È ufficiale: a partire da oggi, 16 maggio 2025, il World Press Photo ha sospeso l’attribuzione di “The Terror of War” (1972) al fotoreporter Nick Út.
La comunicazione, diramata in data odierna, è frutto di accurate indagini svolte tra gennaio e maggio 2025 in merito alla paternità della foto, messa in dubbio da un recente documentario intitolato “The Stringer”, realizzato dalla VII Foundation e presentato in anteprima a gennaio in occasione del Sundance Film Festival 2025.
L’analisi investigativa del World Press Photo ha indicato che, in base allo studio dell’angolazione, della distanza e della fotocamera utilizzata il giorno in cui fu scattata la foto in questione, i fotografi Nguyễn Thành Nghệ o Huỳnh Công Phúc potrebbero essere stati in una posizione più adatta a scattare quella precisa fotografia rispetto a Nick Út.
Joumana El Zein Khoury, direttore esecutivo del World Press Photo, ha dichiarato: “Il film, supportato dall’analisi visiva del gruppo di ricerca parigino INDEX, mette in dubbio la tradizionale attribuzione della paternità a Nick Út e presenta prove convincenti che la foto potrebbe essere stata scattata da Nguyễn Thành Nghệ, uno stringer vietnamita dell’AP [Associated Press, n.d.r.].
La nostra analisi ha incluso una revisione approfondita sia dei risultati del documentario, sia della minuziosa indagine interna di AP. Abbiamo condotto la nostra valutazione in modo collegiale, trasparente e con l’intenzione di capire, piuttosto che di accusare. Abbiamo anche scelto di non divulgare le nostre conclusioni finché AP non avesse condiviso pubblicamente l’esito della sua indagine, per garantire un processo equo e rispettoso. (Una sintesi del nostro rapporto è disponibile qui)”.
Joumana El Zein Khoury ha aggiunto che secondo la Associated Press – non essendoci prove definitive che Nick Út non abbia scattato l’immagine – l’attribuzione della paternità dovrebbe restare inalterata. Il World Press Photo, dal canto suo, ha concluso che il livello di dubbio è troppo significativo, dunque ha ufficialmente sospeso l’attribuzione di The Terror of War a Nick Út, precisando che tale sospensione rimarrà in vigore finché ulteriori prove non confermeranno o smentiranno chiaramente la paternità originale.
Il testo legato alla fotografia, naturalmente, è stato aggiornato e include attualmente la seguente nota:
“A causa di questo attuale dubbio, World Press Photo ha sospeso l’attribuzione a Nick Út. Le prove visive disponibili e la fotocamera che è probabile sia stata utilizzata quel giorno indicano che i fotografi Nguyễn Thành Nghệ o Huỳnh Công Phúc potrebbero essere stati in una posizione più adatta a scattare quella precisa fotografia rispetto a Nick Út. È importante notare che la fotografia in sé rimane indiscussa e il premio per la fotografia è valido. Solo la paternità è in discussione. Questa rimane una vicenda contestata ed è possibile che l’autore della fotografia non sarà mai confermato definitivamente. La sospensione dell’attribuzione della paternità rimane in vigore fino a prova contraria”.
La versione integrale dell’articolo Joumana El Zein Khoury è disponibile qui.
Per i più curiosi, riportiamo di seguito il contenuto del nostro primo articolo dedicato alla vicenda, pubblicato in data 27 gennaio 2025
Sotto shock, nuda, col braccio appena bruciato dal napalm: l’8 giugno 1972 Kim Phúc aveva nove anni e insieme ad altri ragazzini col terrore stampato in faccia camminava incrociando un fotoreporter. I suoi piedi percorrevano una strada di Trảng Bàng, un paesino del Vietnam del Sud allora occupato dalle forze nordvietnamite, sul quale un gruppo di cacciabombardieri dell’aviazione sudvietnamita aveva appena sganciato dalle bombe al napalm colpendo per errore un rifugio di civili.
Quel giorno Kim Phúc è diventata la protagonista di una delle fotografie più struggenti e iconiche di sempre, che da più di cinquant’anni fa il giro del mondo come foto simbolo degli orrori della guerra in Vietnam. Da allora The Terror of War – meglio nota come Napalm Girl – è sempre stata attribuita al fotografo Nick Ut (Associated Press), valendo all’autore il premio Pulitzer per la fotografia e il World Press Photo, entrambi conferitigli nel 1973.
