Milano
Dal 15 novembre 2025 al 25 gennaio 2026
L’8 novembre vi parlavamo della mostra del 61° Wildlife Photographer of the Year presso il Museo della Permanente di Milano.
Lo scorso sabato abbiamo preso parte a una visita guidata dell’esposizione a cura del naturalista e pluripremiato fotografo Marco Colombo. Insieme a lui abbiamo potuto “curiosare” dietro le quinte di alcuni scatti e capire il comportamento di alcune delle specie più particolari che abitano i diversi ecosistemi del nostro pianeta.
Wildlife Photographer of the Year: visite guidate alla natura in mostra
Marco si è reso disponibile per l’anteprima alla stampa, ma cura con cadenza regolare visite guidate alla mostra: se volete gustarla al meglio vi consigliamo di far coincidere la vostra visita con una di esse. Alle sue visite si aggiungono quelle interattive su diversi argomenti, pensate su misura per adulti, famiglie e ragazzi, a cura del Gruppo Pleiadi, team di divulgatori scientifici attivi nei più importanti musei naturalistici d’Italia. Queste visite offrono un approccio partecipativo e creativo, trasformando le immagini della mostra in occasioni di apprendimento e scoperta per tutti.
Wildlife Photographer of the Year: la spettrale iena bruna
Chi segue fotocult.it ha già letto qualcosa a proposito della fotografia che ha vinto il Wildlife Photographer of the Year 2025.
Realizzata con una fototrappola in un villaggio minerario abbandonato della Namibia, la scena ritrae una rara iena bruna, specie solitaria e difficile da fotografare. La foto è di grande impatto non solo per il fatto di aver ripreso la più rara specie di iena al mondo, ma anche per la perfetta costruzione estetica. I due flash attivati dalla fototrappola danno un lampo molto freddo, che fa da contrasto con la luce più calda che illumina l’edificio abbandonato in secondo piano. Contribuisce all’aspetto spettrale la nebbia che sale dall’oceano dietro la casa.
Grazie a questo mix il fotografo naturalista sudafricano Wim van den Heever, con la sua Ghost Town visitor, ha vinto il 61° Wildlife Photographer of the Year.
Wildlife Photographer of the Year: la solitudine dell'uovo di squalo
Ralph Pace, vincitore della categoria Underwater del Wildlife Photographer of the Year 2025, ci regala quella che è a tutti gli effetti una scena molto intima, con una fotografia subacquea dedicata a un uovo di uno squalo. Alcune specie di squali, infatti, non partoriscono piccoli vivi ma depongono uova dotate di peduncoli, che la femmina avvolge con cura attorno ad alghe o rocce per favorire l’ossigenazione tramite le correnti e regalargli protezione. L’incubazione può superare i nove mesi e il futuro squaletto, una volta deposto l’uovo, viene abbandonato a sé stesso, con un tasso di predazione molto elevato, che può arrivare all’80%. Illuminando da dietro la capsula, come ha fatto il fotografo, a fine sviluppo è possibile osservare l’embrione arrotolato con il sacco vitellino. Anche nel Mediterraneo, specie come gattuccio e gattopardo depongono uova in modo simile. L’immagine bilancia la luce del flash sulle alghe violacee con una torcia posteriore che rivela l’embrione, mentre la tipica acqua torbida crea una tonalità verde “menta” che aggiunge tridimensionalità e atmosfera.
Wildlife Photographer of the Year: non è un timbro clone, sono davvero meduse
Lo stesso fotografo, Ralph Pace, ci regala un’altra immagine di grande impatto. Nuotando in mezzo a un gruppo di meduse, ha realizzato questo scatto, che ha colpito la giuria per la sua particolarità. Il colpo di flash illumina il soggetto in primo piano e lascia le compagne a fare da comparse, quasi a creare un pattern di quelli che si fanno con il timbro clone, in un mare verde.
