Prima di tutto doveva entrare in sintonia con ciò che aveva davanti agli occhi. Poi poteva scattare fotografie.
Mimmo Jodice, scomparso il 27 ottobre – all’età di 91 anni – lavorava lentamente, prendeva tempo e ragionava sul tempo. Scattava solo a pellicola e solo in bianco e nero, si rinchiudeva nella sua mistica camera oscura e, come un laborioso stregone, riusciva a tirar via dalle sue fotografie quel tempo su cui tanto aveva rimuginato, sfornando immagini, poetiche, stranianti, magicamente atemporali.
Era nato nel 1934 a Napoli, amava l’arte, il teatro e la musica, si era dilettato nel disegno e nella pittura da autodidatta prima di approdare, all’inizio degli anni Sessanta, alla fotografia.
La sua mente brillante si rifiutava di classificare la fotocamera come strumento di pura documentazione. Sin da subito Jodice si diede da fare per sperimentare, creare, mettere in crisi gli stereotipi del medium fotografico con lavori di matrice concettuale che sfruttavano la materialità dell’oggetto fotografico. Interveniva sulle sue stampe fotografiche strappando, incollando, bruciando, scrivendo.
Erano gli anni in cui frequentava e fotografava i più importanti artisti delle neoavanguardie, da Warhol a Beuys, da De Dominicis a Paolini, Kosuth, LeWitt, Kounellis, Nitsch e sfruttava la fotografia come strumento di analisi del reale e, al tempo stesso, di indagine introspettiva.
Tanto era determinato a far entrare la fotografia in ambito accademico, accanto al disegno e alla scultura, che ci riuscì fondando la prima cattedra italiana all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove insegnò fotografia dal 1970 al 1994.
Dopo un’intensa e deludente parentesi dedicata alla documentazione delle problematiche della città di Napoli – dagli abusi edilizi alle critiche condizioni di vita delle periferie – Jodice si allontanò definitivamente dalla fotografia sociale e dalla figura umana, ma senza mai abbandonare la sua amata città, i suoi spazi urbani e il suo paesaggio naturale.
Mimmo Jodice puntò sempre più spesso l’obiettivo sulle opere scultoree, ricercandovi i turbamenti dell’animo umano.
La sua padronanza tecnica del mezzo gli consentiva di sfruttare al meglio la luce per “rianimare” magistralmente i soggetti più immobili e non è un caso se Jodice è stato uno dei nove maestri della fotografia incaricati di ritrarre e documentare le opere dei Musei Vaticani e il cui lavoro è esposto presso le sale del Museo stesso.
Per un ulteriore approfondimento sull’intenso percorso creativo di Mimmo Jodice e sul suo rapporto con il tempo, con lo spazio, con Napoli, con l’arte, con la scultura e con il mare vi rimandiamo alla nostra intervista con sua figlia, Barbara Jodice, e Roberto Koch (curatore della mostra “Mimmo Jodice. Senza tempo”, esposta a Firenze nel 2024) e ai numerosi articoli dedicati al Maestro pubblicati su fotocult.it.
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