Talvolta spetta al singolo rielaborare un trauma collettivo in quanto ognuno, pur condividendolo con gli altri, lo interiorizza e quindi lo supera a modo proprio, offrendo una chiave di lettura o una strategia di superamento che possono essere di aiuto per tutti.
Jason Langer, nato in Arizona nel 1967, ha esorcizzato la propria inquietudine riguardo la Germania attraverso un libro sviluppato come una lunga passeggiata da Ovest a Est attraverso la città di Berlino. A prima vista potrebbe trattarsi di un progetto di street photography, ma in realtà quello specifico genere di fotografia non è che la veste di una ricerca che va oltre i ritratti rubati per strada e gli scorci urbani più suggestivi: è il linguaggio fotografico utilizzato da Langer per facilitare una riflessione personale sulla storia del proprio popolo e per tentare di riconciliarsi con una terra che per anni aveva osservato con disagio.
Jason Langer e il suo rapporto con la Germania
L’autore è di origini ebraiche e nel 1973 la madre portò lui e i suoi fratelli a vivere in un kibbutz in Israele. Lì studiò l’olocausto e maturò verso la Germania un senso non esattamente di ostilità, ma piuttosto di disagio, come se tra lui e quel paese vi fosse un nodo da sciogliere, una questione aperta che generava una sorta di imbarazzo storico. Nel 1980 Langer tornò in America, ma il suo stato d’animo nei confronti della Germania non cambiò. Fu solo molti anni dopo, nel 2008, che un suo amico gli propose di soggiornare per un po’ nella capitale tedesca per conoscerla di persona e tentare di farsene un’immagine diversa da quella che se ne era formato da bambino. Come confida il fotografo stesso nel suo testo a corredo del libro, intitolato semplicemente Berlin, quell’invito ha cambiato la sua vita, portandolo a entrare nel cuore di una città e a riconciliarsi con un Paese che non era più quello che il suo popolo aveva conosciuto durante la seconda guerra mondiale.
Fotografare Berlino passo passo
Proprio perché aveva bisogno di esplorare la città, di penetrarla con una ricerca quasi anatomica, Langer ha scattato le sue immagini principalmente all’aperto, muovendosi nei luoghi che testimoniavano la storia o in quelli più anonimi ma che erano incessantemente percorsi da gente verso cui aveva provato tanta diffidenza. E le foto riflettono perfettamente la sua necessità di fare chiarezza dentro a se stesso, di mettere ordine nelle proprie idee e nei propri stati d’animo. Sono tutte in bianco e nero, di soggetti (si tratti di architettura o di persone) ben definiti, senza rumore di fondo.
A volte si ha l’impressione di trovarsi davanti agli scatti di un fotografo che realizza collage ritagliando gli edifici o particolari urbani per incollarli su uno sfondo neutro. Come se riducendo al minimo la quantità di informazioni contenute nell’inquadratura fosse in grado di zoomare sul suo stato d’animo e liberarlo dai preconcetti sedimentatisi nel corso della prima parte della sua vita.
Il monologo interiore di Langer
Le immagini che funzionano meglio, infatti, sono quelle delle vedute berlinesi in cui non c’è nessuno e che fanno sentire chi sfoglia il libro come se fosse reso partecipe del monologo interiore di Langer. Probabilmente era di questo che aveva maggiormente bisogno il fotografo: una città sgombra che potesse parlargli direttamente e in cui egli potesse scaricare il disagio generato dalla difficoltà di svincolare il presente dal passato. Nel suo caso il viaggio a Berlino è stato liberatorio, e il libro che ne è risultato è un buon esempio di come la fotografia sia in grado di utilizzare il visibile anche per rappresentare l’invisibile.
Titolo Berlin
Formato 32x27cm
Immagini 135
Pagine 176
Lingua inglese
Prezzo 50 euro
Editore kerberverlag.com

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