A partire dal XVI secolo, milioni di africani furono fatti migrare forzatamente in Brasile per lavorare come schiavi. Queste persone portavano con sé anche le proprie tradizioni religiose, ma le ideologie cristiane dei colonizzatori non lasciavano spazio a un credo diverso. Così, i riti di altre tradizioni potevano essere praticati solo di nascosto, con il conseguente rischio di persecuzioni. Fu solo alla fine del XX secolo che religioni come il Candomblé e l’Umbanda cominciarono a emergere dalle ombre del proibizionismo.
Nonostante la loro legalizzazione negli anni ’80, i praticanti continuano a subire discriminazioni e violenze da parte di gruppi cristiani estremisti, con oltre 1.200 attacchi religiosi segnalati in Brasile solo nel 2022.
Gui Christ, prete e fotografo, in M’kumba, trasmette la potenza di queste religioni che per secoli sono state represse, mettendo in scena la ritualità e la dirompenza della loro spiritualità.
Abbiamo intervistato l’autore per farci raccontare la storia dietro al suo progetto.
Rappresentazione di Obaluaê, uno degli Orisha più incompresi delle religioni afro-brasiliane. Conosciuto come la divinità Yoruba della guarigione e delle malattie, Obaluaê è spesso raffigurato con il corpo ricoperto di paglia, a nascondere le piaghe del vaiolo. Questa raffigurazione ha portato alcuni gruppi intolleranti ad associarlo erroneamente alla malattia, arrivando persino a proibirne il nome e a fraintendere la sua vera natura di guaritore. Ciononostante, Obaluaê rimane una figura potente, venerata dalle comunità religiose afro-brasiliane per la sua capacità di portare guarigione sia fisica che spirituale a chi ne ha bisogno. Campo Limpo Paulista, Brasile, 2021.
Ritratto di Valdemir Alves, un suonatore di tamburo religioso afro-brasiliano, che tiene in mano un dipinto di un antenato africano venerato nella sua comunità. I tamburi, noti come N’goma, sono considerati strumenti sacri in grado di evocare divinità dal regno spirituale. Tuttavia, i tamburi africani furono vietati in Brasile fino al 1940. Per preservare le loro tradizioni, i praticanti afro-brasiliani furono costretti a eseguire rituali nel profondo dei boschi, dove potevano tenere i tamburi nascosti alle autorità. Embu das Artes, Brasile, 2025.
Qual è la storia che racconti nel tuo progetto M’kumba?
M’kumba è un progetto fotografico che indaga la resistenza delle religioni afro-brasiliane di fronte al razzismo religioso in Brasile. L’opera attinge a narrazioni mitologiche, rituali e alla cultura visiva di queste tradizioni per costruire un universo immaginario e simbolico, profondamente radicato nella realtà delle comunità che praticano il Candomblé, l’Umbanda e altre fedi afro-diasporiche. In questa serie cerco non solo di documentare, ma anche di creare immagini che evochino la forza, la bellezza e la profondità di queste cosmologie, affrontando le numerose violenze create dal processo coloniale che ancora persiste e l’intolleranza contemporanea attraverso un linguaggio di dignità e ricostruzione poetica.
Il progetto nasce da una tua esperienza personale?
Sì. Sono un sacerdote in formazione in una di queste tradizioni religiose afro-brasiliane e questo lavoro fa parte del mio percorso di iniziazione. Nasce da un’esperienza profondamente personale di appartenenza e di apprendimento spirituale e, allo stesso tempo, ha una dimensione politica: è il mio modo di contribuire alla lotta contro l’intolleranza religiosa e al riconoscimento di queste tradizioni come parte del patrimonio culturale e storico brasiliano. Il progetto è un gesto sia intimo che collettivo.
Ritratto dei sacerdoti Umbanda José Elias e Rosa Nagô, che incarnano gli spiriti guardiani degli incroci, entità libere ed eccentriche che si ritiene proteggano gli spazi sacri e le vite dei praticanti afro-brasiliani. Nonostante il loro ruolo vitale, questi spiriti vengono spesso rappresentati, erroneamente, da gruppi intolleranti, come forze diaboliche a causa del loro comportamento frivolo. Questo pregiudizio alimenta la persecuzione di queste divinità, che sono tra le più prese di mira nelle pratiche religiose afro-brasiliane. San Paolo, Brasile, 2024.
Ritratto della sacerdotessa afro-brasiliana Elizabeth Aparecida, in rappresentanza di Ogun, nel cortile del suo tempio. A causa di pregiudizi sistemici, molti praticanti faticarono a regolarizzare i loro spazi, rischiando arresti e chiusure di templi. I cortili divennero luoghi di resistenza, dove i rituali si svolgevano in segreto, garantendo la sopravvivenza delle pratiche e delle comunità afro-brasiliane. Embu das Artes, Brasile, 2025.
