Michael Kenna si sveglia alle 5 del mattino, ama la grappa, la buona cucina ed è un gran camminatore. Sulle rive del fiume più lungo d’Italia si è fermato a conversare con il movimento perpetuo delle acque del Fiume Po. E ha scelto il linguaggio della pellicola.
Fiume Po è il titolo dell’ultimo libro del britannico Michael Kenna in cui sono raccolte le immagini scattate costeggiando le rive di quello che, anticamente, era noto come Eridanós, nome che coincide con quello di un fiume della mitologia greca. Del resto guarda al passato anche l’approccio dell’autore alla ripresa: il lavoro è stato effettuato su pellicola, stampando poi le immagini in una tradizionale camera oscura.
“Come si può non rimanere colpiti dal Po? È potente, bello, carismatico e produce un’attrazione singolare e magnetica”, sostiene con entusiasmo Michael Kenna. Dopo il primo incontro del 2007, ce ne sono stati altri in cui Kenna e il Po, come due vecchi amici si sono messi a dialogare amabilmente. Il primo, paziente, con la sua fotocamera ha cominciato il discorso; il secondo, placido con suoi elementi – rive, foce, Delta e campagne circostanti – si è lasciato fotografare in grande sintonia con l’autore concedendo scenari metafisici.
L’approccio di Kenna al soggetto è di prossimità mentale e avvicinamento fisico: che esso sia paesaggio, architettura o corpo umano, il fotografo entra nella scena, a volte si stende per terra, anche sulla neve! una volta connesso con il contesto, in funzione di esso decide i parametri di esposizione e sceglie ottiche ed eventuali accessori da impiegare. Con lo stesso lirismo del fiume che scorre, l’autore ha risposto alle nostre domande sul suo nuovo libro tutto dedicato al vecchio amico Po.
Hai scelto l’analogico, e la lentezza durante la ripresa e la fase di stampa sono elementi distintivi del tuo modus operandi. Come hai lavorato per il nuovo libro Fiume Po?
Preferisco usare i tradizionali metodi analogici e insisto ancora a stampare tutto da solo in una camera oscura umida. I processi sono lenti e imprevedibili, ma la gratificazione immediata non è una priorità per me. Un fiume, come ogni altra cosa, è in perenne movimento e occorre prendere costantemente decisioni sull’opportunità di congelare momenti particolari con esposizioni veloci o di fare in modo che il movimento e il tempo si registrino più lentamente sull’emulsione della pellicola. Nel mio caso, a volte ho usato la fotocamera a mano libera con tempi di posa veloci, altre invece, l’ho collocata sul treppiedi esponendo anche per ore.
Quando finalmente vedo le immagini, spesso mesi dopo che sono state scattate, sembra il giorno di Natale con regali incartati sotto l’albero. Per molti anni ho realizzato delle Polaroid come appunti visivi, oggi per la stessa ragione faccio scatti col telefonino. Molto tempo fa ho rinunciato all’idea di cercare di prevedere i risultati. Cerco di dimenticare ogni scatto, in modo da vedere poi il risultato con occhi nuovi. Raramente sono soddisfatto e continuo a cercare di migliorare.
Il teologo Paul Tillich scrive Il dubbio è fondamentale per la fede. Penso che questa sia una pietra angolare del mio approccio. Il processo analogico mi aiuta poiché non so mai cosa è stato catturato, se non molto tempo dopo. Perciò, quando vedo per la prima volta la pellicola sviluppata e i provini a contatto, posso guardare in modo più obiettivo le immagini e analizzare la mia risposta emotiva a esse. È quasi come vedere l’opera di qualcun altro.
Per il lavoro del Po la maggior parte delle stampe è stata eseguita all’inizio di quest’anno, anche se i negativi provengono da molte sessioni. La lentezza, quindi, è davvero un elemento molto importante nel mio lavoro.
Facciamo un passo indietro: come mai hai deciso di fotografare il Po?
Rispondo con una metafora. Nella vita incontriamo migliaia di persone, ma stringiamo amicizia solo con poche. Perché? Cosa forma i legami di amicizia e amore? Come fa un estraneo a trasformarsi in un amico? Succede. La mia adorata moglie Mamta, è nata e cresciuta a cinquemila miglia dalla mia casa di famiglia. Quando ci siamo incontrati, ci eravamo trasferiti dai nostri Paesi di origine e vivevamo con partner diversi a cinquemila miglia di distanza l’uno dall’altro. Penso che la gratitudine per queste connessioni sia più importante del cercare di capire perché accadono tali cose inspiegabili.
