cm
Pagine 224
Prezzo 38 euro
Lingua italiano
Editore Moebius
Data pubblicazione 6 maggio 2025
ISBN 979-1256920211
Sostieni il giornalismo specializzato di qualità! Se acquisti tramite il link in questo articolo, FOTO Cult, quale affiliato Amazon, potrebbe ricevere una piccola commissione che non influisce sul prezzo di vendita.
Norman Parkinson. Always in Fashion
- A cura di Terence Pepper
- Palazzo Falletti di Barolo, via delle Orfane, 7/A – Torino
- dal 21 marzo al 29 giugno 2025
- mar-dom 10-19. Lunedì chiuso
- intero 13 euro, ridotto 11 euro
- operabarolo.it