Roma
Dal 12 marzo al 17 maggio 2025
Tutti conoscono l’introspezione e la ieraticità dei ritratti di Richard Avedon prodotti in studio, con il suo fedele fondale bianco alle spalle del soggetto. Sono immagini che mettono a nudo la vulnerabilità di chi stava davanti al suo obiettivo, che evidenziano l’intenso rapporto tra fotografo e fotografato e fanno pensare che Avedon quasi scandagliasse la psiche del suo soggetto.
Ma quali sono gli inizi del grande fotografo di moda? Italian Days, la mostra alla galleria Gagosian di Roma fino al 17 maggio 2025, ce lo racconta. Gli albori della sua poetica e del suo pensiero fotografico sono da rintracciare proprio in Italia, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dove Avedon ha immortalato la ricostruzione del nostro Paese e soprattutto le persone che vivevano la loro ritrovata libertà per le strade delle nostre città. Ci parla della mostra la direttrice della sede romana della galleria Gagosian, Pepi Marchetti Franchi.
Qual è stata la cronologia dei viaggi di Avedon in Italia?
Le immagini in mostra sono tutte risalenti a viaggi che fece nel ’46, ’47, ’48. Solitamente veniva in Italia dopo essere stato a Parigi per lavoro, come fotografo di moda, proseguendo il suo viaggio per motivi personali. Avedon arrivò a Roma con la prima moglie, Doe, nel 1946, in un periodo in cui l’Italia rimaneva in gran parte inaccessibile ai visitatori. Vi ritornò poi nel corso degli anni, completando diverse serie di fotografie a Roma, in Sicilia e a Venezia che furono fondamentali per il suo sviluppo artistico. Ad aprire la mostra un’immagine fatta dalla moglie che lo ritrae in stazione a Milano.
Cosa cercava di cogliere dell’Italia di quel periodo?
I primi viaggi di Avedon in Italia negli anni Quaranta, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, segnarono la sua prima esplorazione sostanziale della ritrattistica e diedero vita ad alcune delle sue immagini più formative. Era attratto dalla bellezza, dalla resistenza, dalla ricchezza della storia e dalla vibrante vita sociale dell’Italia. Per le strade italiane trovò e fotografò una profonda povertà, ma altrettanto profonda era la voglia di rinascere degli italiani, di divertirsi, di essere liberi. In questo senso colse l’allegria delle bambine per strada, gli artisti, i ragazzi che si tuffavano in mare, i sorrisi delle persone, anche se magari erano vestite di stracci. Gli interessava lo spirito di resistenza italiano.
Come dialogano i suoi ritratti alle persone con il paesaggio urbano retrostante che mostrava la distruzione e le conseguenze della guerra?
Il contorno, rispetto al volto del soggetto, era importante e gli interessava, ma il focus era la persona, la sua figura. In questo ritrovo un collegamento anche con lavori posteriori come In the American West. In quel caso però lo sfondo era un fondale bianco che evidenziava la presenza fisica del fotografato.
Qual è la congiunzione tra quel tipo di produzione e le immagini dei suoi esordi prodotte in Italia?
Nel suo modo di fotografare c’era una continua tensione verso il suo soggetto e viceversa. Le sue immagini si caricano tutte, indistintamente, di una certa malinconia e vulnerabilità.
Inoltre, tutti i suoi lavori, tutte le sue immagini, leggono emotivamente colui che si trovava davanti al suo obiettivo e lui stesso era attratto dalla storia emotiva di chi gli stava davanti, dal suo modo di manifestare la propria interiorità.
Si racconta, ad esempio, che per fare il ritratto ai Duchi di Windsor, a New York, nel 1957, esposto in galleria, usò una tecnica psicologica per farne rivelare i sentimenti. Inizialmente, infatti, i Duchi rimanevano algidi, secondo il protocollo, e così Avedon, sapendo del loro attaccamento ai cani, raccontò che nella strada per raggiungerli, il taxi su cui viaggiava, aveva investito accidentalmente un cane. La loro reazione fu di grande dispiacere e così li fotografò, nella loro spontaneità emozionale. Tale ricerca dell’emotività era indirizzata su ogni suo soggetto, che fosse il bambino per strada in Italia o Marilyn Monroe.
