Se c’è un animale, il fondo è nero, l’illuminazione è impeccabile e la resa del dettaglio lascia a bocca aperta la foto è di Pedro Jarque Krebs. Non importa quale sia la specie ritratta, Krebs la renderà magnifica, voi ne resterete incantati e – come raramente capita – imparerete a leggere il nome di un autore nel suo stile piuttosto che nella sua firma.
È nato a Lima (Perù) nel 1963, si è laureato in filosofia alla Sorbona di Parigi, nel 1983 ha avviato una carriera fotografica incentrata sull’indagine filosofica sulla coscienza degli animali, sulla loro consapevolezza di sé stessi e dell’ambiente in cui vivono e sulla loro conservazione.
Questa intervista con Pedro Jarque Krebs è realizzata con il contributo de Il Fotoamatore, sponsor dei Siena Awards 2024.
Come fotografo Krebs ha ottenuto più di duecentocinquanta premi e riconoscimenti internazionali: un “bottino” da capogiro, forse il più cospicuo di sempre nell’ambito della fotografia naturalistica impegnata. Delle mostre dei suoi lavori, che fanno da anni il giro del mondo, si è perso il conto.
Lo scorso inverno, stampe in grande formato delle sue maestose fotografie sono state esposte in una mostra diffusa tra le strade di Sovicille (SI), in occasione dell’edizione 2024 del festival Siena Awards. Nell’intervista che segue abbiamo parlato con Krebs di questa coinvolgente mostra e più in generale del processo che c’è dietro le sue inimitabili fotografie.
Presto su fotocult.it anche un articolo dedicato al suo nuovo libro edito da teNeues, intitolato WildLOVE e pubblicato lo scorso febbraio.
Dalla filosofia alla fotografia naturalistica. Cosa è successo nel mezzo?
Tra la filosofia e la fotografia naturalistica non c’è stata una pausa, ma una transizione graduale. Fin da piccolo ho avuto un’attrazione per gli animali e la fotografia, due passioni che sono cresciute in parallelo. È stata la filosofia, tuttavia, a permettermi di dare una forma più profonda e riflessiva a questo legame, aiutandomi a mettere in discussione il nostro rapporto con il mondo naturale e con la coscienza degli animali e il modo in cui rappresentiamo la realtà.
Durante gli studi di filosofia alla Sorbona, non ho mai smesso di fotografare. Ho iniziato con i ritratti in studio, ma il mio interesse per gli animali è sempre stato costante. Inizialmente, la mia intenzione era quella di fotografarli in studio, ma presto mi sono reso conto che questo approccio avrebbe potuto stressarli inutilmente. Con l’avvento dell’era digitale ho scoperto che, grazie alla postproduzione, sarebbe stato possibile ottenere l’estetica del ritratto da studio scattando direttamente in natura, senza compromettere l’essenza o il comportamento degli animali.
La mia formazione filosofica continua a influenzare profondamente il mio lavoro: non mi limito a catturare la bellezza degli animali, ma cerco di trasmettere una riflessione sugli aspetti complessi della loro vita emotiva e cognitiva, sull’‘anima’ che credo possiedano, sulla loro individualità e sul loro posto nel mondo.
Dove si svolgono le tue sessioni di scatto? Come riesci e immortalare le più rare specie animali in giro per il mondo?
I miei servizi fotografici si svolgono in ambienti diversi, a seconda della specie e delle condizioni di lavoro. In genere fotografo negli zoo, nelle riserve naturali, nei santuari della fauna selvatica e nei centri di soccorso. Questi luoghi mi permettono di essere abbastanza vicino agli animali e di catturarne le espressioni, i gesti e i momenti intimi che ne riflettono l’individualità, ma senza interferire con il loro comportamento naturale.
Tuttavia, per i piccoli animali, come rettili o anfibi, e per alcuni uccelli, fotografo in un vero e proprio studio, assicurandomi sempre che la sessione non causi alcun tipo di stress. Per trovare e fotografare le specie più rare, invece, il processo richiede molta pianificazione, pazienza e talvolta un po’ di fortuna. Mi informo su quali istituzioni lavorano con determinate specie e quali di esse consentono l’accesso a fotografi con un approccio etico.
