Mother of Choice dell’artista Loulou d’Aki risulta essere un monito alla società contemporanea in tema di diritti: il diritto di scelta, il diritto di diventare madri anche se single, il diritto di vivere in una società che prende questo principio come una base da cui partire per assicurare agli individui una vita migliore. Pare che la Svezia sia sulla buona strada…
Abbiamo intervistato Loulou per farci raccontare il suo progetto.
Il tuo progetto Mother of Choice affonda le sue radici in una nuova idea di famiglia propagandata nel 1972 dal governo svedese con il manifesto “La famiglia del futuro”. Cosa descriveva quel manifesto e come è evoluta la società svedese sul concetto di “famiglia” fino ad oggi?
Il manifesto “La famiglia del futuro”, scritto dai socialdemocratici, enfatizzava l’uguaglianza tra uomini e donne e tra le altre cose sottolineava come i membri delle coppie eterosessuali, idealmente, dovrebbero funzionare come entità indipendenti all’interno di una relazione, non facendo affidamento l’uno sull’altro finanziariamente. Penso che il manifesto e il sostegno dello Stato svedese agli individui – in termini di sicurezza sociale, salute e reddito – abbiano contribuito a plasmare una società di uguaglianza e tolleranza e credo che questo dimostri come una nuova forma di famiglia ha preso forma e si sta diffondendo negli ultimi anni. Decidere di essere una madre single in Svezia non è uno stigma sociale e questo aiuta.
Cosa ti ha spinto a raccontare questa importante tematica?
Ho iniziato questo progetto nel 2016 quando è entrata in vigore una nuova legge in Svezia, che permette alle donne single sotto i quarant’anni, di sottoporsi gratuitamente a trattamenti di fertilità nelle cliniche svedesi, fino a tre inseminazioni. Per procedure simili prima del 2016 le donne svedesi avevano bisogno di recarsi in Danimarca, o altrove. La tematica mi interessava come donna, in un periodo in cui stavo appena iniziando a pensare alla maternità, e avendo vissuto diversi anni in Medio Oriente ho trovato affascinante come si potesse effettivamente creare una famiglia al di fuori del modo “standard”.
Il progetto si compone di diverse modalità di narrazione: ci sono i ritratti, la documentazione di vita quotidiana con la polaroid e alcuni disegni prodotti dai bambini. Come queste differenti narrazioni visive dialogano tra loro? E perché hai scelto di applicare questo movimento narrativo?
Ho deciso di fare ritratti molto semplici, di madri e bambini su uno sfondo bianco, poiché era una sorta di studio per me. Mi interessavano le storie delle donne: come sono arrivate alla decisione di diventare madri da sole, ma anche la procedura scientifica da seguire per avere un bambino in questo modo. Non era assolutamente mia intenzione realizzare un reportage che includesse le gioie e le difficoltà quotidiane di prendersi cura di un bambino da solo.
Volevo ovviamente che ci fosse un’idea della vita quotidiana di queste famiglie, ma ho preferito che fossero le donne stesse a raccontare ciò che era importante, quindi ho chiesto direttamente a loro di scattare le foto delle routine quotidiane e della vita della propria famiglia. Impossible Project ha collaborato con me, mi ha prestato alcune Polaroid e mi ha dato alcune pellicole che ho distribuito alle donne, dicendo loro di sentirsi libere di scattare le foto come volevano. Anche i disegni sono stati fatti dalle madri e non dai bambini. Ho chiesto loro di fare un disegno di come avessero immaginato, da giovani, la loro futura famiglia.
Tra i tuoi ritratti compaiono anche degli uomini. Chi sono?
Ero interessata ai modi alternativi per diventare un genitore single, ad esempio nel caso in cui la persona desiderosa di avere un figlio avesse avuto più di quarant’anni e non avesse potuto, quindi, usufruire delle cliniche gratuite. Dopo molte ricerche ho trovato un sito web grazie al quale si poteva venire a contatto con uomini che erano disposti a donare lo sperma gratuitamente, per inseminazioni domestiche. Era una transazione abbastanza trasparente e gli uomini di solito lo facevano per dare realmente una mano. Alcuni uomini con cui ho parlato speravano, poi, di trovare una donna con cui avere un bambino; uno di coloro che ho fotografato aveva avuto tre figli con donne che aveva incontrato sul sito web e faceva parte della loro vita a tutti gli effetti. Nella maggior parte dei casi i donatori, però, danno solo il loro sperma, senza voler sapere altro.
Immagino che per produrre queste fotografie avrai dovuto addentrarti nell’intimità di molte famiglie, cosa non facile. Qual è stato il tuo approccio, sia fotografico, sia umano?
Lavorare su questa storia è stato un momento di crescita anche per questo aspetto: l’approccio fotografico e umano con il soggetto. L’ho trovato molto interessante. A dire il vero, sono stata anche molto fortunata visto che le famiglie che ho incontrato si sono dimostrate molto generose e aperte nel condividere le loro storie e il loro tempo e ho imparato molto da questo. Prima di fare ricerca e lavorare per Mother of Choice non sapevo davvero nulla sul trattamento della fertilità. L’ho affrontato con la sensibilità che richiedeva e gli ho dato il tempo che serviva. Preferisco fare le cose con calma, se posso, capendo passo passo cosa funziona visivamente e cosa no. Inoltre mi sono sempre assicurata di far sapere ai soggetti ritratti dove e come sarebbero state pubblicate le loro fotografie, questo era importante.