Wildlife Photographer of the Year: la posa a spirale del delfino di fiume
È firmato Hussain Aga Khan il ritratto del delfino di fiume Inia (o boto), una specie amazzonica molto diversa dai cetacei marini: può muovere il collo con grande libertà, ha occhi piccoli adattati alle acque torbide e tanniniche della foresta e un rostro insolitamente lungo che gli permette di catturare i pesci nel buio come con delle “bacchette”. La fronte è particolarmente sviluppata per l’ecolocalizzazione, fondamentale in un ambiente dove la visibilità è quasi nulla. L’immagine valorizza il caratteristico colore aranciato dell’acqua e una composizione a spirale: la torsione del corpo e delle pettorali crea dinamismo, mentre i raggi di luce convergono verso il centro per effetto della finestra di Snell, guidando lo sguardo sul soggetto chiaro contro lo sfondo scuro. Una posa quasi perfetta, che esprime al meglio l’unicità di questo cetaceo fluviale.
Lo scatto mostra un esemplare selvatico vicino a un pontone lungo il Rio Negro, a Manaus, in Brasile. Qui i turisti possono pagare per nutrire gli animali. Il turismo naturalistico può aumentare l’interesse per la conservazione, ma rischia di causare danni se i botos diventano dipendenti dal cibo offerto.
Nella Riserva di Mamirauá, la popolazione di botos è diminuita del 70% nei 22 anni fino al 2018. I botos vengono anche usati come esca per il pesce gatto avvoltoio, molto richiesto. Per limitare l’impatto sulla specie, il governo brasiliano ha rinnovato nel 2023 il divieto di pesca del pesce gatto avvoltoio.
Wildlife Photographer of the Year: la foca curiosa
La fotografia di Greg Lecouer (Francia) ritrae una delle specie più rare al mondo: la foca monaca. Si tratta di un animale a forte rischio di estinzione, di cui restano ormai pochissimi individui, anche se fortunatamente la popolazione sta mostrando un lento recupero. Le stime più recenti contano circa 800 adulti, di cui 500 nel Mediterraneo e 300 in Mauritania, appena oltre lo stretto di Gibilterra.
L’immagine ritrae un cucciolo: alla nascita le foche monache sono nere sul dorso, con la pancia chiara. Un neonato pesa in genere 30–35 chili e misura quasi un metro di lunghezza.
Le foche monache partoriscono spesso all’interno delle grotte. Perseguitate fin dai tempi dei romani — e forse anche prima — hanno probabilmente sviluppato questo istinto, ritenendo che le spiagge fossero troppo pericolose. Le grotte in cui scelgono di riprodursi presentano caratteristiche particolari: spesso all’interno si forma un piccolo laghetto, dove i cuccioli imparano a nuotare in un ambiente protetto, al riparo dalle mareggiate. Man mano che crescono, iniziano a uscire dalla grotta, avventurandosi sempre più lontano in mare.
È in una situazione simile che Lecoeur – mentre stava documentando il lavoro dei biologi che studiano le foche in Grecia – ha incontrato un esemplare curioso e coraggioso. Un momento raro, che racconta la fragilità e allo stesso tempo la sorprendente vitalità di questa specie straordinaria.
Wildlife Photographer of the Year: un ospite particolare
Quella di Jitesh Pai (India) è un’immagine particolarmente significativa, che permette di raccontare un capitolo sottovalutato del rapporto fra esseri umani e fauna potenzialmente pericolosa. Si dice spesso che in Australia “tutti gli animali sono velenosi”, ma chi lo afferma probabilmente non conosce l’India. In Australia, infatti, esistono numerose specie pericolose, ma sono distribuite in aree vastissime e poco popolate, dove il rischio di incontro tra persone e animali è limitato. In India, al contrario, la densità di popolazione è altissima e l’essere umano convive con una grande varietà di specie molto velenose o aggressive, spesso sinantrope, cioè abituate a vivere nei pressi dei villaggi, delle città o addirittura dentro le abitazioni.
Il risultato è un livello di rischio notevolmente più elevato. La pericolosità oggettiva riguarda, per esempio, quanto sia velenoso un cobra reale; il rischio concreto, invece, è rappresentato dall’alta probabilità di trovarsene uno in casa. In molte regioni dell’India questa evenienza non è affatto remota, così come non è raro che chi lavora scalzo nelle risaie possa calpestare una vipera di Russell.