Ho anche viaggiato in luoghi remoti per fotografare animali unici nel loro habitat, come il rinopiteco dorato in Cina. Tuttavia, do sempre la priorità al benessere dell’animale e se una fotografia compromette la sua tranquillità o la sua sicurezza, preferisco non scattarla. Per me, al di là del luogo in cui scatto la foto, la cosa più importante è la connessione che si genera tra l’animale e il fotografo.
Ti va di raccontare qualcosa in più sulla tua collaborazione con santuari e istituzioni simili?
I santuari, gli zoo e le riserve naturali svolgono un ruolo fondamentale nel mio lavoro fotografico. Sono spazi che non solo mi danno accesso a specie rare o in via d’estinzione che sarebbe quasi impossibile fotografare in natura, ma svolgono anche un ruolo cruciale nella conservazione, nell’educazione e nella protezione della fauna selvatica.
Collaboro solo con istituzioni che garantiscono il benessere degli animali, che li fanno vivere in condizioni simili al loro habitat naturale e che attuano programmi di conservazione autentici, come la reintroduzione di specie in natura o il salvataggio di animali trafficati illegalmente. Molti degli animali che fotografo in questi luoghi non sarebbero in grado di sopravvivere in natura, quindi il mio lavoro mira anche a dare loro visibilità e a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla loro situazione.
Tuttavia, il mio intento non è quello di documentare la cattività, ma di trascenderla: attraverso la luce, l’inquadratura e la postproduzione, cerco di far emergere l’essenza dell’animale, creando immagini che lo presentino in tutta la sua dignità e bellezza.
In questo contesto, alcuni anni fa ho collaborato con lo Zoo Aquarium di Madrid per metterne in evidenza i programmi di conservazione. Il risultato di questa collaborazione è stato esposto in modo permanente nella metropolitana di Madrid, contribuendo a sensibilizzare il pubblico sulla fauna selvatica e sulla conservazione. Questa esperienza mi ha permesso di vedere in prima persona come la fotografia possa essere una potente piattaforma per l’educazione e il cambiamento sociale.
La composizione è uno dei punti di forza dei tuoi scatti e immagino che la pazienza e il rispetto siano gli ingredienti più importanti del tuo lavoro. Ciò detto, c'è qualche trucco per rendere gli animali più collaborativi?
La pazienza e il rispetto sono essenziali, perché gli animali non sono modelli a cui si possono dare istruzioni. Tuttavia, esistono alcune strategie che possono aiutare l’interazione e aumentare le possibilità di ottenere l’immagine desiderata.
La prima cosa da fare è raccogliere informazioni sulla specie che si intende fotografare: le sue abitudini, il suo comportamento e, soprattutto, i suoi orari di attività. Questo è fondamentale, perché alcuni animali sono più attivi all’alba o al tramonto, mentre altri hanno abitudini notturne.
Poi viene l’osservazione: ogni specie ha il suo ritmo e il suo linguaggio del corpo, per questo prima di scattare trascorro del tempo semplicemente osservandone e comprendendone il comportamento.
Altri due aspetti fondamentali sono la distanza e il movimento. Gli animali si sentono più a loro agio se non si invade il loro spazio o se non si fanno movimenti improvvisi. A volte stare fermi è più efficace che cercare di avvicinarsi. Ho imparato che è meglio lasciare che l’animale osservi il fotografo e si abitui alla sua presenza prima di iniziare a scattare.
A seconda delle specie e della familiarità con la presenza umana, l’interazione con un animale può essere più o meno agevole. Ad esempio, una volta ho avuto l’opportunità di essere molto vicino e di vivere con un branco di lupi iberici, perché vivevano in una riserva naturale ed erano abituati alla presenza umana. Ma queste situazioni sono eccezionali; la maggior parte delle volte, la distanza è il miglior alleato per catturare immagini senza disturbare l’animale.
