Cesena (FC)
Dal 15 marzo al 27 aprile 2025
Nicolò Rinaldi, con il suo progetto Tourist Tsunami, smaschera i tic del turismo di massa dei giorni nostri e mostra il dietro le quinte dell’iperproduzione di immagini che servono a confermare l’esperienza del viaggio. Sono immagini paradossali le sue, che cristallizzano, attraverso un flash sempre presente, le mostruosità dell’essere turista oggi, un turista che guarda il mondo con il telefono in mano pronto per il successivo tap e che è disposto a inserirsi in file senza fine per godere di qualsiasi vista considerata instagrammabile. A Cesena, presso la sede dell’associazione SEMBRA, fino al 27 aprile, è esposta la prima mostra di Tourist Tsunami. Abbiamo fatto qualche domanda a Nicolò per conoscere meglio lo stato del turismo contemporaneo e per saperne di più sul suo progetto.
L’overtourism è una realtà a tutti gli effetti. Tourist Tsunami è una tua presa di posizione a riguardo?
Come per tutti i miei progetti, il mio obiettivo non è fornire un giudizio esplicito, ma documentare fenomeni contemporanei con uno sguardo analitico e, talvolta, ironico.
Lascio che siano le immagini a suggerire riflessioni, senza imporre una lettura univoca. Tuttavia, nel caso dell’overtourism, l’impatto visivo e sociale è talmente evidente che alcune immagini, pur restando aperte all’interpretazione, assumono inevitabilmente una valenza critica. Penso, ad esempio, alla costruzione di viewpoint artificiali per rendere accessibili panorami un tempo riservati a pochi: questi interventi trasformano profondamente il paesaggio, rendendolo quasi una scenografia, un palcoscenico per il consumo visivo di massa.
La nascita dell’iperturismo ha coinciso, più o meno, anche con la iperproduzione di immagini che caratterizza la nostra epoca. La tua è anche una riflessione sulla nuova iconografia del cliché?
Assolutamente sì. Il progetto nasce proprio dall’intento di esasperare i cliché visivi legati al turismo di massa, mettendo in scena una sorta di parata di stereotipi. Ogni scatto ritrae situazioni che rappresentano la quintessenza del turismo contemporaneo: il lancio della monetina, i selfie davanti ai monumenti iconici, l’assaggio di specialità locali e scene che oscillano tra il surreale e il grottesco. Come sottolineo nella mia introduzione: “I soggetti ritratti diventano il cast di un teatro del viaggio contemporaneo, dove ogni giorno si ripetono rituali codificati, gesti che si trasformano in veri e propri atti performativi”.
Nel progetto, inoltre, esploro il backstage dell’iperproduzione iconografica, cercando di comprendere la natura di questo bisogno compulsivo di autorappresentazione e il significato che assume nella cosiddetta ‘generazione selfie’.
Il sottotitolo del tuo progetto è Il turismo come performance. In che termini?
Ho scelto questo sottotitolo per la mia prima mostra personale, in quanto il progetto non si limita a una narrazione visiva, ma si addentra nelle dinamiche antropologiche del turismo di massa. Le immagini selezionate evidenziano la dimensione gestuale e rituale del turista contemporaneo, sottolineando come il viaggio si trasformi in un’esperienza performativa. Ma la scelta di questo titolo ha anche una ragione curatoriale: la mostra non è concepita come una semplice esposizione di fotografie, bensì come un’esperienza immersiva che coinvolge attivamente lo spettatore. Alcune installazioni interattive ribaltano il ruolo del visitatore, trasformandolo da osservatore a protagonista dell’esposizione.
Lo spazio espositivo diventa esso stesso una sorta di simulacro del viaggio turistico, con barriere tendinastro che evocano le lunghe attese nei luoghi affollati e una sezione dedicata ai souvenir, che restituisce l’idea di un turismo che si misura anche attraverso la materialità del ricordo. Inoltre, è presente un ambiente sonoro composto da campioni audio raccolti durante le mie sessioni fotografiche.
La scultura Selfie Stick 2025, esposta come una reliquia, interroga sul futuro del turismo, mentre un photospot con la scritta ‘BEST PLACE FOR A SELFIE’ invita a partecipare attivamente. L’uscita della mostra si trasforma in un souvenir shop, con cartoline, poster e magliette acquistabili, e una cassetta postale per spedire i ricordi direttamente dallo spazio espositivo, trasformando l’atto del ricordo in una performance condivisa.
Con che tempistiche e in che modo hai prodotto questo progetto?
Il progetto è iniziato nella primavera-estate del 2021, un periodo particolare, segnato dalla ripresa del turismo dopo la fase più acuta della pandemia. Ero affascinato dai cambiamenti nelle dinamiche del viaggio e ho iniziato a documentare la situazione nelle città italiane più colpite dall’overtourism. In quella fase ho prodotto molte delle immagini che ancora oggi fanno parte della selezione finale: scatti caratterizzati dalla presenza delle mascherine, che rendono immediatamente riconoscibile il contesto storico. Successivamente ho realizzato il volume TOURIST TSUNAMI VOL. I, che raccoglie il materiale prodotto in Italia.
