Questi volti guardano dritto in camera a testimonianza di quella stretta connessione instaurata in fase di scatto con l’autore. Sono i ritratti di Massimo Masini, nipote d’arte e fotografo di moda con le idee chiare, specie su tre concetti chiave: essenzialità, empatia, controllo.
Il cinema e la figura del nonno, il regista Giuseppe Masini, sono stati decisivi nella formazione del fotografo di moda e ritrattista Massimo Masini. Per lui il nonno avrebbe voluto una carriera più “sicura” come quella dell’avvocato o del notaio, ma alla fine ha dovuto cedere alle ferme intenzioni del nipote, consentendogli di affiancarlo sui set dei suoi film, dove ha potuto formarsi tecnicamente. “A lui devo moltissimo” – racconta Masini – “era un uomo di grande intelligenza, un intellettuale di immensa umanità, un perfezionista e un maestro dell’inquadratura, spesso anche troppo rigoroso nell’osservanza delle regole alla base di essa”.
La disciplina appresa Massimo Masini l’ha arricchita con le competenze necessarie per diventare un buon fotografo, che a suo avviso sono “una spiccata sensibilità e l’innata capacità di sentire nel senso più pieno del termine, il senso dell’estetica, la personalità e la curiosità”. A questi aspetti è imprescindibile aggiungere “la preparazione tecnica, la conoscenza dei materiali e la capacità di far fronte alle più disparate situazioni”.
Interessante annotazione quella che fa Masini sull’importanza nel percorso formativo: a suo avviso, infatti, si deve cominciare dalla fotografia analogica. “Iniziare a fotografare in pellicola”, spiega, “è l’unico modo per comprendere con solida cognizione la fotografia digitale e quanto ad essa connesso”.
La sua professione ora lo vede impegnato fra la realizzazione di ritratti e campagne pubblicitarie per aziende e privati. Leggiamo di seguito come racconta il modo di concepire e produrre la fotografia secondo il suo punto di vista.
Come è nata la passione per la fotografia di moda e, in special maniera, per il ritratto?
In realtà non la reputo una passione bensì un’attitudine che mi permette di osservare e di esprimermi. Forse è questa stessa la ragione per cui non ricordo un preciso punto d’inizio del mio percorso nella fotografia. Sento di poter dire che sia nata con me. Per quanto riguarda, nello specifico, la fotografia di ritratto, l’ho sempre sentita e utilizzata come uno strumento per osservare, comprendere, contemplare e raccontare le persone.
Cosa significa per te fotografare il volto di una persona?
Considero sempre i volti dei soggetti che mi trovo a fotografare un po’ come delle porte d’accesso a universi interiori. Ne consegue, dunque, che io cerchi di varcare quelle porte per scoprire storie, fragilità, talenti, lati più o meno scuri, gioie e quant’altro l’animo umano possa custodire. Non è da meno l’esigenza d’espressione puramente edonistica ed estetica: ciò non significa fotografare necessariamente l’oggettiva bellezza che, a dire il vero, spesso può annoiarmi.
Scattare in studio e all’aperto. Differenze di attrezzatura e approccio.
Da un punto di vista compositivo e comunicativo lo scatto in studio contribuisce a catalizzare l’attenzione sul soggetto e a favorire la connessione fra fotografo e persona ritratta che reputo fondamentale per il successo di uno scatto, più di qualsiasi effetto luce o acrobazia tecnico-creativa. Il set in studio è un luogo magico nel quale si scambiano energie e i concetti di tempo e spazio spesso perdono consistenza. Tecnicamente lo studio permette l’utilizzo di un’ampia serie di soluzioni d’illuminazione che, tuttavia, è necessario saper scegliere in base alle specifiche circostanze.
Ambientare una sessione di scatti in esterni, invece, significa avere l’esigenza di utilizzare uno specifico contesto con il suo stile, il suo sapore per raccontare il soggetto nel caso del ritratto, o un capo, un particolare look, se parliamo di moda. Da un punto di vista tecnico la variante rispetto allo studio è la subordinazione che il fotografo può decidere della sua luce rispetto a quella d’ambiente. In questo caso le scelte tecniche – dai valori in macchina alla lettura delle fonti di luce – cambieranno in base all’intensità e al tipo di luce ambientale. Quindi, una delle differenze dello scatto in esterni rispetto a quello in studio è rappresentata da imprevedibilità e instabilità.
Qual è il ritratto che ti ha dato maggiore soddisfazione?
Fotografare persone è qualcosa di molto complesso e delicato. Quando metti l’occhio nel mirino cominci un percorso per oltrepassare delle barriere ed esplorare la personalità del soggetto che non ricopre un ruolo passivo ma fa la sua parte un po’ come nel sesso o nella danza: il fotografo è quello che conduce, e il soggetto è quello che si fa condurre, esprimendosi liberamente. È una questione di equilibri, di intese che si devono sincronizzare. Quindi, i ritratti di maggiore soddisfazione sono quelli in cui questa catena di fenomeni si è attivata, sposandosi con le mie scelte creative.
E quello più complesso?
