Il progetto si chiama Foto Pigre, perché spesso la qualità richiede lentezza. L’idea è di Matteo Vancheri e Alessandro Vilevich, fotografi che lavorano in analogico, con calma ed empatia, e respirano aria d’altri tempi. Sono ingombranti nella ripresa, ma frizzanti nel risultato: sviluppano istantaneamente, su carta, impeccabili ritratti unici e irripetibili. La sessione fotografica firmata Mollusk – questo il nome dello studio gestito dal duo – è una coinvolgente esperienza alla quale si può prendere parte in studio o in giro, in mezzo alla gente. Le Foto Pigre, infatti, tanto pigre non sono: all’occorrenza vanno a spasso e bussano alla spalla di chiunque, gli fanno trattenere il fiato davanti all’obiettivo e lo ipnotizzano nel lento rivelarsi dell’immagine.
Vale la pena di curiosare in questa appassionata realtà triestina mettendosi comodi, poggiando la frenesia sul comodino e immergendosi in una lettura che insegna a rispettare il valore del tempo.
Partiamo dalle vostre origini.
Viviamo a Trieste, qui le nostre origini e la sede della nostra attività, al limite settentrionale del Mediterraneo ma di fatto nel cuore dell’Europa centrale, tra Oriente e Occidente, tra Sud e Nord. Città portuale, crocevia commerciale cresciuta in misura esponenziale tra Ottocento e Novecento, Trieste è stata sede di aziende floride e residenza di famiglie alto borghesi provenienti da mezzo mondo. Il ritratto, quindi, ha assunto qui più che altrove un valore fondamentale già da prima della diffusione della fotografia: era prova del raggiungimento di uno status symbol, di un progetto di vita realizzato. Si deve quindi a questa ragione il proliferare in città di pittori ritrattisti, in seguito sostituiti dai più moderni studi fotografici, non senza periodi di sovrapposizione tra le due discipline.
Com’è nato il progetto Foto Pigre?
L’attività di Foto Pigre si ricollega alla tradizione appena descritta, e vuole recuperare l’atmosfera e il valore del ritratto di qualità come esperienza esclusiva, confidenziale, empatica, che richiede la calma e la lentezza d’altri tempi, attraverso il rapporto diretto seppur fugace tra il fotografo e il fotografato: il ritratto di fatto è un’opera che si costruisce in due.
Dalla tradizione della foto popolare, quella più umile degli oltre venti fotografi cassettisti ambulanti presenti in città fino agli anni ’60 e oltre, Foto Pigre recupera l’istantaneità, la freschezza del risultato “immediato” da incorniciare e portare a casa subito.
Qual è la reazione del pubblico al vostro approccio?
I nostri ritratti analogici riescono a raggiungere un risultato intimo, profondo e coinvolgente. Il motivo è un po’ un mistero, anche se alcune delle cause principali crediamo di averle individuate. Nella vita arriva per molti il momento giusto per farsi ritrarre; è una decisione individuale, è qualcosa di estremamente intimo che aiuta a fissare un momento importante prima che svanisca. Quello che offriamo non è un servizio fotografico comunemente inteso, fatto di raffiche e di centinaia di immagini da selezionare, scartare o postprodurre. Al contrario, ci piace affrontare con emozionata leggerezza un attento studio della posa, una lenta e millimetrica messa a fuoco che precede alcuni secondi di assoluta immobilità in attesa del caricamento della carta. Il soggetto trattiene il respiro il tempo necessario per un tre, due, uno click, una sciabolata di luce intensa e improvvisa conclude la fase di ripresa e sopraggiunge una sorta di quiete dopo un temporale. Lo sguardo curioso della persona fotografata osserva le mani esperte del fotografo, attratto dall’immagine positiva che si rivela, a colori, intensa. Nell’attesa dell’evaporazione dell’acqua dalla carta i ritratti sono appesi come panni stesi ad asciugare, uno accanto all’altro.
Di cosa si compone il vostro corredo fotografico?
Per il nostro progetto abbiamo scelto di utilizzare una folding camera (fotocamera a soffietto, n.d.r.) di produzione moderna, per l’esattezza una Intrepid Camera prodotta da una piccola azienda con sede a Brighton in Inghilterra. Il modello è tra i più semplici in commercio, si utilizza facilmente e ci consente di mantenere il più possibile inalterata l’essenza della fotografia: non ci sono controlli elettrici o elettronici, la costruzione è semplice ed essenziale e l’unica funzione meccanica è data da una vite senza fine che permette la messa a fuoco tramite l’allungamento de soffietto. Possiamo dire che si tratta del passo successivo ad una scatola di cartone con un foro stenopeico.
I materiali di costruzione sono il legno per le standarde, il metallo per la semplice e leggera struttura portante e la carta per il soffietto, che presenta un foro sul fronte per l’applicazione dell’ottica. Quest’ultima è l’elemento più importante, quello che ci è costato di più in termini di ricerca e reperibilità dell’esemplare. Abbiamo fin da subito scelto e cercato un obiettivo Fujinon 300mm f/5,6 Copal 3 serie S. Un’ottica che abbiamo trovato in Giappone, il Paese dove è stata fabbricata. Con il fattore di moltiplicazione del formato 8×10 pollici arriviamo a un equivalente di circa 65mm sul formato Leica.