Pensi che il tuo lavoro possa contribuire a un’integrazione religiosa e culturale?
Credo che la fotografia abbia il potere di generare empatia, di smantellare i pregiudizi e di aprire canali di ascolto. In un contesto come il Brasile, dove le religioni afro-diasporiche sono ancora oggetto di odio e disinformazione, vedo questo lavoro come un ponte, che cerca di smantellare l’immaginario costruito dal colonialismo e di riaffermare la centralità delle spiritualità nere nella nostra cultura. L’integrazione non riguarda l’omologazione, ma il riconoscimento della pluralità e il rispetto della differenza.
Nel tuo progetto si alternano sguardi ampi su ambienti e situazioni e sguardi più simbolici che colgono i dettagli di culto. Come hai progettato il lavoro dal punto di vista narrativo, estetico e compositivo?
Le scelte estetiche e compositive in M’kumba sono state definite dalla logica di ogni immagine. Alcune erano più spontanee, mentre altre erano completamente messe in scena, ma anche in questo caso sono, comunque, profondamente radicate nelle pratiche, negli spazi e nelle credenze reali delle persone che ho fotografato. Non c’era una struttura narrativa univoca e lineare. Ho invece creato ogni immagine come una storia a sé stante, rispettando i codici visivi di ogni comunità e il rapporto che ho costruito con le persone coinvolte. La mia attenzione non era solo rivolta all’aspetto delle cose, ma anche al loro significato per chi le vive.
Ritratto di Diana Kelly che mette in scena un rituale afro-brasiliano in cui il popcorn viene usato come rimedio. Nella mitologia Yoruba, il popcorn è legato a Obaluaê, l’Orisha delle malattie. Dopo che le sue piaghe da vaiolo furono guarite, si trasformarono in popcorn, a simboleggiare il suo potere di assorbire le malattie. Per secoli, la medicina tradizionale afro-brasiliana è stato l’unico metodo di cura sanitaria per gli schiavi e i loro discendenti, sebbene sia stata criminalizzata fino all’inizio del XX secolo. San Paolo, Brasile, 2023.
Rappresentazione del rituale chiamato “Efun” (punti bianchi), usato per allontanare la morte, in particolare in un paese dove decine di persone di colore vengono uccise ogni giorno. Secondo la mitologia Yoruba, la morte, o Iku, teme la faraona. Per questo motivo, in alcune religioni afro-brasiliane, è tradizione dipingere gli iniziati con motivi che imitano le piume di questo uccello, a simboleggiarne la protezione per garantire una vita lunga e sana. San Paolo, Brasile, 2024.
C’è una foto molto curiosa che inquadra un uomo quasi completamente di spalle. Nella stessa immagine compaiono dei pop corn. Come hai prodotto quello scatto e cosa simboleggia?
È un’immagine messa in scena, creata in collaborazione con una donna della mia comunità religiosa. È stata concepita per evocare un rituale di guarigione tradizionale radicato nella mitologia di Obaluaê, l’orisha associato alla malattia e alla cura. Secondo il mito, dopo che le sue ferite di vaiolo furono guarite, si trasformarono in popcorn e caddero a terra. Oggi, questa narrazione sopravvive attraverso i rituali praticati nei ‘terreiros’ di tutto il Brasile, dove il popcorn viene utilizzato nei bagni spirituali volti a guarire il corpo, la mente e l’anima. L’immagine non è una documentazione letterale del rituale, ma una ricostruzione simbolica che rende omaggio a questa tradizione e ai suoi fondamenti mitologici.
Le immagini le hai prodotte mentre erano in atto i riti o hai chiesto ai tuoi soggetti di inscenare delle specifiche situazioni?
All’inizio, ho seguito un approccio fotogiornalistico, fotografando i rituali mentre si svolgevano, senza interferenze. Ma col tempo, mi sono reso conto che questo metodo non era sufficiente per esprimere la magia, la cosmologia e la profondità mitologica di queste religioni. Per onorare davvero la loro complessità e il loro simbolismo, dovevo andare oltre i limiti del fotogiornalismo e abbracciare immagini messe in scena. Tuttavia, queste scene non sono inventate arbitrariamente: emergono dalla mia esperienza vissuta come praticante religioso, combinata con i miti, le narrazioni e i codici visivi specifici di ogni comunità che fotografo. Le immagini sono sempre create in dialogo e con la partecipazione e il consenso delle persone coinvolte.
