Gianmaria De Luca allestisce il processo della camera oscura all’interno dei sottotetti delle chiese di Roma, generando una strabiliante immagine della città eterna che evoca la storia della fotografia.
Gli albori della fotografia tornano a rivivere nei sottotetti delle chiese romane grazie al progetto di Gianmaria De Luca Roma: Camera Oscura. È successo mesi fa sotto la cupola di Santa Maria in Vallicella (o Chiesa Nuova), nella Chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli e accadrà prossimamente nella Chiesa di San Bonaventura al Palatino.
Dal 2020 Gianmaria De Luca cerca luoghi particolari, con vista mozzafiato su Roma, per ritrarla secondo un suo particolare stile, una modalità di ritratto paesaggistico che ci riporta alle origini della fotografia.
Ricreando ad hoc, in grandi spazi, il processo della camera oscura Gianmaria, artigianalmente, produce negativi di sbalorditive dimensioni (nella Chiesa Nuova ha prodotto negativi di 9x5m) di una città eterna scandagliata in ogni suo millimetro. Quello che Gianmaria è riuscito a riprodurre non è altro che il funzionamento dell’occhio umano: la luce, entrando da un foro stenopeico, proietta l’immagine esterna su una carta fotografica ai sali d’argento. In alcuni casi l’autore ha utilizzato anche sette fogli di carta in rotolo affiancati e montati su un telaio in legno, arrivando per l’appunto a generare immagini di quasi 50 metri quadrati.
L’immagine di Roma, nella sua vastità, si imprime sulla carta sensibile come il negativo all’interno della nostra macchina fotografica. All’esposizione, che dura diversi minuti, segue lo sviluppo dei fogli e, come nel caso della chiesa di Santa Maria in Vallicella, la ricostituzione del mosaico nel luogo in cui è stata realizzata la ripresa. L’azione di Gianmaria e della squadra che lo assiste è monumentale e richiede una preparazione tecnica e fisica non indifferente, uno studio dei materiali e anche delle condizioni climatiche precisi e puntuali: la sua è una vera performance. Quello che appare curioso e interessante, infatti, non è solo il risultato finale, la veduta di Roma, ma il processo che ha prodotto tale visione, che riconduce alla storia, alle origini della fotografia. Forse anche per questo, oltre che per le particolari location ecclesiastiche, i suoi negativi sembrano trasudare sacralità, quella di un linguaggio che tra pochi anni compirà due secoli.
Per ogni tappa del suo progetto fotografico De Luca deve, prima di tutto, individuare il luogo adatto. Una volta selezionata la location ideale l’autore e i suoi collaboratori procedono oscurando completamente l’ambiente di lavoro e creano un foro stenopeico attraverso il quale la luce naturale potrà entrare durante la fase di esposizione. Il passo successivo consiste nell’allestimento di una parete di proiezione, un telaio sul quale il team effettua delle prove di esposizione che richiedono, talvolta, anche una settimana di esperimenti.
Anche la selezione del momento in cui effettuare l’esposizione, infatti, è tutt’altro che casuale, e avviene sulla base di un accurato studio delle traiettorie solari. A prove concluse si applicano sul telaio dei fogli di carta ai sali d’argento per rendere la superficie sensibile alla luce, e si avvia l’esposizione, che consiste in una vera e propria performance in cui cinque persone, coordinate da De Luca, effettuano delle mascherature sull’intera superficie per bilanciare al meglio luci e ombre.
Quando il foro stenopeico viene richiuso i fogli su cui è stata registrata l’immagine latente vengono arrotolati e trasportati in camera oscura, dove avviene il processo di sviluppo, lavaggio e asciugatura.
Per aggiornarsi sui nuovi allestimenti di camera oscura a Roma di Gianmaria De Luca: gianmariadeluca.com e instagram.com/gianmaria.deluca