Alessandro Roncaglione, classe 1977, vive di fotografia e video. È specializzato in architettura, edilizia e paesaggio urbano, cerca composizioni pulite, toni tenui e luci equilibrate. Nutre una grande passione per i cantieri, laboratori a cielo aperto che appaiono immobili seppur mossi da continue trasformazioni, evoluzioni generate dall’operosità dell’essere umano.
Abbiamo chiesto all’autore di raccontarci la sua fotografia, partendo dal giorno in cui, con l’aiuto di un professionista del settore, scoprì di avere una vocazione per l’architettura.
Come sei diventato un professionista di fotografia e video di architettura?
Ho iniziato ad appassionarmi davvero alla fotografia di architettura partecipando a una masterclass con Luca Campigotto tra il 2017 e il 2018. Luca mi ha aiutato a capire in che direzione stava andando la mia fotografia in quel momento e a fare chiarezza tra le mie idee, al tempo parecchio confuse.
I risultati di quella masterclass sono finiti per caso in mano a un costruttore edile, che mi ha proposto un lavoro di documentazione di un suo cantiere e da lì è iniziato tutto. In seguito, in piena pandemia di covid, ho seguito il consiglio del mio più caro amico e ho proposto le mie fotografie a una grossa impresa edile. Ancora oggi quell’impresa continua a commissionarmi molti lavori davvero interessanti e, come spesso succede, il passaparola ha generato contatti con altre realtà.
I lavori più strettamente legati all’architettura, invece, sono cominciati collaborando con l’Architetto Paolo Belloni. Per un mio progetto personale avevo fotografato una chiesa disegnata da lui, dopodiché l’architetto ha visto quelle fotografie su Instagram e mi ha chiesto di fotografare altri suoi lavori. Ho accettato ben volentieri perché ritengo Belloni uno degli architetti più interessanti del momento. I miei video sono strettamente legati alla fotografia, sono un fotografo che si è reinventato videomaker quindi più che di video di architettura parlerei di fotografie in movimento.
Quanto è popolare la fotografia di architettura tra gli amatori? Perché?
Non saprei dire se è popolare o meno tra gli appassionati di fotografia. A sensazione direi che è poco praticata dai non professionisti, ma magari mi sbaglio. Forse essendo una fotografia molto lenta appassiona poco chi si avvicina per la prima volta alla fotografia.
Qual è l’attrezzatura che hai selezionato negli anni e di cui non potresti fare a meno?
Sicuramente i vari obiettivi decentrabili: 24mm, 28mm e 45mm in primis e un treppiedi robusto con una testa micrometrica.
Quali sono, dal punto di vista tecnico, i peggiori nemici del fotografo di architettura?
Penso che l’unico vero nemico sia una brutta luce, naturale o artificiale che sia.
Nelle tue immagini a colori c’è una percettibile coerenza visiva, sia nelle cromie, sia nell’esposizione. Ce ne parli?
È una cosa che ricerco, mi piacciono le ombre aperte e i toni tenui e vorrei che le mie fotografie trasmettessero a chi le guarda un senso di quiete ma anche di piacevole solitudine, come fossero il ritaglio di una serena giornata, sia essa di lavoro o di svago. Mi interessano le forme e gli oggetti inanimati; le persone, al contrario, non compaiono mai nelle mie foto perché penso che in un modo o nell’altro potrebbero inquinarne la pace.
Per ottenere l’esposizione che desidero, cerco di non chiudere mai del tutto le ombre e di non bruciare le alteluci. Anche se i sensori moderni consentono ampi recuperi, preferisco effettuare sempre un bracketing fino a sette stop per poi recuperare quanto necessario in postproduzione.
Qual è il tuo cielo ideale?
Ammetto che il cielo coperto è quello che preferisco, soprattutto quando lavoro. Il motivo è presto detto: se devo fotografare una grossa struttura o un cantiere molto esteso e sono, ad esempio, le due del pomeriggio con il sole a picco, uno o due lati saranno in ombra. Se invece il cielo è coperto diventa tutto più semplice, specialmente se consideriamo che fotografo spesso i cantieri quando gli operai si fermano per la pausa pranzo perché, come dicevo, preferisco non ci siano troppe persone in giro.