Col fiume Po ci siamo conosciuti per la prima volta nel 2007, quando sono stato invitato a Reggio Emilia dal curatore Sandro Parmiggiani. Negli anni successivi ho fotografato il territorio reggiano e i miei scatti sono diventati una mostra esposta nel 2010. La mia guida all’epoca era Mauro Lorenzini. Già allora speravo che un giorno sarei tornato in quei luoghi. Quando l’ho fatto, anni dopo, mi sono sentito come di fronte a un vecchio e saggio amico. Per le successive visite, Sandro si è accordato con i membri di un gruppo fotografico locale, Bottega Photographica, per guidarmi in nuovi posti lungo il Po. In questo gruppo ho incontrato Matteo Colla, che si è offerto di portarmi sia alla sorgente del Po, sia sul Delta. Abbiamo condiviso molti bicchieri di grappa barricata in questi viaggi. Ho conosciuto anche Gigi Montali che mi ha poi invitato a esporre le fotografie del Po al festival fotografico Colorno Photo Life.
Di fronte a un fiume che scorre e, per sua natura, non si ferma la tua risposta è una fotografia “filosoficamente” lenta.
Il Po è antico e io sono solo un visitatore fugace. Ho sempre amato la citazione di Eraclito che dice Nessun uomo ha mai camminato due volte nello stesso fiume perché non è lo stesso fiume e non è lo stesso uomo. Mi piace applicare questi concetti alla fotografia. Niente, me compreso, è mai lo stesso. Il fiume scorre che io ci sia o no, ma penso che ci sia una sorta di scambio di energia in ogni incontro. Il Po mi ha sicuramente influenzato e cambiato. Non sono così sicuro di come io abbia cambiato il Po, se non fotografandolo ed esponendo le opere.
Quali differenze hai notato fra il Po e le altre zone d’Italia che hai fotografato?
Come fotografo ho cercato di tradurre visivamente le mie risposte a questo grande fiume. Non mi sento qualificato per tentare di commentare qualità e differenze rispetto ad altri luoghi. Scrive Cesare Zavattini: Così potente è il Po che coloro che vi si incontrano abbassano la voce alla sprovvista e riconoscono con una sfumatura di malinconia che siamo davvero la stessa cosa. Mi accontento di lasciare la scrittura ai veri scrittori.
Portaci a lavorare con te sulle rive del Po.
In genere, quando fotografo, mi avvicino al soggetto con un misto di rispetto, umiltà e un certo grado di curiosità. Ho sempre trovato importante cercare di costruire una conversazione. Chiedo il permesso prima di fotografare e prendo atto che è in corso una collaborazione. Noi fotografi a volte lasciamo che il nostro ego si intrometta e fingiamo di aver creato qualcosa. Penso che sia importante riconoscere che, invece, siamo nel business della condivisione. Realizzare quella che è considerata una bella fotografia, è molto più questione di argomento che di talento. Poi c’è la ricerca, che aumenta la probabilità di trovare buone opportunità di ripresa. È positivo usare questa logica, ma è anche essenziale seguire il flusso.
Lavoro con fotocamere medio formato a pellicola perché mi consentono la massima flessibilità. In generale ho con me quello che posso portare a spalla, che di solito è uno zaino con due corpi macchina, quattro o cinque obiettivi, due dorsi, due diversi mirini, un esposimetro portatile, il treppiedi e molta pellicola. Ho a disposizione anche vari accessori come filtri a densità neutra e paraluce. Questa è la mia configurazione standard. In alcuni casi ho anche un flash portatile e una torcia per il lavoro notturno.
I tuoi bianconeri sono metafisici ed essenziali e, pur essendo di taglio minimalista, riescono a trasportarci nel luogo in cui sono stati eseguiti. Come riesci in questo connubio?