In India, i cobra sono considerati animali sacri: non vengono uccisi, ma affidati a specialisti che intervengono per recuperarli. È importante distinguere: il cobra reale non è l’animale che si vede nei numeri di strada, quello che “balla” davanti al flauto dei suonatori. Il cobra reale è un rettile che può superare i sei metri di lunghezza, con un corpo massiccio. Quando si solleva sulla parte anteriore, arriva letteralmente all’altezza degli occhi di una persona adulta. Non è certo un serpente che “si prende per la coda e si porta fuori”: la sua lunghezza gli permetterebbe di avvolgere una persona più volte.
Jithesh Pai (India) ha fotografato un cobra reale dei Ghati Occidentali mentre veniva soccorso da una squadra di salvataggio animali. Il fotografo stava accompagnando il team di recupero e rilascio dell’Agumbe Rainforest Research Station (ARRS) quando si è trovato faccia a faccia con il più grande serpente velenoso del mondo che cercava rifugio in una casa. Ha usato una lampada frontale per illuminare la scena prima che il cobra fosse catturato in sicurezza e rilasciato nella foresta.
La fotografia in questione è molto narrativa. È un’immagine che racconta una quotidianità sorprendente. Per noi, un cobra reale in casa sarebbe impensabile; in India, invece, può essere quasi routine. In molti casi la reazione non è quella di panico che avremmo noi, ma una semplice constatazione: “Un altro cobra reale in casa, chiamiamo per venire a recuperarlo”.
Dopo la cattura, gli animali vengono solitamente portati fuori dal villaggio o dalla città e rilasciati in un’area naturale. Si tratta di un compromesso: i serpenti tendono ad avere territori stabili, quindi lo spostamento può disorientarli; tuttavia, l’alternativa sarebbe la loro uccisione o la cattività forzata. La liberazione resta dunque la soluzione più equilibrata.
Wildlife Photographer of the Year : vi sentite osservati?
Siamo ancora in India e, ancora una volta, ci confrontiamo con la concreta possibilità di ritrovarsi animali tutt’altro che amichevoli dentro o attorno alle abitazioni. In questo caso si tratta di un leopardo che si aggira all’interno di un resort abbandonato, fotografato da Chaitanya Rawat (India).
Ancora una volta non si tratta di un caso isolato: sono molti i felini che trascorrono le ore diurne nascosti in piccoli terreni incolti o edifici abbandonati e, di notte, si spostano nei cortili per predare maiali e cani. Le interazioni con le persone non mancano, ma nella maggior parte dei casi questi felini evitano il contatto diretto e restano invisibili. Paradossalmente, in alcune aree urbane la densità di leopardi è più alta che nelle foreste circostanti, perché la città offre abbondanza di risorse alimentari.
Per avere un’idea dell’entità del fenomeno, vi riportiamo un episodio emblematico raccontato da Marco Colombo durante la visita guidata: dopo la segnalazione di un presunto leopardo in una zona della città di Nairobi, in Kenya, furono posizionate delle gabbie trappola. Nel giro di poco tempo ne vennero catturati otto. Nessuno immaginava che ce ne fossero così tanti, proprio perché gli animali sanno muoversi senza farsi notare. Le città, se manca il conflitto diretto, diventano ambienti ricchi di opportunità.
Tornando alla fotografia in questione, essa è stata scattata in un resort abbandonato ai margini di un villaggio, e forse è una delle immagini più interessanti dell’anno. Il fotografo ha lavorato per ottenere una composizione estremamente raffinata: una trama geometrica, con una suddivisione che ricorda quasi una sezione aurea ampliata. L’effetto è accentuato da un dettaglio curioso: l’unico vetro non ricoperto da una pellicola interna è quello da cui il leopardo ci osserva.
Sul resto del fotogramma, la pellicola semiscollata genera una texture che richiama la trama del mantello del leopardo.
L’insieme è privo di colori saturi o contrasti marcati, e proprio per questo ancora più evocativo.
La scelta del formato verticale è impeccabile. Non è frequente vedere immagini verticali in mostra, perché la maggior parte delle fotografie nasce in orizzontale; tuttavia, in questo caso il verticale enfatizza le linee di forza e valorizza gli scomparti che definiscono la scena. Un’inquadratura orizzontale avrebbe sacrificato proprio quegli elementi che rendono la fotografia così affascinante e armoniosa.
