Quelle di Fabio Domenicali in Teren Zielony sono immagini espressionistiche, che codificano l’elemento esterno secondo un sentimento intimo e personale. Con questo approccio Fabio ha vissuto e letto la Polonia, in due differenti viaggi, riportandone a galla le memorie celate e le voci inespresse. Nei volti delle persone e nei paesaggi, cupi e dolorosi, c’è la storia di un Paese, ma anche il moto interiore del fotografo.
Abbiamo intervistato l’autore per farci raccontare il suo progetto e capire meglio cosa lo ha spinto a produrre Teren Zielony, letteralmente Area Verde.
Cosa racconta Teren Zielony?
Teren Zielony è un diario di viaggio intimo, personale e profondo. Quando decisi di partire per la Polonia nel 2008, ero mosso dal desiderio di trovare le tracce degli eventi drammatici che, come profonde cicatrici, hanno segnato la storia del Paese nel ventesimo secolo: l’occupazione nazista, la Shoah, la successiva dominazione sovietica e l’annessione all’URSS. Immaginavo di rintracciare queste testimonianze nei quartieri ebraici, nei campi di lavoro e di sterminio della Seconda Guerra Mondiale, nell’architettura socialista e nella religione, elemento fondamentale dell’identità polacca. Appena arrivato, il paesaggio polacco, immerso in una cupa atmosfera invernale, si è svelato ai miei occhi, avvolto da un manto di silenzio, in tutta la sua antica bellezza.
Quello che doveva essere un itinerario ancorato ad una ricerca storica e culturale, si è evoluto in un profondo viaggio interiore. I silenzi di quei luoghi e gli incontri inaspettati hanno avuto un impatto così intenso sulla mia persona da spostare la mia attenzione altrove. Ho scoperto che gli ambienti che stavo esplorando non erano solo testimoni di un passato doloroso, ma anche spazi che evocavano emozioni e riflessioni intime. Questo cambiamento di prospettiva mi ha permesso di immergermi fin da subito in nuovo percorso, trasformando il viaggio in una riflessione personale su memoria, identità e sull’influenza del passato nel presente.
Su che zone della Polonia ti sei soffermato?
Ho esplorato diverse zone della Polonia, attraversando le vaste e ondulate aree agricole del centro del Paese ho raggiunto i Monti Tatra, a sud, al confine con la Slovacchia. A nord, invece, ho visitato le foreste della regione dei Mille Laghi e le spiagge sul Mar Baltico, dove la neve e il mare creano un paesaggio quasi irreale. Ciascuna di queste zone porta con sé frammenti di storia, ma anche scenari intatti lontani dalla modernità ed essenza di un Paese in equilibrio tra passato e presente.
Come ti sei mosso per conoscere i luoghi e le persone?
Durante il mio primo viaggio, nel 2008, ho utilizzato i mezzi pubblici: questo mi ha permesso di immergermi nella vita quotidiana del Paese, di interagire con le persone locali e di apprezzare la cultura e l’atmosfera dei luoghi. Per il mio secondo viaggio, nel 2023, ho invece noleggiato un’auto e ho deciso di viaggiare da sud a nord senza alcun percorso prestabilito. Grazie a questa libertà di movimento, ho potuto scoprire luoghi inaspettati e allontanarmi dai sentieri più battuti.
La mia intenzione era quella di esplorare la realtà polacca al di fuori dei grandi centri abitati, cercando esperienze autentiche in aree “vergini”, non ancora intaccate dalla modernità. Ho potuto esplorare villaggi sperduti, paesaggi rurali e tesori nascosti della natura, fermandomi ogni volta che uno scenario o un’atmosfera mi colpivano.
Qual è la strumentazione fotografica che hai usato per produrre Teren Zielony?