Preferisco che le mie fotografie siano più vicine alla poesia che ai testi concreti e il colore è troppo specifico per il modo in cui lavoro. Vediamo a colori tutto il tempo, invece il bianconero è una riduzione essenziale della stimolazione sensoriale che consente alla nostra immaginazione di lavorare di più. Mi piace leggere poesie giapponesi haiku, che suggeriscono una grande quantità di informazioni in poche parole. Come questi componimenti brevi non riprendo tutti i dettagli di una scena, né cerco di fornire una descrizione accurata di ciò che c’è. Suggerisco invece ciò che non riesco a vedere, ma immagino possa esserci: strati sottostanti nascosti nella nebbia e nell’oscurità o presenti oltre i bordi del fotogramma.
Dopo tante pubblicazioni, cosa c’è di totalmente nuovo nel tuo libro sul Po?
Ah, forse dovresti fare questa domanda ai tuoi lettori! Questo fiume è unico e queste fotografie sono il riflesso delle mie conversazioni con il Po. Ogni immagine dovrebbe quindi avere una certa individualità, ma saranno tutte investite da ciò che è accaduto prima.
Ad ogni modo trovo che il concetto di novità sia sopravvalutato e alquanto superfluo. Ad esempio, sono assolutamente stupito e in totale soggezione di fronte a ogni alba e tramonto che vedo e, semmai dovessi diventare apatico davanti a tali miracoli ci sarebbe qualcosa di gravemente sbagliato in me. Sì, a volte può sembrare che qualcosa di nuovo possa esserci in una fotografia, ma non è la mia considerazione principale quando creo le immagini. Esplorare e venerare lo squisito mistero del nostro mondo mi sembra più importante.
Fiume Po è un lavoro di squadra?
Ci vuole un villaggio per crescere un bambino, e una comunità per fare un libro! Ho ricevuto grande assistenza, incoraggiamento e supporto da molte fonti in questo progetto. Per quanto riguarda la selezione delle immagini, ho passato in rassegna i provini e ho stampato un centinaio di scatti fra quelli che mi piacevano di più. Il mio assistente in loco, Matteo Colla, ha controllato tutte le fasi. Andrea Casoli della Editore Corsiero ha realizzato un primo layout del libro basato sulla logistica geografica, partendo dalla sorgente e terminando al Delta. Ho quindi armeggiato con l’impaginazione varie volte prima di concordare sul layout finale. Il mio curatore Sandro Parmigianni ha scritto il testo critico.
Bio
Michael Kenna nasce nel 1953 a Widnes, contea del Cheshire, Regno Unito. Da oltre sette anni vive a Seattle (Usa). Fin dall’adolescenza la passione per le arti lo porta ad approfondire gli studi di pittura e fotografia, prima alla scuola d’arte a Banbury, poi al College of Printing di Londra, dove inizia a lavorare. L’esperienza più rilevante per la sua formazione di fotografo risale al 1977 e coincide con il suo trasferimento a San Francisco, negli States, dove lavora come stampatore per la fotografa Ruth Bernhard. Ancora adesso Kenna sviluppa e stampa personalmente in camera oscura.
Sono moltissime le pubblicazioni nel corso della sua lunga carriera. Sull’Italia ha pubblicato cinque libri: Fiume Po (2020) e Confessionali (2016), Editore Corsiero; Venezia (2010) e Abruzzo (2017) editi da Nazraeli Press nel 2017; Immagini del Settimo Giorno (2010), pubblicato da Skira.
Fra le sue mostre più recenti, personali e collettive: Fiume Po, Reggia di Colorno, Parma; Ocean, Islands and Michael Kenna exhibition, Sunset Art Museum, Sud Corea; Boarding Pass exhibition, Box Galerie, Belgio; Fine Lines Michael Kenna exhibition, Art of Foto Gallery, Russia; FORME exhibition, Galerie Camera Obscura, Francia.
Kenna è rappresentato in tutto il mondo, e in Italia si occupano di lui la Galleria 13 di Reggio Emilia e la Galleria dell’Incisione di Brescia.
Fra i tanti suoi riconoscimenti, ricordiamo Special Photographer Award, Giappone; Hae-sun Lee Photography Award, Corea; Honorary Master of Arts, Brooks Institute, California, Chevalier of the Order of Arts and Letters, Ministry of Culture, Francia. Le sue immagini sono conservate in numerosissime collezioni pubbliche e private.