The Stringer: il documentario che mette in discussione la paternità di Napalm Girl
Lo scorso week-end, in occasione del Sundance Film Festival 2025, è stato proiettato in anteprima il controverso e clamoroso documentario della VII Foundation intitolato The Stringer.
Come si legge sul sito ufficiale dell’agenzia, si tratta di un’indagine sulla veridicità della paternità dell’immagine, avviata dopo una scioccante ammissione da parte di un coraggioso informatore e documentata dal regista Bao Nguyen.
A imbarcarsi in un’incessante ricerca della verità finalizzata a ottenere giustizia per un uomo conosciuto solo come “the stringer” è stata una squadra composta dall’acclamato fotografo di guerra Gary Knight – direttore esecutivo della VII Foundation – e dai giornalisti Fiona Turner, Terri Lichstein e Lê Vân.
“Il film – ha dichiarato Knight – affronta le questioni della paternità, dell’ingiustizia razziale e dell’etica giornalistica, mettendo in luce il contributo fondamentale, ma spesso non riconosciuto, dei freelance locali che forniscono le informazioni di cui abbiamo bisogno per capire come gli eventi mondiali si ripercuotono su tutti noi”.
Mentre la Associated Press contesta il contenuto del documentario con un dettagliato report raggiungibile tramite il sito www.ap.org, l’organizzazione del World Press Photo risponde all’inevitabile curiosità del pubblico riguardo al destino del premio assegnato a Ut cinquantadue anni or sono, dichiarando di voler comprendere al meglio i fatti e contestualizzare la situazione prima di intraprendere qualsiasi azione.
Il più importante concorso internazionale di fotogiornalismo su scala globale espone, sul sito della competizione stessa, la procedura da seguire in casi in cui emergano delle accuse successive all’assegnazione dei premi (i più curiosi potranno leggere pagina 34 del capitolo Judging process).
Sul sito ufficiale del World Press Photo è pubblicata una riflessione della direttrice esecutiva del concorso Joumana El Zein Khoury sulla questione sollevata dal documentario, sulle delicate tematiche dell’affidabilità e della veridicità nel fotogiornalismo, sul ruolo cruciale del dibattito continuo a proposito dei materiali di documentazione storica e sull’importanza del coraggio di suscitare dubbi per quanto questi ultimi siano capaci di generare disagio.
“Quella in Vietnam – si legge nell’intervento di Joumana El Zein Khoury – è stata la prima guerra a essere affrontata intimamente, capillarmente e coraggiosamente dai fotogiornalisti. Le società stavano cambiando ovunque, ma le organizzazioni mediatiche avevano una struttura di potere capace di controllare non solo la selezione delle immagini da considerare importanti, ma anche chi le scattava, le modificava e le pubblicava”.
[…] “Si tratta di capire chi ha avuto il potere di scegliere l’immagine, di scrivere la didascalia, di mettere questa immagine sotto i riflettori del mondo e, infine, di attribuirne la paternità. Questa controversia parla della struttura di potere tra singoli fotografi locali e una grande organizzazione mediatica. Evidenzia l’importanza dello status e il ruolo che i maschi bianchi occidentali hanno avuto, e probabilmente hanno ancora, nel mostrare importanti eventi di cronaca che hanno definito la storia dell’umanità. Evidenzia come la storia sia stata plasmata, da chi e per quale scopo”.

Il tempo ci racconterà qualcosa in più sulla vicenda? Difficile a dirsi. Al momento assistiamo a due schieramenti (quello della VII Foundation e quello della Associated Press) che vanno in direzioni completamente opposte, a partire dalle dichiarazioni rilasciate in merito all’approccio ai testimoni da parte di chi ha lavorato alla realizzazione del film. Senza dubbio seguiremo con interesse gli sviluppi sulle decisioni del World Press Photo e torneremo ad aggiornarvi.
Intanto “Napalm Girl” torna al centro dell’attenzione mediatica, ancora una volta, e il medium fotografico bisticcia con l’ingenua definizione di inconfutabile prova della realtà… ancora una volta.
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