Infine, anche se non si tratta di persuasione in senso stretto, credo che l’empatia sia il ‘trucco’ migliore. Se ci si avvicina con rispetto, senza imporre la propria presenza, e si comprende che ogni animale ha il proprio carattere, è più probabile che emergano dei momenti speciali. In fin dei conti, la fotografia di animali è un esercizio di pazienza e umiltà: non si tratta di forzare l’immagine, ma di essere presenti quando la natura decide di regalarla.
Lo sfondo nero è una firma potente e uno strumento per attirare l’attenzione sul soggetto. Come lo ottieni?
Lo sfondo nero è una parte fondamentale del mio stile fotografico perché mi permette di isolare il soggetto e di metterne in risalto i dettagli, le espressioni e le texture senza distrazioni. Ci sono diversi modi per ottenere questo effetto. Un’opzione è quella di fotografare gli animali su sfondi naturalmente scuri, come grotte o zone d’ombra, anche se questo non è sempre possibile. Un’altra tecnica consiste nell’utilizzare l’illuminazione artificiale, come flash o lampade direzionali, per sottoesporre lo sfondo mentre il soggetto è illuminato correttamente. Nel mio studio, utilizzo uno sfondo nero quando la specie animale si presta a questo tipo di lavoro, come nel caso di rettili, anfibi e alcuni uccelli. Questo mi permette di avere un maggiore controllo sull’illuminazione e sulla composizione, esaltando il soggetto nel modo più accurato possibile.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, ottengo lo sfondo nero in postproduzione, scurendo accuratamente l’ambiente senza alterare l’animale e soprattutto senza stressarlo in fase di ripresa. Il grande vantaggio di questa tecnica è che il soggetto, trovandosi nel suo ambiente, si comporta in modo naturale e a volte nemmeno si rende conto di essere fotografato.
L’obiettivo non è modificare la realtà, ma enfatizzare l’essenza del soggetto. Lo sfondo nero funge da tela bianca: elimina il superfluo e permette all’animale di rivelarsi in tutta la sua maestosità.
Cosa puoi dirci a proposito della gestione della luce nelle tue sessioni fotografiche?
Lavoro con la luce naturale ogni volta che è possibile e mi posiziono in modo da favorire i contrasti e mettere in evidenza le texture dei soggetti. Prediligo la luce diffusa delle giornate nuvolose o la morbidezza delle prime ore del mattino e della sera. Se possibile evito la luce di mezzogiorno, spesso troppo forte. Se ho bisogno di evidenziare alcuni dettagli, uso delle lampade a luce continua, o un leggero tocco di flash, ma cerco sempre di far sembrare naturale il risultato.
Come detto prima, con gli animali più piccoli mi capita di lavorare in studio, con illuminazione artificiale. In ogni caso, per me l’illuminazione non è solo una questione di precisione tecnica, ma anche di ricerca dell’effetto del chiaroscuro della pittura classica, del gioco di luci e ombre che conferisce profondità e genera emozione.
Parte delle tue fotografie è stata esposta in una mostra all’aperto durante il festival Siena Awards lo scorso novembre. Avevi già fatto qualcosa di simile?
La mostra all’aperto a Sovicille è stata resa possibile da un invito del Siena Awards e del suo direttore Luca Venturi, che per me è stato un onore. Le fotografie in grande formato erano esposte in uno spazio aperto che consentiva al pubblico di interagire liberamente con esse, dando una nuova dimensione al mio lavoro. Ho partecipato a diverse mostre personali e collettive in varie parti del mondo, a Washington, negli Stati Uniti, a Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti, o anche in Cina e in Perù, tra gli altri luoghi.
Tuttavia, nel 2020 avevo già preso parte a un’altra mostra all’aperto a Siena, sempre su invito dei Siena Awards, con una personale intitolata ‘Gli altri rifugiati’. Si trattava di ritratti ravvicinati di un gruppo di scimpanzé salvati in Spagna, vittime di traffici illegali, di abusi nei circhi o di possesso illegale da parte di privati. I loro volti riflettevano le sofferenze della loro vita precedente e il mio obiettivo era dare visibilità alla loro storia e alla realtà affrontata da molti primati in situazioni simili.
