Il mondo è bello perché è vario, e Martin Parr non si lascia scappare occasione per documentare le numerose prove che ne danno uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale. Ma egli stesso non sfigurerebbe tra gli oggetti di studio per una ricerca sulle stranezze umane.
Martin Parr è uno dei fotografi viventi di cui è più difficile dire qualcosa. Non solo perché i suoi scatti si spiegano da soli, ma anche perché tutto ciò che fotografa è estremamente contemporaneo, si tratti degli abiti delle persone, del cibo che mangiano, dei luoghi che frequentano, dei loro gesti, degli oggetti di cui si circondano. Qualsiasi cosa egli inquadri non è solamente attuale, cioè non è semplicemente qualcosa che sta accadendo in un preciso istante: ogni dettaglio su cui si sofferma il suo obiettivo e ogni volto che incornicia, infatti, sono sintomatici della cultura popolare e dello stile di vita dell’uomo medio che imperano nel periodo storico in cui scatta le sue foto. Perciò chiunque osservi le opere di Parr, o perlomeno chi le guarderà in quest’epoca avendo memoria delle abitudini e dei gusti delle masse occidentali negli ultimi due o tre decenni, non avrà bisogno di leggere didascalie o spiegazioni. Questo perché in esse non può non riconoscere anche sé stesso o perlomeno la società in cui vive. Infatti prese nel loro insieme le immagini del fotografo inglese non sembrano avere lo scopo di documentare il tempo presente a beneficio delle generazioni future, ma appaiono piuttosto come specchi in cui è riflesso il qui e ora e, in quanto tali, si rivolgono principalmente a coloro che possono guardarle in presa diretta, nel momento stesso della loro produzione, senza dilazioni nel tempo.
Britishness
Inglese purosangue, classe 1952, Martin Parr non poteva esimersi dal dire la sua sulla Brexit, il capitolo più divisivo della storia contemporanea del Regno Unito. Una pagina in costante revisione sulla quale sembra impossibile fare luce e che getta molte ombre sul futuro del Paese. Quindi un oggetto di studio perfetto per chi come lui si immerge fino al collo nel proprio tempo. E allora, proprio nell’anno in cui festeggia le nozze d’argento del suo sodalizio con l’Agenzia Magnum Photos, il fotografo espone alla National Portrait Gallery di Londra una serie di scatti inediti che ritraggono i suoi connazionali alle prese con il sogno o la paura, a seconda dei casi, di non essere più cittadini dell’Unione Europea. Come sempre il suo occhio si è soffermato sui dettagli che maggiormente tradiscono la ‘britishness’ dei suoi soggetti e d’altra parte dato il tema non poteva essere altrimenti.
Ancora una volta non è facile capire quando il folclore diventa pacchianeria e l’eccentricità sfuma nel cattivo gusto, così le persone comuni più che farsi consapevolmente portavoce di un’intera cultura si prestano a ricordare, a loro insaputa, quanto sia labile il confine tra gli atteggiamenti più appariscenti dei singoli individui e i tratti caratteristici di un intero popolo in una determinata epoca. Ciò che fa Parr potrebbe essere definito satira sociale, però tale classificazione non sarebbe del tutto corretta, dato che dai suoi scatti non emerge mai un giudizio morale della società. Perché, nonostante il suo stile e il territorio in cui si muove abbiano poco in comune con quelli tipici dei suoi colleghi della Magnum, il suo modo di approcciare e trattare i soggetti che lo interessano resta comunque quello del fotogiornalista. Infatti lascia che i volti, gli abiti, il cibo, i luoghi e gli eventi che cattura parlino per sé stessi, senza cercare di influenzare le reazioni dell’osservatore. Quindi il campo in cui opera è la cronaca, sebbene non manchino tentativi da parte di critici e galleristi di cooptarlo nel mondo dell’arte contemporanea (e incursioni volontarie dello stesso autore), come già fatto con Bernd e Hilla Becher, Thomas Ruff, William Eggleston, Sarah Moon, Gabriele Basilico e tanti altri fotografi.
Nel suo mondo
La mostra di Londra, accompagnata da un libro che è la prima importante pubblicazione retrospettiva su Parr da quasi 20 anni a questa parte, comprende anche opere tratte dai suoi progetti più rappresentativi (come per esempio i lavori sulle località balneari o sui luoghi di svago più frequentati dai suoi connazionali), ritratti di celebrità mai esposti prima e autoritratti realizzati in giro per il mondo approfittando delle cabine per fototessere o della collaborazione dei fotografi di strada. Ma non basterebbero tutti i musei del Regno Unito per esplorare fino in fondo il mondo di Martin Parr. Non solo perché è un autore tanto prolifico che, giusto per rendere l’idea, già nell’ormai lontano 2003 aveva scattato circa 10mila foto di persone intente a parlare al cellulare. E nemmeno perché qualsiasi cosa si trovi davanti al suo obiettivo diventi il pretesto per una nuova serie di immagini, come per esempio l’ultimo posteggio disponibile in diversi parcheggi pubblici o la nuca delle persone.
Per avventurarsi davvero nel suo mondo non è sufficiente guardarne le foto e sfogliarne gli oltre cento libri pubblicati finora. Ci si deve anche lasciare coinvolgere nella sua abitudine quasi patologica di collezionare gli oggetti più svariati e improbabili, dai rotoli di carta da parati raffigurante qualsiasi cosa, da E.T. ai Beatles, agli orologi con l’effige di Saddam Hussein, i gadget che celebrano o si fanno beffa di Osama Bin Laden, i vassoi commemorativi in metallo, le teiere e, ovviamente, i libri fotografici. Di questi ultimi ne ha accumulati circa dodicimila in venticinque anni, tanto che nel 2017 è stato costretto a donarli alla Tate Gallery allo scopo di poterli conservare e mettere a disposizione dei ricercatori. Non prima però di avere condensato tutto il suo amore per essi nel trittico The Photobook. A History, una illustratissima storia dei libri fotografici edita da Phaidon e redatta a quattro mani con il critico e curatore Gerry Badger. Quindi, tenendo in considerazione tutto questo, Martin Parr ne esce come un insaziabile accumulatore di immagini e oggetti la cui voracità sembra essere tanta e tale da sconfinare quasi nel maniacale. E forse, a conti fatti, è lui la persona più strana tra tutte quelle che ha incontrato nella sua carriera.
Le fotografie contenute in questo articolo fanno parte della mostra Only Human: Martin Parr