La “Charrería” in Messico è lo sport nazionale, ma è anche puro emblema dell’identità del Paese, della sua bellezza e della sua forza. In occasione di questo evento equestre, fino a poco tempo fa collegato più all’attività maschile che femminile, i cavalieri, in sella al loro cavallo, si sfidano a suon di coreografie, di movimenti e figure scenografiche, con costumi spettacolari e attrezzature che permettono di compiere evoluzioni strabilianti.
La fotografa Ana Joaquina ha prodotto il suo progetto Together We Are oltrepassando il confine del suo Paese natale e cercando le testimonianze visive di come questa acclamata tradizione messicana si sia estesa anche negli stati americani, ad opera di immigrati che da una parte sperano in una vita migliore negli Stati Uniti e dall’altra non vogliono cancellare le proprie origini. Le sue sono immagini che richiamano la complessità del Messico, con colori brillanti ma anche con profonde oscurità, con ritratti statici ma anche con documentazioni di incredibili danze equestri. Abbiamo intervistato Ana sul suo progetto e sul pensiero fotografico che anima le sue immagini.
Ti definisci fotografa delle comunità. Perché questo particolare focus?
Le comunità mi hanno insegnato a guardare oltre me stessa, a capire che esistiamo tutti in relazione gli uni agli altri. In città le persone, spesso, crescono pensando individualmente, cercando sempre il meglio esclusivamente per sé. Ma nelle comunità c’è un profondo senso di identità collettiva, di appartenenza. Impari che se gli altri stanno bene, stai bene anche tu. È con questa idea in mente che è iniziato il mio viaggio come ‘fotografa di comunità’, assistendo e sentendo quell’umanità condivisa.
Con i tuoi progetti racconti la vita in Messico. Quali sono i punti cardine e i temi centrali della tua ricerca visiva sul territorio?
Provenendo da una famiglia di ‘charros’ [cavalieri tradizionali messicani, n.d.r.] e cresciuta tra campagna e città, la mia ricerca visiva si concentra su temi come la ‘Charrería’, che è lo sport nazionale messicano, in relazione alla migrazione e alle donne. Ho, inoltre, anche documentato la raccolta del ‘flor de muerto’ (fiore di calendula), prodotto nel mio Stato d’origine, Puebla. In generale, sono attratta dalle storie che riguardano il mondo femminile e le donne coraggiose che si stanno costruendo un posto e una voce all’interno delle loro comunità.
Mi racconti nello specifico come nasce e come poi è proseguito il progetto Together We Are?
Together We Are è nato l’anno scorso, quando il mio insegnante di fotografia, Diego Huerta, mi ha suggerito di documentare la ‘Charrería’ negli Stati Uniti. Non avrei mai immaginato che esistesse dall’altra parte del confine con il Messico, e ancor meno che fosse così presente e viva. Abbiamo attraversato otto Stati, incontrando molte famiglie di migranti i cui figli sono nati negli Stati Uniti.
Sono rimasta profondamente commossa nel vedere come, attraverso la ‘Charrería’, queste famiglie si riconnettano alle proprie radici e creino un senso di comunità che le aiuta a sentirsi vicine a casa. Non è facile praticare questo sport negli Stati Uniti, perché il clima, i costi e le diverse normative statali lo rendono molto impegnativo. Eppure, ancora una volta, i messicani trovano un modo non solo per sopravvivere ma per vivere mantenendo salde le loro tradizioni e rappresentando il Messico, luogo da cui provengono e che amano così profondamente.
Quanto la ricerca estetica per i dettagli è importante per il tuo lavoro?
Cerco sempre di fotografare le persone nel modo più autentico e classico possibile, perché nelle comunità ogni parte del loro abbigliamento e ogni accessorio ha un significato. Tutte le cose e tutte le persone hanno uno scopo. I soggetti che fotografo mi permettono di entrare nel loro mondo, condividendo con me la loro identità. Come fotografa, sento una profonda responsabilità nel rispettarli e onorarli. Prestare attenzione ai dettagli non è solo una scelta estetica nel mio lavoro, è un atto di rispetto verso le persone e le culture che ritraggo. Da messicana, d’altronde, so che riguardano anche me.
Il contrasto tra luci e ombre è un elemento importante nelle immagini di Together We Are. Perché?
Il contrasto tra luci e ombre, prima di tutto, fa parte del mio linguaggio visivo e, durante questo viaggio, sono riuscita a esprimerlo in modo molto concreto. Luci e ombre, inoltre, dal punto di vista concettuale, rappresentano l’impegno e la forza che si celano dietro le storie che fotografo e anche quelle proprie della mia terra. I colori vivaci e brillanti, infatti, riflettono l’energia vibrante e la bellezza del Messico; mentre i toni scuri e profondi rappresentano gli ostacoli che molte comunità devono affrontare. Questa alternanza di luce e oscurità diventa una sorta di dialogo tra la gioia e l’identità che definiscono l’essere messicano e la complessità che si cela dietro le ombre.
Il progetto alterna immagini che colgono il movimento performativo dei ‘charros’ in sella ai loro cavalli a ritratti statici e molto estetici. Qual è il senso di questa alternanza?
In Together We Are volevo catturare un movimento non solo in senso fisico: quello performativo dei ‘charros’, ad esempio, rappresenta la forza del popolo messicano, in particolare dei migranti che lasciano tutto alle spalle in cerca di una vita migliore per le proprie famiglie. I ritratti statici, d’altra parte, riflettono la dignità, l’orgoglio e l’identità che permangono anche nell’immobilità. Combinando entrambi, volevo dimostrare che la ‘Charrería’ non è solo uno sport, è una tradizione viva che si trasmette attraverso le generazioni e gli Stati, e rappresenta i nostri valori e la nostra storia di messicani.
Ci sono dei fotografi a cui ti ispiri?
Sì, ce ne sono alcuni. Diego Huerta, il mio maestro, mi ha insegnato a valorizzare l’identità delle persone attraverso ritratti statici. Anche il lavoro di Graciela Iturbide, fotografa messicana, mi ispira profondamente: ci ricorda l’importanza di ritrarre le comunità per preservarne la memoria ed evitare che svaniscano, come purtroppo accade in alcuni casi. Inoltre, anche se non sono fotografi, i gesuiti con cui ho vissuto nella Sierra di Veracruz, Sergio Cobo ed el Fleis, hanno avuto una profonda influenza su di me. Mi hanno insegnato ad avvicinarmi alle comunità con rispetto e umiltà, senza giudizio, semplicemente accompagnando, osservando e creando un legame attraverso empatia, amore e cura.
Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì, sto lavorando a La Fiesta Torera, documentazione delle donne della ‘Charrería’, andando oltre il loro ruolo tradizionale di ‘escaramuzas charra’. Tradizionalmente, è stato visto come uno sport fatto dagli uomini e per gli uomini, ma oggi le donne rivendicano, giustamente, il loro spazio. Donne come Paola Cordero, attraverso il suo movimento ‘Más mujeres charreando’, lottano per l’uguaglianza, affinché anche le donne possano praticare le stesse attività degli uomini nello sport nazionale messicano ed essere riconosciute e rispettate per questo. È una storia di coraggio, uguaglianza e amore per la tradizione che mi sento onorata di documentare.
Unico evento equestre femminile della “Charrería” messicana. Consiste in un gruppo di cavallerizze messicane che, in sella ai propri cavalli, compiono coreografie e manovre sincronizzate a ritmo di musica.
Ulteriori fotografie e informazioni sul lavoro di Ana Joaquina sono disponibili sul sito della fotografa anajoaquina.com.
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