Wildlife Photographer of the Year: un bradipo rimasto al palo
Anche in questo caso siamo nel contesto della natura urbana, ma con una scena che potrebbe ispirare grande tenerezza. I bradipi si muovono pochissimo e quindi capita molto raramente che scendano dagli alberi su cui trascorrono gran parte del tempo. L’aumentare del disboscamento e della deforestazione costringe però questi animali a stravolgere le loro abitudini.
Non essendo, per natura, animali veloci, la mortalità in questi contesti sta aumentando in maniera esponenziale. Nel caso della foto di Emmanuel Tardy, per esempio, il bradipo aveva attraversato una strada rischiando di essere investito.
La prima cosa che ha trovato dopo aver attraversato una carreggiata asfaltata e la strada laterale sterrata è stato un palo di sostegno di una recinzione con filo spinato.
Non trovando alberi, questo palo è stato l’unico posto dove ha potuto trovare un attimo di pausa e di riposo.
La fotografia introduce anche un altro tema, quello della maggiore esposizione al bracconaggio a causa della frammentazione dell’habitat. Se l’habitat è integro, gli animali hanno maggiori possibilità di sopravvivere, nascondendosi dai bracconieri; ma quando si trovano così esposti le possibilità diminuiscono drasticamente.
Wildlife Photographer of the Year: murene a spasso fuori dall’acqua
La fotografia di Shane Gross (Canada) documenta un comportamento sorprendente: alcune specie di murena sono in grado di uscire dall’acqua durante la bassa marea. In ambienti con forte escursione di marea, come le barriere coralline, molti animali si sono adattati a sopravvivere per brevi periodi all’asciutto e a spostarsi tra le pozze rimaste dopo il ritiro dell’acqua, dove è più facile catturare prede intrappolate. In questa immagine compaiono tre murene: due immerse in un sottile velo d’acqua e una terza che sta entrando nella pozza. Al crepuscolo, quando il sole non è più intenso, cercano polpi, granchi e piccoli pesci rimasti bloccati.
Il corpo ricoperto di muco permette loro di mantenere l’umidità, proteggendole dalla disidratazione e facilitando la respirazione fuori dall’acqua.
Anche nel Mediterraneo esistono strategie simili: alcune bavose trascorrono la notte fuori dall’acqua, dove, costantemente bagnate dalle onde, riescono a evitare i predatori e a respirare trattenendo l’umidità nelle branchie.
Al fotografo sono serviti molti tentativi, nell’arco di diverse settimane, per documentare questo comportamento raramente immortalato. All’inizio le murene erano elusive, ma la pazienza è stata ricompensata.
Wildlife Photographer of the Year: incontri e visite guidate danno una marcia in più
Se volete sentire dal vivo queste e altre storie, segnatevi le date delle serate gratuite di approfondimento con fotografi naturalisti e divulgatori scientifici, a disposizione del pubblico per condividere esperienze, storie e segreti del loro lavoro. Le serate si terranno in quattro date di sabato. I protagonisti saranno Francesco Tomasinelli (fotogiornalista laureato in Scienze ambientali marine), che racconterà di “Chele e corazze: i segreti dei crostacei”, Luca Eberle (naturalista e fotografo) con “Dai tropici al Mediterraneo: storie di natura e conservazione”, Marco Colombo, che parlerà de “Il cuore pulsante delle Alpi” e Pietro Formis (fotografo subacqueo di fama internazionale), che insieme a Emilio Mancuso (biologo marino), presenterà il documentario “Marine Animal Forest” sui “servizi ecosistemici per il benessere umano”.
Wildlife Photographer of the Year
- Museo della Permanente, via Filippo Turati, 34 – Milano
- dal 15 novembre 2025 al 25 gennaio 2026
- tutti i giorni 10-19, gio-ven 10-22
- infrasettimanale intero 13 euro, ridotto 11 euro; sab-dom e festivi intero 15 euro, ridotto 13 euro
- www.radicediunopercento.it
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