Gli obiettivi di grande apertura affascinano da sempre per le potenzialità di ripresa in luce scarsa e la possibilità di ottenere un piano di fuoco estremamente selettivo: ecco la storia delle ottiche più intriganti ma anche più difficlii da progettare.
Un obiettivo si definisce superluminoso quando la sua massima apertura relativa sia attesta su valori più elevati della media: in soldoni, permette aperture di diaframma insolitamente ampie. Per convenzione, nel caso dei normali per il formato Leica sono considerati superluminosi gli obiettivi con apertura massima intorno a f/1,0; vale anche la pena di ricordare che con focali più lunghe o più corte di quella normale aumentano le difficoltà nell’ottenere aperture elevate. L’apertura massima elevata è una caratteristica che si traduce innanzitutto in maggiori possibilità di fotografare in luce scarsa con tempi di posa abbastanza brevi (quindi a mano libera) e senza dover innalzare il valore ISO. Ma le ottiche di questo tipo non servono soltanto a cogliere suggestive atmosfere crepuscolari. Il loro potenziale creativo, infatti, è più sostanziosamente incardinato sulle caratteristiche connesse alla ridottissima profondità di campo di cui essi sono capaci a tutta apertura: chi volesse giocare con la messa a fuoco selettiva, che significa accentuare lo stacco di nitidezza fra soggetto principale e contesto, con tali ottiche trova l’arma ideale per i suoi scopi. Sappiamo che questo è il segreto di molti ritrattisti, e non solo.
Giovani "centenari"
Agli albori della fotografia non esistevano ottiche di grande apertura perché gli enormi formati dell’epoca rendevano complicato calcolare schemi adatti allo scopo, tenuto conto dei vetri e delle tecnologie allora disponibili. Questo senza contare che la ridottissima sensibilità dei materiali imponeva in ogni caso lunghe pose su treppiedi, rendendo solo teorici i vantaggi di tali soluzioni. Si dovette quindi aspettare fino al 1920 per veder nascere le prime ottiche realmente (e utilmente) luminose. La principale difficoltà nel proge ttare questo tipo di obiettivi è legata all’ampio diametro delle lenti necessarie. In teoria, un obiettivo da 50mm di focale costituito da una sola lente avrà luminosità f/2 se tale lente è da 25mm di diametro, mentre per avere luminosità f/1 deve avere un diametro di ben 50mm. Negli obiettivi complessi, costituiti da più lenti, questa teoria si piega a molti altri principi, ma resta utile a comprendere come l’aumento di luminosità possa incidere sul diametro delle lenti da impiegare nello schema ottico. Alla crescita del diametro corrisponde un fisiologico aumento dell’aberrazione sferica: per spiegarla in modo semplice, i raggi luminosi convergenti dalle varie zone della lente non vanno a fuoco sullo stesso piano. Non basta: per limitare la curvatura degli elementi si deve ricorrere a vetri ottici con altissimo indice di rifrazione, però se di questi ultimi sono utilizzate tipologie convenzionali con alta dispersione come il tipo Dense Flint, si generano aberrazione cromatica o sferocromatismo (combinazione di aberrazione sferica e cromatica). I balzi evolutivi più importanti in questo ambito sono rappresentati dall’arrivo di vetri alle Terre Rare, con alta rifrazione coniugata a dispersione cromatica ridotta, e dall’introduzione di lenti con superfici paraboliche, ossia asferiche, che limitano l’aberrazione sferica.
Questo è un articolo premium.
Registrati e leggi gratis per 30 giorni! Non è richiesta carta di credito.
ACQUISTA FOTO Credit
Preferisci non abbonarti?Acquista i tuoi FOTO Credit e sblocca solo gli articoli Premium che ti interessano!