Quando abbiamo usato per la prima volta questa meraviglia di meccanica e ottica di quasi 50 anni ci siamo stupiti della ridottissima profondità di campo che offre scattando a tutta apertura: con il supporto di una calcolatrice e qualche app abbiamo calcolato che il valore di profondità di campo a f/5,6 è di circa mezzo centimetro. Se chiudiamo a f/8 saliamo a poco meno di 9mm. Questa caratteristica, che all’inizio ci è sembrata un limite da valicare, è diventata un elemento chiave del nostro stile, un tratto identitario delle nostre fotografie.
Sul vostro sito si legge che vi servite di un “sistema di illuminazione di altissimo livello”. In che consiste?
Per l’illuminazione usiamo una singola torcia flash, ad altissimo wattaggio. Il lampo genera un calore che si percepisce sulla pelle, tanta è la sua potenza. Per la misurazione della luce usiamo un normale esposimetro che non ci dà lettura assoluta ma ci restituisce un valore di riferimento che ci aiuta, assieme all’esperienza maturata, ad esporre in modo corretto. Come risultato di tutta questa configurazione siamo riusciti a ottenere una serie di fotografie di grande formato dall’incredibile dettaglio, con gamma cromatica precisa e raffinata e con un sapore molto cinematografico. Il commento più comune che riceviamo quando consegniamo una delle nostre immagini è che sembra un quadro, con il suo stile pittorico che viene esaltato e spesso esasperato dal prevalente uso di un solo punto luce.
Passiamo alla chimica?
Il processo chimico avviene in uno stato di “instabilità controllata” dove le piccole variabili restituiscono immagini dal sapore sempre diverso. Ci sono valori da tenere sotto controllo, chi è abituato al trattamento degli scatti su pellicola lo sa bene. La temperatura, il tempo e l’agitazione vengono misurati senza l’ausilio di nessun dispositivo elettronico. I nostri timer sono meccanici e i nostri termometri sono ad alcol. Le agitazioni sono scandite dal nostro movimento, a sensazione. Le nostre chimiche vengono mantenute in temperatura per mezzo di comuni candele di cera. La vera meraviglia, però, è che il nostro processo si svolge per intero senza l’uso della camera oscura. Il solo passaggio che viene effettuato al buio è lo spostamento della carta impressionata dallo chassis alla tank di sviluppo. Per questa transizione usiamo una changing bag (camera oscura portatile e pieghevole, n.d.r.) in tessuto. Tutto il resto avviene alla luce del sole e sotto agli occhi incuriositi e sorpresi di chi ci guarda.
Quanto è grande una stampa?
Abbiamo scelto il 20x25cm, il formato più grande tra quelli standard perché riteniamo che le foto siano belle se sono grandi, ma non troppo… Si tratta di un formato che non è di esagerato impegno, né tanto piccolo da compromettere la visibilità dell’opera.
Lo scatto avviene su carta, direttamente. Non esiste negativo. O meglio la carta che utilizziamo viene impressionata dallo scatto come un negativo in bianco e nero per poi essere trattata con un bagno di inversione che la trasforma in una stampa a colori. Poi, una volta completato il processo di inversione in temperatura controllata, procediamo con la fase di arresto e con un bagno di fissaggio. Questo procedimento fa sì che non esistano copie, ogni scatto è unico e irripetibile. L’unico modo per avere una foto dello stesso soggetto, nello stesso momento è ripetere lo scatto, ottenendo di fatto una seconda immagine simile, ma mai uguale.
In che consiste una sessione live di Foto Pigre?
Le sessioni live hanno luogo nei locali, in occasione di eventi speciali, oppure per la strada. Si tratta di situazioni in cui non è possibile prenotare un ritratto in anticipo: si fa la fila con pazienza, si condivide l’esperienza di ritratto analogico e si va via con la propria stampa dopo averla vista prendere forma con i propri occhi. Naturalmente si rinuncia a tutti i comfort offerti dalla sessione in studio, ma l’emozione di prendere parte a un processo così intrigante e sconosciuto ai più ha un valore inestimabile.
Foto Pigre è un progetto nato da un’idea di Mollusk srl, uno studio di comunicazione visiva che si occupa di grafica, foto e video. Lo studio si basa sulla ricerca sperimentale e la formazione, ed è nato dalla pluriennale esperienza professionale di Matteo Vancheri, fotografo professionista e videomaker e Alessandro Vilevich, creativo di formazione artistica, che si occupa di progettazione grafica e impaginazione da più di vent’anni in ambito editoriale, pubblicistico e tipografico.
Il duo parte dalla sensibilizzazione del cliente per arrivare, attraverso tutte le fasi di produzione, alla definizione di un’immagine solida e coerente. Il vero punto di forza dello studio è quello di porsi come referente unico per tutti i processi di produzione che vengono gestiti internamente nella loro completezza, riducendo i tempi e i costi generati dall’esternalizzazione. La sede di Mollusk è situata nel centro di Trieste e ospita uno studio di progettazione grafica, uno studio fotografico, un’area dedicata al video editing e l’atelier di Foto Pigre.