La mostra è pensata per far riflettere sul modo con cui Richard Avedon ha costruito la sua estetica, la sua idea di fotografia. Le immagini degli esordi, fatte in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, dialogano con quelle più conosciute degli anni Sessanta e Ottanta. Cosa collega queste due produzioni?
All’interno della mostra, ogni fotografia italiana è strategicamente accostata a lavori successivi della carriera di Avedon per evidenziarne connessioni formali, tecniche, emotive e tematiche. Quelli esposti sono alcuni dei primi lavori non commissionati di Avedon, la cui influenza può essere rintracciata in tutti i suoi sei decenni di produzione. Lo sguardo del fotografo ha ‘rubato’ le composizioni della serie Italy in giro per Roma e per la Sicilia.
Quel movimento catturato dall’artista nei ritratti di persone colte in una particolare posizione lo si ritrova nei posati degli anni successivi. Le immagini più patinate del fotografo maturo hanno infatti un legame con i soggetti italiani, come l’artista di strada in piazza Navona, oppure con un esterno a Noto [Siracusa, n.d.r.]. Le immagini dialogano in maniera serrata, trovando enfasi nell’allestimento realizzato ad hoc per gli spazi della galleria e ideato da Cécile Degos, che aveva firmato anche quello della mostra Iconic Avedon: A Centennial Celebration of Richard Avedon, presentata presso Gagosian Parigi nel 2024.
Una fotografia di un gruppo di bambine a piazza Navona nel 1946 coglie una spontaneità e un movimento simili a quelli di un ritratto scattato a Bette Midler nel 1971. Ci racconta questo specifico dialogo?
In un’Italia che viveva la liberazione, girando per le strade, Avedon incontra per caso persone comuni, come queste bambine. Sono incontri fortuiti che insegnano strategie compositive e un rapporto inedito tra fotografo e soggetto. Lo spirito giovanile delle scolare che corrono a Piazza Navona riecheggia, effettivamente, nel dinamismo della posa di Bette Midler. Il ritratto del 1971 della Midler, incluso nel percorso espositivo, è stato scattato al’’inizio della carriera dell’attrice, quando si stava facendo un nome come soubrette e attrice di teatro. La Midler è immortalata in un momento di espressione molto animata, un guizzo di spontaneità che l’attraversa, simile a quella delle studentesse del 1946.
Un altro accostamento che la mostra mette in evidenza è quello tra il profilo di una signora che Avedon fotografò a San Pietro e il ritratto di Jackie Kennedy…
La signora colta da Avedon a San Pietro ha un aspetto non molto glamour, ma formalmente dialoga perfettamente con il ritratto della sofisticata futura First Lady, fotografata, in studio, a New York nel 1958. Il dialogo tra queste due immagini è un dialogo formale, di posizione del soggetto, ma ci dice molto anche dell’uomo che fotografò entrambe le donne, della sua tensione a voler far emergere l’interiorità del suo soggetto.
Perché queste fotografie sono rese note solo ora?
Questa mostra a Roma è la prima a esporre la serie Italy nella sua interezza, ma le singole stampe della serie sono state ampiamente esposte prima d’ora presso importanti istituzioni come il Metropolitan Museum of Art, il Whitney, la Corcoran Gallery of Art, l’UAM di Berkeley e il Minneapolis Institute of Art. Queste diciotto foto realizzate in Italia tra il 1946 e il 1948, stampate, pubblicate su Harper’s Bazaar nell’agosto del 1948, erano molto importanti per lui e rappresentano un’occasione per raccontare i semi italiani germogliati poi in un percorso artistico straordinario. Avedon, sia in vita sia dopo la sua morte, è stato protagonista di tantissime mostre che hanno analizzato i molteplici aspetti della sua opera, finalmente abbiamo però l’occasione di svelare in maniera inedita i suoi legami con l’Italia.
Richard Avedon. Italian Days
- Gagosian, via Francesco Crispi, 16 – Roma
- dal 12 marzo al 17 maggio 2025
- mar-ven 10-18.30
- ingresso gratuito
- gagosian.com
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