L’Italia perde il suo più grande fotografo-testimone. Si è spento oggi all’età di 94 anni Gianni Berengo Gardin, l’occhio che con coerenza, rigore e un’umanità profonda ha documentato oltre sessant’anni di storia del nostro Paese, dal dopoguerra a oggi. Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, ha attraversato il Novecento con la sua inseparabile Leica al collo, imprimendo su pellicola le trasformazioni sociali, le lotte operaie, la fine del mondo contadino e la rivoluzionaria esperienza nei manicomi con Franco Basaglia.
Autodidatta, lontano dalle accademie, il suo stile è stato il reportage puro, in un bianco e nero essenziale e potente, mai estetizzante. Non si considerava un artista, ma un “artigiano”, un cronista per immagini la cui missione era mostrare la realtà. Dalle fabbriche della Olivetti ai piccoli borghi, dai volti degli ultimi ai riti della borghesia, la sua opera è un archivio monumentale della memoria collettiva italiana.
La sua carriera è scandita da cifre impressionanti: un archivio con quasi due milioni di negativi, più di 250 libri pubblicati e centinaia di mostre che hanno consacrato il suo status di leggenda. Con lui non scompare solo un fotografo, ma un pezzo della nostra coscienza critica, uno sguardo capace di cogliere la verità dell’uomo nel suo tempo.
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