Il progetto, tuttavia, è rimasto in continua evoluzione: ogni mio viaggio, sia personale che professionale, è diventato un’occasione per arricchire il corpus di immagini. Attualmente mi trovo in Giappone per svolgere una residenza artistica a Kyoto, per sviluppare il progetto W.E.I.R.D. con il supporto del bando Strategia Fotografia 2024 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Sono certo che anche qui troverò nuove situazioni con cui integrare il corpus di immagini di Tourist Tsunami.
Ci sono dei luoghi specifici su cui ti sei concentrato per produrre Tourist Tsunami?
Nelle mie immagini cerco sempre di mantenere un forte legame con il contesto, evitando inquadrature troppo astratte. Il luogo gioca un ruolo centrale nella costruzione dell’immagine: voglio che chi osserva le mie fotografie possa intuire immediatamente dove sono state scattate, senza dover leggere una didascalia. I punti più interessanti per la mia ricerca sono spesso i punti panoramici e le piazze antistanti ai monumenti più celebri, dove il comportamento dei turisti segue schemi ricorrenti e quasi coreografati. Tuttavia, con il tempo ho imparato a concentrarmi anche su situazioni meno scontate, come le lunghe file d’attesa per i musei o le aree di sosta, luoghi in cui emergono aspetti inattesi della condizione turistica.
Immagino che le situazioni di cui sei stato testimone siano state delle più esilaranti. Ci racconti qualche aneddoto al riguardo?
Ogni immagine ha una storia a sé. Se nei primi anni le mie fotografie erano totalmente rubate e mai progettate, come quelle scattate in Italia nel 2021, con il tempo ho imparato a interagire con i miei soggetti, ma sempre dopo averli fotografati, per mantenere la spontaneità e non introdurre alcun artificio nella scena. Questo comportamento ha spesso generato piacevoli chiacchierate dopo aver realizzato la fotografia, anche perché, scattando sempre con il flash, il soggetto si accorge immediatamente di essere stato fotografato, e le reazioni possono variare.
Spesso mi è capitato di essere guardato male, più raramente di discutere. Ricordo in particolare quando ho scattato High Jump in Piazza San Marco a Venezia: il padre del bambino in aria ha accettato di buon grado lo scatto, ma un venditore di rose nelle vicinanze ha iniziato a protestare, convinto di essere lui il protagonista della foto. Ho dovuto discutere a lungo per spiegargli che non era stato ritratto.
Nel tuo progetto utilizzi spesso il flash diretto. Cosa apporta all’immagine e al concetto che vuoi esprimere questa tecnica?
L’uso del flash diretto è una scelta stilistica fondamentale, che contribuisce a conferire coerenza visiva all’intero progetto. Ho adottato un setup costante, utilizzando sempre la stessa fotocamera e lo stesso obiettivo, per mantenere un’estetica uniforme. Il flash non si limita a illuminare la scena, ma congela i movimenti, conferendo ai soggetti un’aura quasi plastica, trasformandoli in figure statiche, simili a manichini o automi. Questo contrasto tra la dinamicità della scena e l’immobilità dei soggetti amplifica la dimensione surreale e teatrale del turismo di massa.
Quanto il lavoro di Martin Parr ha influenzato il tuo lavoro?
È impossibile negare l’influenza di Small World di Martin Parr, uno dei motivi per cui ho deciso di intraprendere questa ricerca. Sfogliando quel libro, mi sono chiesto come sarebbe stato affrontare un’indagine simile oggi, in un’epoca in cui il turismo è diventato ancora più globalizzato e mediatizzato. Il mio intento, tuttavia, non è stato quello di replicare il suo lavoro, ma di offrire una mia interpretazione personale, filtrata attraverso la sensibilità del nostro tempo.
Si può sopravvivere in qualche modo a questa epoca dell’iper-qualunque cosa?
Certamente sì, ma non è semplice. Viviamo immersi in un flusso ininterrotto di contenuti visivi, e il rischio di uniformarsi agli schemi precostituiti è costante. Il consiglio che do, a me stesso e agli altri, è di sottrarsi alla logica delle piattaforme social, come instagram e tik-tok, che tendono a proporre visioni stereotipate della realtà. Viaggiare significa scoprire e la vera scoperta avviene spesso lontano dai percorsi più battuti, dove il viaggio si fa autentica esperienza di conoscenza.
Nicolò Rinaldi. Tourist Tsunami/Il turismo come performance
- Associazione SEMBRA, via Roncofreddo, 49 – Cesena (FC)
- dal 15 marzo al 27 aprile 2025
- sab-dom 10-17; lun-ven su appuntamento
- ingresso gratuito
- instagram.com/ass_sembra