In entrambi i viaggi ho utilizzato due macchine fotografiche analogiche: una reflex e una compatta. A distanza di quindici anni, ho impiegato delle vecchie pellicole che avevo conservato in frigorifero. Le avevo custodite gelosamente in attesa di un’idea, di un nuovo progetto. Nel lontano 2008, fotografavo quasi esclusivamente in bianco e nero, sviluppando e stampando personalmente in camera oscura. Questo processo mi permetteva di avere un controllo totale sotto ogni aspetto, dal negativo alla stampa finale. Utilizzare il bianco e nero era per me un modo per catturare la realtà in una forma più pura e intensa, senza le distrazioni del colore.
Il bianco e nero che usi è viscoso, materico. Che apporto ha dato questa estetica al tuo progetto?
L’utilizzo di un bianco e nero granoso, enfatizzato dall’utilizzo di pellicole ad altissima sensibilità, con condizioni di luce spesso estreme, mi ha permesso di costruire un racconto più evocativo, capace di offrire una chiave poetica ed immersiva. Questa scelta tonale accentua l’essenza quasi sospesa di volti e paesaggi. I contrasti profondi e materici non solo evidenziano o nascondono dettagli, ma amplificano anche i silenzi e le assenze, suggeriscono piuttosto che raccontare.
Il tuo progetto è stato prodotto nell’arco di due viaggi molto distanti tra loro temporalmente, nel 2008 e nel 2023. Come ne hai uniformato l’estetica?
Nel 2008 ero consapevole di aver realizzato alcuni buoni scatti ma sapevo di non avere in mano un lavoro compiuto. Ho di conseguenza deciso di concentrarmi esclusivamente su alcune foto per realizzare un breve portfolio e una piccola mostra, selezionando circa venti immagini che ho stampato io stesso in camera oscura. Non conoscevo, quindi, il lavoro nella sua totalità e non sapevo esattamente quali immagini fossero rimaste dimenticate. Le fotografie di quel viaggio sono riemerse casualmente nell’ottobre del 2023 durante l’intera scansione dei negativi che componevano il mio archivio fotografico.
Con grande sorpresa, nei negativi del 2008 ho trovato molto materiale interessante, ma purtroppo insufficiente per un lavoro coerente e completo. Questa scoperta mi ha spinto a tornare in quei luoghi durante l’inverno del 2023 per raccogliere altro materiale fotografico, ricercando lo stesso filo conduttore e la stessa traccia là dove l’avevo lasciata. Questo ritorno non è stato solo una questione di raccolta di nuove immagini, ma anche di riconnessione ad un’esperienza e a un contesto che avevo vissuto. Proprio questa riconnessione mi ha consentito di costruire un’estetica uniformante capace di collegare il lavoro passato con la mia nuova osservazione di quei luoghi.
I soggetti di Teren Zielony sono per lo più luoghi, paesaggi, spazi che riecheggiano un silenzio doloroso, anche i volti delle persone su cui ti soffermi sono dolenti. Come la storia della Polonia si è inserita nella tua rappresentazione?
Credo che i soggetti di Teren Zielony siano fortemente influenzati dalla storia complessa e spesso dolorosa della Polonia. Ogni luogo e persona che ho ripreso porta con sé il peso del passato e un’estetica tipicamente polacca, non ancora banalizzata dalla modernità. Sui volti delle persone che ho incontrato e nell’apparente quiete dei paesaggi, ho percepito una sorta di silenzio collettivo, come se ciascuno di essi custodisse storie non raccontate, memorie di amore, sofferenza e resilienza. Le immagini che compongono questo diario esprimono non solo il mio stato d’animo mentre attraversavo quei luoghi, ma anche il modo in cui quegli stessi luoghi mi attraversavano, influenzando la mia percezione e la mia esperienza.
Nel produrre questo lavoro quali sono stati i tuoi riferimenti fotografici e culturali?
Se riguardo le fotografie emergono influenze che provengono da immagini di Koudelka, Castore, Sluban, Ackerman, Giacomelli, Engström. I loro lavori hanno sicuramente contribuito a plasmare la mia visione e la mia sensibilità nei confronti della fotografia, anche se non posso attribuire a nessuno in particolare un’influenza precisa. Direi che Teren Zielony è il frutto di un amore che nutro e coltivo da sempre per un certo tipo di fotografia in bianco e nero.
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