Quando devo scattare foto personali il cielo mi preoccupa di meno e se mi rendo conto che una foto non verrebbe bene mi segno la posizione e programmo di ritornarci con una luce migliore. Il più delle volte utilizzo Google Maps per ricercare i posti da fotografare e grazie alla bussola posso sapere in anticipo la posizione del sole.
Anche quando lavoro con gli architetti i tempi sono solitamente gestibili e riesco a pianificare per bene giorno e ora dello shooting per avere un cielo favorevole sia per quelle che sono le richieste del committente, sia per le mie preferenze. In cantiere spesso questo non è possibile.
Ci sono nomi della fotografia ai quali ti ispiri?
L’elenco sarebbe davvero lungo. Per nominare giusto qualcuno: Luigi Ghirri, Guido Guidi, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Julius Shulman, Robert Adams, Walker Evans, Werner Mantz, Gilbert Fastenaekens, Bernd e Hilla Becher. Potrei davvero andare avanti ad oltranza…
Possiamo dire che non sei un grande fan dell’oscurità?
In realtà mi piace molto andare a fotografare con il buio, è solo una questione di periodi. Al momento prediligo scatti diurni, ma fino a qualche anno fa praticamente fotografavo solo la sera o la notte.
Ti piace fotografare cantieri. Perché?
Mi piace cercare un ordine legato alle forme e agli oggetti e soprattutto l’armonia in un luogo caotico e spesso tutto grigio, probabilmente per la mia inclinazione a preferire i toni tenui. Mi piace fotografare i cantieri nella fase in cui c’è solo uno scheletro, gli spazi sono ancora ampi e ci sono solo le solette e i pilastri di cemento armato.
Nella fotografia di architettura vale l’idea che le regole compositive siano fatte per essere infrante?
Fino a un certo punto. Linee cadenti, muri storti, prospettive non corrette raramente sono interessanti soprattutto se il lavoro è commissionato. Chiaramente ci sono le eccezioni, sebbene siano rare. Difficilmente si incontra un architetto che apprezza fotografie scattate non correttamente.
Quanto conta avere dimestichezza con un drone?
Se si fotografa architettura per il solo piacere di farlo non conta nulla. Allo stesso modo credo non sia rilevante per i fotografi di architettura già affermati, apprezzati per una produzione che non include riprese aeree. Per chi fa il mio stesso lavoro, invece, è importante, perché ormai il 90% dei clienti chiede delle foto scattate con il drone. Non penso sia fondamentale ma diciamo che per lavorare aiuta. Ammetto di non essere un appassionato di fotografie realizzate con il drone, ma allo stesso tempo sono conscio del fatto che per alcune inquadrature è indispensabile.
Descriveresti la realizzazione di un tuo scatto, passo dopo passo?
Inizio osservando quello che devo fotografare: se è una costruzione imponente ci giro intorno e cerco di capirla, altrimenti guardo la scena da diversi punti di vista, dopodiché compongo l’inquadratura che più mi piace. Ho un metodo forse poco ortodosso di fotografare, nel senso che le mie foto sono quasi sempre composte da due o tre decentramenti dell’obiettivo, quello che tecnicamente viene chiamato ‘stitching’, perché mi piace che la scena inquadrata sia di ampio respiro e allo stesso tempo prospetticamente corretta.
Quindi, decentrando l’obiettivo guardo cosa sto inquadrando e con un po’ di immaginazione costruisco mentalmente il risultato finale, che non vedo realmente fino a quando non scarico e ricompongo le immagini al computer. Infine, calcolo l’esposizione, spesso prestando più attenzione alle alteluci che alle ombre, che comunque non chiudo mai del tutto. Imposto il bracketing da tre a sette stop e scatto. Quindi ogni mia fotografia è composta da un numero variabile di pose che va da nove a ventuno a seconda delle condizioni di luce.
Che stia fotografando cantieri, architetture o paesaggi urbani il mio approccio a livello compositivo, di esposizione e di post-produzione è sempre lo stesso.
Bio e contatti
Alessandro Roncaglione, nato a Milano nel 1977, si è diplomato in chimica industriale per poi intraprendere un percorso di formazione fotografica da autodidatta. Da fotografo amatoriale appassionato ha appreso le nozioni tecniche e basato i propri studi sulla consultazione di libri di fotografia.
Attualmente lavora nel campo della fotografia e del video nell’ambito dell’edilizia e dell’architettura, con l’intento di mostrare al meglio il lavoro altrui dopo averlo scrutato con curiosità.
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