Quando Isadora Kosofsky vede per la prima volta, a East Hollywood, il terzetto amoroso composto da Will, Adina e Jeanie, ne è subito perdutamente rapita. Li avvicina ed entra, da osservatrice rispettosa e non giudicante, nella loro storia a tre, nella loro intimità. Il suo sguardo coglie momenti di allegria, ma anche quelli di profonda solitudine, per non parlare delle tensioni che si generano nel rapporto. Senior Love Triangle, diventato anche libro, edito da Kehrer nel 2019, è inoltre una riflessione sul concetto di amore, sulla libertà di intenderlo nella maniera in cui genera felicità e senso di appagamento, indipendentemente dall’età e dal numero dei componenti della relazione amorosa. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Come hai conosciuto Will, Adina e Jeanie?
Stavo visitando e fotografando Bianca, una donna che viveva in una residenza assistita a East Hollywood, in California. Ero seduta in sala da pranzo con lei un venerdì sera. Ad un certo punto Bianca guardò verso l’angolo della stanza dove una donna si era avvicinata a un tavolo con due uomini e disse: “Quella lì è proprio una civetta”, riferendosi a Jeanie. Quella è stata la prima volta che l’ho vista. Avevo diciassette anni. Qualche settimana dopo, ero seduta nel parcheggio della comunità per anziani e la vidi, insieme a Will e Adina, camminare in direzione del cancello. Ho sentito una connessione immediata con loro.
Vidi Will e Adina mano nella mano e Jeanie che si avvicinava a loro. Anche se non conoscevo i dettagli del loro triangolo amoroso, sentivo che dovevo conoscere quel trio. Interrogai una badante che mi rispose: “Oh, stai parlando del ménage à trois”. Li ho incontrati di persona la prima volta mentre uscivano dalla casa di riposo, un pomeriggio. Ho detto loro che ero una fotografa documentarista e ho chiesto se potevo passare un po’ di tempo con loro. Non sapevo dove quell’idea mi avrebbe portata. Ho costruito un rapporto con ognuno di loro e questo è ciò che mi ha permesso di essere presente anche nei momenti di maggiore intimità.
Come si è evoluta la tua idea di focalizzarti sul loro ménage à trois?
Inizialmente l’unica cosa che sapevo era che, a pelle, ero molto attratta dalla loro storia, anche se non ne conoscevo i dettagli. Ho imparato a conoscere le loro dinamiche fotografandoli. Cominciai a percepire il conflitto iniziale tra Jeanie e Adina a causa di Will. Alla fine, le donne si sono legate tra loro proprio in virtù delle loro sfide e lotte con lui. I residenti della struttura in cui vivevano William e Jeanie erano sorpresi che fossi riuscita a guadagnare la fiducia di Will. A volte, infatti, con la gente, era pungente come un cactus. La loro relazione era un po’ un tabù nella comunità, li sbeffeggiavano. Trovo affascinante la percezione che le persone hanno della loro relazione. In definitiva, ognuno di noi è stato in una sorta di triangolo amoroso, letteralmente o figurativamente.
Racconti giornalmente la loro storia, facendo incursione nella loro intimità personale e di gruppo. Come si sono rapportati alla tua presenza di fotografa?
Ho passato molto tempo con loro, anche senza fotografare. A volte fotografavo e a volte camminavo al loro fianco. Ad un certo punto, penso che abbiano cominciato a dimenticare che ero lì. Erano così concentrati sulla loro vita quotidiana che ho iniziato a passare in secondo piano.
Mi ha sempre attratto la realizzazione di progetti a lungo termine, partendo dalla mia consapevolezza che le persone hanno bisogno di me e di uno spazio sicuro per “mostrarsi”, per aprire i loro cuori e farmi vedere tutte le parti di loro stessi. La fotografia documentaria è una rara relazione attraverso cui a tutte queste parti, di una stessa persona, viene dato il giusto rilievo. Penso che Will, Adina e Jeanie si siano aperti con me perché si sono sentiti accettati e mai giudicati.
