Fino al 3 marzo è in mostra a Gorizia, alla galleria studiofaganel, il progetto di Riccardo Fregoso "Adriatico", una narrazione per immagini che unisce la ricerca dell’estetica balneare con i ricordi d’infanzia.
“Adriatico” è una chiara ricerca sull’estetica paesaggistica che anima la costa adriatica, un paesaggio balneare con le sue costruzioni temporanee e i suoi edifici di cemento, contenitori di un turismo massificato. Ma in questo progetto c’è anche molto della tua storia personale. Ce ne racconti le origini per poi spiegarci come le due cose siano entrate in dialogo tra loro?
Durante la mia infanzia ho trascorso, come tanti Italiani negli anni Ottanta e Novanta, lunghe estati sulla costa adriatica. Gli studi mi hanno portato a vivere a Parigi, dove sono rimasto per quindici anni. Il tempo ha gradualmente trasformato i miei ricordi estivi facendogli assumere toni da sogno, da paradiso perduto. Alla nascita di mia figlia, cinque anni fa, mi sono trovato a riscoprire l’Adriatico, le sue spiagge ad alta densità, i suoi paradossi architettonici, il segno degli anni sulle strade e gli stabilimenti balneari, ma anche un tenace senso di appartenenza, di affetto. Passeggiando sul lungomare di San Salvo Marina ho avuto la sensazione di vivere, per usare un termine caro a Gregory Halpern, “un’epifania”: l’intuizione estetica della necessità di catturare con la mia macchina fotografica questo “state of mind”, la quintessenza dell’Estate Italiana. Come me, ogni anno milioni di italiani, nonostante l’oggettiva non-bellezza di questi paesaggi, continuano a tornare, in un eterno “ritorno a casa”, sulle coste adriatiche, e continuano ad amarle. Come se la trasposizione del suburbano nei luoghi delle nostre vacanze ci rassicurasse col suo senso di dejà vu, un souvenir costantemente rinnovato e rivivificato nel presente.
Nelle immagini di Adriatico l’uomo sembra comparire come presenza transitoria, come tutti gli “accidenti” paesaggistici che hai immortalato sulla spiaggia…
Vero. Anche il mare in Adriatico è raramente visibile, spesso assente. Qui si pone la questione del lungomare come palcoscenico. La costa adriatica è stata plasmata negli anni da una presenza ininterrotta di barriere, muri e muretti, palazzi, stabilimenti, strade, elementi che impediscono o quasi l’osservazione diretta del mare. La natura, anche qui come se ci trovassimo in una periferia infinita, è controllata e inquadrata dall’architettura. Addomesticata. Il vivente e le sue tracce sono accessori. Il protagonista è il quadro. Lo sguardo non può procedere se non attraverso filtri e cortine. Gioco ricco di senso per l’occhio fotografico.
Parlando di sguardo e occhio fotografico, in “Adriatico” dov’è il tuo “punctum”?
Lungomare Cristoforo Colombo incarna il punctum di Adriatico per me: la spiaggia con i ragazzini che giocano è una finestra aperta sul mio passato, osservato dietro alla barriera della passeggiata, che ne impedisce l’accesso fisico, ma non allo sguardo. La ragazza, che impersona i toni stessi della luce adriatica, tra pesca e arancio, è vicina, ma inafferrabile. Dissoluzione sublime del tempo, ripetuto e fissato nell’istante presente.
Perché la scelta di fotografare con una Zenza Bronica. Che tipo di estetica volevi restituire?
Ci sono tre fattori determinanti in questa scelta. La semplicità, il formato e la luce. Ho scelto di utilizzare una macchina totalmente meccanica, senza esposimetro tra l’altro, per limitare le possibilità di scatto e aumentare la concentrazione. La moltiplicazione di possibilità offerta dal digitale per me è molto spesso dannosa, perché si tende a relativizzare l’importanza dello scatto singolo. Con la mia Bronica invece ogni scatto conta: sbagliarlo significa perderlo. Il medioformato, unito a un’ottica Zenzanon 75mm con apertura f/2.8, permette di accogliere e “dilatare” la luce in un modo assolutamente unico, cristallino, nonostante i tempi di posa relativamente lunghi. Il formato 6×6 crea un effetto leggermente vintage, ma permette soprattutto di concentrare lo sguardo, riempire il quadro con l’immagine, senza dispersioni. Ho poi sempre scattato su Kodak Portra 400, pellicola che rende perfettamente i toni pastello di quella golden hour Adriatica che è al cuore della mia ricerca estetica.
La luce sembra essere il collante di tutto il lavoro. Che valore ha per te la luce della costa adriatica?
La luce è la protagonista assoluta di Adriatico. Nel mio vagabondare alla ricerca di quell’Estate Italiana perduta che ho voluto ricostruire, la luce ha guidato il mio sguardo, scatto dopo scatto. È la luce del tardo pomeriggio sulla costa, dove si forma una leggerissima, impercettibile bruma che diffonde e fissa i toni arancio e blu in un’immobilità assoluta, quasi metafisica. Volevo che da ogni scatto scaturisse quel senso di sospensione del respiro, nostalgia, angosciante e liberatorio allo stesso tempo, che sento davanti a certe opere di De Chirico. La luce è la chiave per comprendere il paradosso della costa adriatica, la sua misteriosa capacità di far convivere passato e presente, bellezza e rovina.
Come ti chiederebbe un pugliese: Adriatico o Ionio?
È interessante riflettere sul fatto che la Puglia sia la sola regione adriatica ad affacciarsi su due mari, con coste, correnti e venti diversi. Tutti fattori che influiscono sulla luce, con delle variazioni tonali tangibili. Un altro fattore è storico. L’Adriatico è al centro di un’epopea italiana pluridecennale, lo Ionio è più discreto, più estremo, in senso geografico e metaforico. Difficilissimo scegliere!
Riccardo Fregoso. Adriatico
- studiofaganel, Viale XXIV Maggio 15/c (GO)
- dal 20 gennaio al 3 marzo 2023
- lunedì-venerdì, 16-19; sabato e mattine su appuntamento
- ingresso gratuito
- studiofaganel.com