Ritratto del sacerdote Candomblé Danilo Fernandes che tiene in mano due cipree africane come se fossero strumenti binoculari capaci di vedere attraverso il tempo e lo spazio. La divinazione con le cipree, praticata in molte tradizioni religiose afro-brasiliane, affonda le sue radici in un sofisticato sistema matematico e simbolico. Ogni configurazione corrisponde a narrazioni mitologiche che non solo guidano le decisioni spirituali, ma riguardano anche la medicina tradizionale afro-brasiliana. Nonostante la sua profondità intellettuale e culturale, questo rito è stato a lungo liquidato come superstizione, frutto del razzismo scientifico che storicamente ha svalutato i sistemi di conoscenza e le pratiche spirituali africane. San Paolo, 2024.
Ritratto di Flavio Junior con indosso l’abito religioso tradizionale afro-brasiliano utilizzato durante il processo di iniziazione al Candomblé. Questi indumenti simboleggiano l’ascendenza africana e la purezza spirituale. Come Flavio, tutti i neofiti sono tenuti a indossare abiti simili per tre mesi dopo l’iniziazione, integrando la loro devozione nella vita quotidiana, a scuola, al lavoro o altrove. Purtroppo, questa pratica sacra li espone spesso al bullismo a scuola e per strada, che può portare all’isolamento sociale e, in alcuni casi, all’abbandono scolastico. San Paolo, Brasile, 2021.
Ritratto di praticanti Umbanda durante la festa di Yemanjá. Questa celebrazione si celebra in diverse date in tutto il Brasile a causa del sincretismo di questa divinità con le festività cristiane. In alcuni siti turistici, veniva tradizionalmente celebrata il 31 dicembre e questa festa ha profondamente influenzato le tradizioni locali del Capodanno, trasformandola in uno dei più grandi eventi culturali del paese. Nel tempo, tuttavia, la celebrazione è stata cooptata da interessi commerciali e le sue radici africane sono state sistematicamente cancellate a causa del razzismo religioso. Di conseguenza, molti praticanti afro-brasiliani sono stati costretti a cambiare la data dei loro rituali, poiché la loro presenza era vista come un inconveniente a causa dell’interesse turistico. Praia Grande, Brasile, 2024.
Ritratto del praticante religioso afro-brasiliano Inagê Kaluanã che rappresenta l’arrivo degli Orixá Exu in Brasile, con la migrazione forzata degli schiavi Yoruba. Exu è considerato il messaggero che collega il mondo materiale (Aiyê) e quello spirituale (Òrun), rivestendo un profondo significato per le comunità schiavizzate. Si credeva che potesse portare le loro preghiere al divino, offrendo conforto e alleviando le loro sofferenze di fronte all’oppressione. Salvador, Brasile, 2023.
Il bianco e il rosso sono due colori molto presenti nelle immagini del tuo progetto. Perché?
Entrambi i colori hanno un forte significato nelle religioni afro-brasiliane. Il bianco è associato alla pace, all’iniziazione, alla purezza e al legame con gli orisha; è il colore più comune nell’abbigliamento degli iniziati. Il rosso è legato ad alcune divinità, come Ogum ed Exu, ed evoca la forza, la trasformazione e l’energia vitale del movimento. Questi colori non sono solo scelte estetiche, ma elementi del linguaggio spirituale.
Ci sono dei fotografi a cui ti ispiri e che consideri dei riferimenti per il tuo pensiero fotografico?
Molti. Tra i brasiliani, metterei in risalto Walter Firmo. Tra i nomi internazionali, mi ispirano Gregory Halpern, Alex Soth della Magnum e Pieter Hugo. Ammiro il loro approccio contemporaneo alla fotografia documentaria, che spesso fonde finzione e realtà ritraendo la vita quotidiana con una sensibilità poetica. Ecco perché il loro lavoro mi tocca profondamente.
Ritratto di Samara Azevedo che rappresenta la divinità Yoruba dei mari, Yemanjá. È l’Orisha più popolare in Brasile, ma a causa del razzismo, la sua immagine è stata alterata. A differenza dell’Africa, dove è raffigurata come una donna nera corpulenta con seni prosperosi, che allatta pesci come se fossero i suoi figli, in Brasile la sua rappresentazione è stata trasformata in quella di una donna bianca e snella, più simile a una fata europea. Oggi, molti giovani praticanti religiosi afro-brasiliani si stanno impegnando per ripristinare l’immagine africana originale di Yemanjá e combattere i pregiudizi. Salvador, Brasile, 2023.
Ulteriori fotografie e informazioni sul lavoro di Gui Christ sono disponibili sul sito del fotografo www.guichrist.com/projects/mkumba/.
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