Anche se la loro relazione è partita da una casa di cura per anziani, spesso le loro storie giornaliere hanno come sfondo la città di Los Angeles, come se la città stessa rappresentasse, per loro, il concetto di “casa”…
Penso che stessero cercando “casa” l’uno nell’altro, come molti di noi fanno nelle relazioni. Le strade di Los Angeles sono diventate, per loro tre, un’arena avventurosa. Si inoltravano nella città ogni giorno, insieme, vagando dalle fermate degli autobus ai bar o ai mercati. Le loro avventure sono state un po’ un antidoto allo spazio chiuso della struttura di assistenza a lungo termine.
Il loro rapporto si basa su equilibri molto particolari, che tu hai raccontato con le immagini, ma anche con stralci di testo (dialoghi tra di loro o anche tuoi appunti). Il dialogo tra immagine e parola pensi che ti abbia aiutata a riprodurre fedelmente la complessità del loro stare insieme?
Quando li seguivo, riportavo su un taccuino le loro conversazioni perché le trovavo molto eloquenti sulla personalità di ognuno di loro.
La speranza di un documentarista è quella di trascendere gli archetipi e arrivare all’essenza della persona che viene documentata. Perciò ho pensato che, per onorare pienamente la complessità della loro vita, avrei dovuto includere anche le conversazioni dirette e le citazioni. Sentivo che, facendo così, gli stavo dando l’opportunità di raccontare, direttamente tramite la loro stessa voce, le proprie esperienze. In definitiva, la documentazione più potente è una profonda collaborazione tra il documentarista e il documentato. Scrivere e pubblicare le loro conversazioni mi ha permesso di essere più in comunione con loro, un’immersione totale nelle loro vite.
Solitamente le fotografie sono immagini d’ambiente o ritratti di loro tre, in gruppo o presi singolarmente, in alcuni casi invece ti soffermi su alcuni dettagli, soprattutto del corpo di Will. Piedi, mani, braccia. Perché?
Sarebbe difficile lavorare su un racconto sull’intimità senza includere il corpo. Il personaggio di Will è intenso. Man mano che la narrazione fotografica procede, vediamo emergere la sua vulnerabilità e la sua fragilità dinamica. La mano aperta e chiusa è un riflesso di questo processo. Inoltre, il corpo che invecchia è di rara bellezza. Volevo che anche quella bellezza fosse inclusa.
Usi la riproduzione di una luce naturale che apre lo sguardo nelle immagini esterne e che fa comprendere la profondità psicologica, nelle situazioni più oscure e dense di pathos, con la comparsa di ombre che invadono i muri delle stanze ma anche i loro volti…
Lavoro solo con luce naturale. Non ho mai lavorato con quella artificiale. In situazioni di scarsa illuminazione, mi affido ai lampioni, come nell’immagine di William alla finestra o in alcuni momenti all’interno del suo appartamento. Ho imparato a conoscere il dialogo tra la luce e l’ombra principalmente dal cinema, che è stata la mia più grande fonte di ispirazione. Sono cresciuta guardando i film noir degli anni Quaranta. Sull’uso del colore ho, inoltre, tratto molta ispirazione dall’opera di Antonioni.
Pensi che Will, Adina e Jeanie siano felici nel loro ménage à trois?
Non credo che l’obiettivo, per loro, sia la felicità. Penso che il significato e la ricerca di uno scopo, in un nuovo capitolo della vita, sia ciò che alla fine li ha fatti incontrare. La felicità è fugace. Penso che stessero cercando di soddisfare bisogni che forse non erano stati soddisfatti nelle relazioni precedenti. Adina era vedova. Jeanie e Will erano entrambi divorziati. In definitiva, il desiderio di amore e intimità non ha età. Penso che il loro legame evidenzi il profondo bisogno dell’altro che c’è in tutti noi. Inoltre, Jeanie vedeva questo periodo come un capitolo di liberazione: poteva liberarsi dalla schiavitù dei ruoli di genere che l’avevano ingabbiata per tutta la vita.