Questo tipo di mostre in spazi aperti genera un diverso tipo di connessione: le persone possono incontrare le immagini in modo inaspettato, al di fuori del contesto formale di uno spazio artistico, il che rende l’impatto più spontaneo.
Penso che questo modo di esporre sia particolarmente potente per la fotografia naturalistica perché porta la natura nell’ambiente urbano, ricordandoci la bellezza e la fragilità del mondo animale in un luogo in cui di solito non ci pensiamo. Ne è un esempio la mia mostra permanente nella metropolitana di Madrid, che viene vista da migliaia di persone ogni giorno, contribuendo ad aumentare la consapevolezza della fauna selvatica e della conservazione.
Hai qualche suggerimento pratico su come aiutare realmente la fauna selvatica minacciata?
Oggigiorno si attribuisce molta importanza alla tutela dell’ambiente e abbiamo fatto progressi in termini di consapevolezza rispetto ai tempi passati, ma la strada da percorrere è ancora lunga e il deterioramento della biodiversità non si è affatto arrestato. La realtà è che l’ambizione e gli interessi economici spesso prevalgono sulla responsabilità, ciò vuol dire che un vero cambiamento richiede, più che una semplice presa di coscienza, un’azione decisa e una reale rivalutazione del significato della fauna selvatica sul nostro pianeta.
In ultima analisi, è il potere politico che ha la responsabilità di agire, mentre il cittadino comune può fare ben poco per arginare problemi gravi come il bracconaggio, il traffico di animali o la deforestazione.
Si tratta di questioni che richiedono cambiamenti strutturali e decisioni politiche forti. Tuttavia, come individui possiamo dare un contributo significativo. Possiamo sostenere le organizzazioni che lavorano per proteggere la fauna selvatica, essere consumatori responsabili e chiedere trasparenza nelle catene di approvvigionamento. Possiamo educare noi stessi, sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione affinché la nostra voce sia ascoltata dalle politiche pubbliche più forti. Possiamo anche cambiare le abitudini quotidiane, ridurre il consumo di prodotti che derivano dalla deforestazione o dallo sfruttamento degli animali, o prendere parte a iniziative locali che promuovono la conservazione.
In definitiva, ogni azione può essere utile ed è nostra responsabilità fare dell’empatia e dell’azione un principio guida nelle nostre decisioni quotidiane.
Bio e contatti
Pedro Jarque Krebs (1963, Lima) si è laureato in filosofia alla Sorbona di Parigi. Nel 1983 ha vinto il primo premio del Comune di Lima per la fotografia in bianco e nero. Da allora ha ricevuto più di duecentocinquanta premi e riconoscimenti internazionali.
Ha vinto cinque Sony World Photography Awards ed è stato vincitore di categoria dei Siena Creative Photo Awards per quattro edizioni consecutive. Nel 2018 è stato nominato vincitore assoluto del Bird Photographer of the Year, mentre nel 2017 ha ottenuto il primo posto all’Oasis Photo Contest e si è classificato tra i dieci migliori fotografi al mondo ai Sente Antu Awards, in Cina.
Nel 2021 è stato finalista del prestigioso concorso Hasselblad Masters e nel 2023 è stato il vincitore assoluto del premio Wildlife Photographer of the Year ai reFocusAwards. Nell’ottobre 2016, il National Geographic France lo ha nominato “Fotografo del mese”. Pedro Jarque Krebs ha partecipato a innumerevoli mostre collettive e personali in giro per il mondo.
Con la casa editrice TeNeues ha pubblicato il libro Fragile nel 2019 – che ha vinto diversi premi internazionali, tra cui il primo premio all’International Photography Awards – e WildLOVE nel 2025.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Pedro Jarque Krebs sono disponibili sul sito pedrojarque.com.