Roma
Dal 25 maggio al 25 agosto 2024
Mario Testino ha sempre fatto della ritrattistica la sua firma, sia usandola in funzione di una narrazione per la moda, sia nel cogliere i personaggi dello spettacolo e non solo. Negli ultimi anni il celebre fotografo ha messo la sua esperienza al servizio di un’altra modalità di racconto, dedicandosi al tema del viaggio e al ritratto delle culture incontrate durante il percorso. La sua attenzione, sebbene sia cambiato il contesto in cui lavora, continua ad essere rivolta verso i vestiti, simbolo di tradizione e folclore. Mario Testino. A beautiful world, la mostra in arrivo a Palazzo Bonaparte di Roma dal 25 maggio al 25 agosto 2024, mette in scena proprio gli scatti con cui Testino racconta il mondo e i suoi costumi, espressioni della storia e dell’identità delle popolazioni.
Abbiamo fatto due chiacchere con l’autore per farci raccontare il suo cambio di direzione.
Dopo un’importante carriera come fotografo di moda, negli ultimi anni la sua fotografia si è focalizzata sulla documentazione delle culture e delle tradizioni che ha incontrato in giro per il mondo. Come e perché si è verificato questo cambio di prospettiva?
Mentre lavoravo come fotografo di moda, mi sono interessato molto agli abiti tradizionali, come ispirazione, ma anche come modo per comprendere meglio la mia storia e la storia delle persone e dei Paesi che visitavo e ritraevo. Nel 2007 ho iniziato a fotografare abiti tradizionali per l’Alta Moda, e così ha avuto origine la mia serie sulla gente di Cuzco, nel mio nativo Perù. Ho esposto quelle immagini in un museo a Lima, riscontrando un enorme successo ed interesse. Quando mi sono reso conto dell’effetto che le mie fotografie stavano producendo sulla mia comunità, delle idee e conversazioni che stavano stimolando, ho subito pensato di avviare qualcosa di simile prendendo come contesto di riferimento l’intero mondo.
Come fotografo di moda la mia presenza è sempre stata un elemento costante nel processo di progettazione e creazione dell’immagine ed ero io a scegliere la reazione che volevo che suscitassero le mie immagini. In A Beautiful World, invece, sono semplicemente un testimone, qualcuno che contempla e cerca di far apparire al meglio i soggetti, mostrando chi sono senza interferire troppo.
Secondo lei, cosa simboleggia l’abbigliamento di una persona?
A Beautiful World è una testimonianza di come l’abbigliamento sia simbolo di appartenenza a una particolare comunità. Molti degli abiti ritratti, infatti, rimandano a luoghi geografici: l’appartenenza più diretta è, per l’appunto, quella al luogo dove si nasce e si cresce secondo costumi e tradizioni specifiche. Inoltre, il modo di vestirsi delle persone riguarda anche il proprio credo religioso, ad esempio, e le proprie convinzioni, come parte di riti e cerimonie; in alternativa può servire per combattere, per esibirsi, per praticare uno sport, o per identificare una determinata mansione lavorativa.
C’è anche chi applica al proprio abbigliamento il concetto di “trasgressione”, facendo dei vestiti uno strumento per opporsi alle tradizioni. Gli abiti scelti da una persona, in questo caso, esprimono il suo dissenso, la sua diversità, non solo estetica, ma a carattere più generale; la selezione dei capi può essere vincolata ai gusti musicali, o all’orientamento sessuale. Questo è ciò che alla fine mi interessava dell’abbigliamento e cioè la sua utilità nell’espressione di sé stessi e nella definizione del senso di appartenenza di ogni individuo.
Per A Beautiful World ha lavorato con il grande formato. Che apporto dà quest’ultimo alle sue immagini?
Sicuramente un formato più grande ti aiuta a ottenere una qualità migliore, tuttavia, con lo sviluppo delle tecnologie più recenti c’è una tendenza all’esasperazione della ricerca della qualità.
Lavoro con una fotocamera da 35mm, come facevo per la moda, e ho sempre desiderato che ogni immagine avesse una certa leggerezza. Anche se uso il grande formato penso che qualcosa vada perso rivelando il minimo dettaglio e ho sempre lottato per trasmettere quel qualcosa in più.
Il concetto di “bellezza”, rappresentato nelle immagini di A Beautiful World, è cambiato rispetto a quello maturato durante la sua carriera come fotografo di moda?
La rappresentazione della bellezza in A Beautiful World è meno cristallizzata su una specifica idea, è relativa ad una visione più aperta. Direi che con questo progetto ho potuto scoprire la bellezza in luoghi che non avevo mai guardato prima. Nella moda, invece, portavo un’idea di bellezza che avevo fatto mia con l’esperienza e la adattavo a un mondo consolidato con i suoi bisogni, i suoi codici e il suo linguaggio. Era tutto più limitato, circoscritto e predefinito, attraverso questo lavoro ho visto espandersi quello che reputavo il mio concetto di bellezza.
Le immagini di A Beautiful World si compongono di ritratti fatti in uno “studio viaggiante”. Come allestisce i suoi set e come dialoga con i suoi soggetti?
Il set “viaggiante” di A beautiful world innesca un processo molto semplice, poiché si limita a disconnettere i soggetti dall’ambiente circostante, in modo che ci si possa concentrare solo su di loro e sul loro vestito. Quando ero un giovane fotografo sono stato ispirato da un film su Irving Penn che mostrava come egli fosse riuscito a riprendere alcune comunità sparse per il mondo, portando sempre con sé la propria tenda fotografica pieghevole. Mi ha fatto pensare che potevo fare una cosa simile, portando con me il mio fondale per installarlo ovunque. C’è anche da dire che appartengo alla generazione di fotografi che negli anni Ottanta si resero conto che, per fare il lavoro che volevano fare nella moda, avevano bisogno di viaggiare, di spostarsi, a differenza dei fotografi delle generazioni precedenti, che avevano i propri studi nelle città in cui vivevano. Non ho mai avuto uno studio fisso, ne ho sempre affittati dove mi trovavo. Da qui la mia idea: lo studio viene con me, ovunque io sia.
I miei soggetti sono sempre persone che mi ispirano e di cui cerco di documentare la cultura. Mi rivolgo a loro con ammirazione e curiosità, lavorando per farli apparire al meglio. Non sono modelli, ovviamente, quindi ci sono alcune sottigliezze nella posa che sono difficili da comunicare, al punto che, a volte, io stesso la imito per mostrargliela o, con il loro permesso, li accompagno nella posizione migliore. In molti casi non parliamo la stessa lingua ed è per questo che è piuttosto interessante notare come partendo da una iniziale difficoltà di comprensione, lavorando insieme, raggiungiamo una sorta di dialogo non verbale che ci permette di ottenere delle riprese fantastiche.
Mario Testino. A Beautiful World
- Palazzo Bonaparte, piazza Venezia, 5 – Roma
- dal 25 maggio al 25 agosto 2024
- lun-dom 10-20
- 15 euro
- www.mostrepalazzobonaparte.it
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