Non sono molte le situazioni in cui è stato complicato realizzare un ritratto. Può capitare che sia faticosa la fase iniziale della sessione, quella in cui il soggetto fa difficoltà a stabilire una connessione con il fotografo, oppure fa fatica a vincere le insicurezze. È pur vero che talvolta il superamento di questi ostacoli può contribuire all’impatto emozionale di uno scatto e imprimere in esso maggiore enfasi e carattere.
Come scegli quando usare il bianconero e quando il colore?
Mi fa piacere che questa domanda venga posta in tal modo perché quella fra colore e bianconero è una questione di semplice scelta che spesso invece rischia di porre di fronte a un bivio accendendo disquisizioni sulle preferenze dell’autore o sulla genuinità dell’uno o dell’altro. Personalmente vedo la scelta fra il bianconero e il colore una questione meramente creativa, mentre alcuni si sclerotizzano sulla scelta come fosse una filosofia di vita, fenomeno a cui generalmente il bianconero è più soggetto. Ci sono persone con fisionomie, colori e incarnati particolarmente adatti al bianconero e altre, invece, al colore.
Quando non lavori, fotografi?
Concettualmente e idealmente fotografo sempre, anche quando dormo. Il punto è che quando non lavoro raramente lo faccio con la macchina fotografica, lo faccio con gli occhi. Potrà sembrare bizzarro ma credo che, oggi più che mai, fotografare convenzionalmente ciò che capita nella vita di tutti i giorni finisca per allontanarci dalle emozioni di quegli istanti, quindi preferisco fotografare con gli occhi e custodire con la memoria. Spesso la gente non si rende conto di quanto l’atto del fotografare sia ormai un comportamento compulsivo tanto che, oltre a non permettere di vivere appieno, riduce il valore delle foto stesse. Ciò premesso capita che anche io talvolta lo faccia con lo smartphone, come tutti i comuni mortali (sorride, ndr).
Abbiamo chiesto a Massimo Masini di descrivere uno scatto particolarmente caratteristico della sua produzione. Ecco la sua scelta.
Ho scelto un ritratto molto semplice realizzato alla talentuosa modella Vanessa Hessler, ed eseguito per una campagna pubblicitaria di costumi da bagno di un brand italiano. L’azienda aveva l’esigenza di realizzare un’immagine essenziale ma allo stesso sofisticata e velatamente aggressiva che esprimesse il concetto di arte e stile italiani. Ho realizzato così questa fotografia ispirata alla Nascita di Venere di Botticelli, un omaggio al Rinascimento italiano. Per questo scatto, così come per l’intera campagna, ho deciso di adoperare la pellicola per ottenere quella densità cromatica che il digitale non permette, se non con interventi di postproduzione. È stata una decisione coraggiosa e difficile da far accettare al cliente, ma i risultati sono stati molto apprezzati. Come modella ho voluto la Hessler per il suo aspetto fresco, angelico e allo stesso tempo magnetico e grintosissimo.
Lo schema luci è molto essenziale: la fonte principale è un illuminatore monotorcia diffuso con un bank posizionato a destra del soggetto, alla sua sinistra un pannello riflettente bianco; sempre sulla sinistra ma alle spalle della modella, una torcia flash diretta, diffusa con un ombrellino traslucido per un lievissimo e morbido controluce. Ho impiegato poi uno speciale filtro al momento dello scatto che andasse ad attenuare impercettibilmente la nitidezza. Questo per ottenere un incarnato e dei dettagli che ricordassero un po’ quelli dei dipinti rinascimentali. Da un punto di vista compositivo ho sentito l’esigenza di non centrare la modella perché quell’asimmetria avrebbe dato più equilibrio alla geometria delle linee. È uno scatto che sento rappresentarmi molto, soprattutto per la semplicità, il minimalismo, l’accuratezza e il peso dato alla fase di ideazione e al momento dello scatto.
Lo schema luci adoperato da Massimo Masini per la realizzazione di un ritratto (scatto a sinistra). La fonte principale è un illuminatore monotorcia a destra del soggetto; alla sua sinistra, invece, si trova un pannello riflettente bianco. Alle spalle, per il controluce, l’autore ha usato una torcia flash diretta, diffusa con un ombrellino traslucido.
Bio
Massimo Masini, romano classe 1976, comincia molto presto a fotografare e a sviluppare in camera oscura. Il primo approccio professionale, da giovanissimo, ce l’ha con il mondo del cinema perché ha la fortuna di affiancare il nonno regista sui suoi set. In seguito diviene assistente del direttore della Fotografia, Maurizio Dell’Orco. Dopo una lunga gavetta si mette in proprio e comincia a lavorare con le più importanti agenzie di spettacolo, pubblicità e moda. Oggi il suo stile si ispira alla semplicità delle forme e delle geometrie. Pubblica i suoi scatti sulle pagine di numerosi magazine, in Italia e all’estero. Negli ultimi anni è stato premiato con diverse onorificenze internazionali per la fotografia di ritratto. Fra queste la menzione d’onore per la fotografia di moda agli International Photography Awards. Attualmente il suo lavoro trae grande ispirazione dalla filosofia e dall’estetica orientali, che ritiene fondamentali e illuminanti.