Molto spesso la conoscenza approfondita di un gruppo musicale parte dall’ascolto di una raccolta dei suoi più grandi successi. Lo stesso si può fare per avvicinarsi all’opera dei maestri della fotografia: sfogliare un libro che offra un riassunto ragionato dei loro lavori più rappresentativi.
Londra
Dall’11 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024
È il sogno di molti avere una biblioteca lussureggiante, con scaffali ricchi di prime edizioni, titoli in tiratura limitata, copie autografate. È un’aspirazione nobile ma costosa da perseguire, per cui a quasi tutti capita di dovere ridimensionare il proprio sogno. Un buon palliativo per incassare il colpo senza troppo dolore è acquistare le pubblicazioni che offrono una visione panoramica delle carriere dei vari autori; pubblicazioni certamente non complete ma abbastanza esaustive nello scandagliarne tutti i lavori e nel presentarli con un numero di immagini che li riassumano adeguatamente. Per quel che riguarda il giapponese Hiroshi Sugimoto, nato a Tokyo nel 1948, la strategia del compromesso può funzionare molto bene grazie al catalogo della sua retrospettiva in apertura in questi giorni alla Hayward Gallery del complesso museale del Southbank Centre di Londra.
Il catalogo della mostra Hiroshi Sugimoto. Time Machine
Il catalogo si intitola, come la mostra stessa, Time Machine e copre un arco temporale di mezzo secolo, l’intera carriera di uno dei fotografi del Sol Levante che più si sono fatti conoscere nel resto del mondo. Tutte le immagini che raccoglie sono in bianco e nero tranne quelle di Opticks, una serie recente con cui Sugimoto ha catturato la luce solare rifratta da un prisma e proiettata contro una parete bianca. L’ispirazione sono stati gli studi scientifici e le riflessioni personali di Isaac Newton, scienziato inglese vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento, mentre il risultato sono opere che ricordano i dipinti di Mark Rothko, uno dei più grandi pittori astratti del Novecento. Ma l’idea che sottende tutto il libro, edito da Hatje Cantz, è una lettura di tutti i lavori di Sugimoto – a partire da Diorama, iniziato a metà anni Settanta, fino a oggi – che poggia sul concetto di tempo e su come lui lo abbia di volta in volta interpretato e rappresentato.
Illustri punti di vista sulla fotografia di Sugimoto
Chiaramente un libro fotografico si qualifica per le sue immagini, ma a fare la differenza sono anche i testi che contiene. Da una parte ci sono introduzioni che nulla aggiungono a quanto già catturato dall’occhio del fotografo e dall’altra ci sono veri e propri saggi brevi che danno corpo a un piccolo apparato critico più fruibile e sostanzioso di alcune praterie di parole tanto vaste quanto piatte. È il caso di Time Machine, in cui ogni sezione è preceduta dal contributo scritto di un illustre estimatore di Sugimoto.
Tra gli altri, si sono espressi il curatore della mostra, Ralph Rugoff, lo scrittore James Attlee, la storica dell’arte Lara Strongman, l’artista Edmund de Waal e David Chipperfield, ‘archistar’ che non necessita presentazioni. Ognuno lo ha fatto con la propria voce e concentrandosi su una sola serie di scatti. A essere ricorrente è l’idea che l’obiettivo di Sugimoto (solitamente montato su un banco ottico in legno) sia uno strumento in grado di tradurre il tempo in immagini o quantomeno di illustrare varie divagazioni filosofiche che su di esso si possono intrattenere.
Il sogno di Hiroshi Sugimoto da cui nasce Theatres And Drive-Ins
Attlee, per esempio, introducendo la serie intitolata Theatres And Drive-Ins, afferma che “il tempo è la dimensione che Sugimoto manipola più abilmente, sia nella concezione sia nell’esecuzione della maggior parte dei suoi lavori”. Fa riferimento a immagini di schermi cinematografici resi abbaglianti nel buio delle sale in quanto il fotografo ha tenuto aperto l’otturatore per l’intera durata dei film, catturando in singoli scatti non momenti precisi bensì il flusso senza soluzione di continuità del tempo.
Lo scrittore cita le rivelazioni dello stesso Sugimoto, che è stato ispirato a produrre la serie da un sogno avuto nel 1978. Ha realizzato la prima opera del ciclo, senza alcun permesso, all’interno del cinema St Mark’s di New York. Racconta di quando è tornato a casa e ha sviluppato e stampato la foto in camera oscura, scoprendo che “la mia visione era stata esteriorizzata sulla pellicola esattamente come l’avevo avuta. L’immagine era qualcosa che non esisteva nel mondo reale ma non era neppure qualcosa che io avevo visto. Quindi chi l’aveva vista? Ecco la mia risposta: era ciò che era stato visto dalla macchina fotografica”.
Architecture: riflessioni sul fascino delle rovine
Chipperfield, invece, commenta la sezione Architecture, che raccoglie le celebri vedute di strutture architettoniche fuori fuoco e isolate dal contesto urbano. Lo fa in conversazione con Rugoff, al quale spiega che “in architettura ciò che osservi sono sempre le cose fondamentali. Si tratta più dello scheletro che della pelle, ciò che cerchi sono l’arcaico e il permanente… la tendenza degli architetti è aspirare a disegnare strutture che dureranno in eterno. E credo che Hiroshi, attraverso il suo lavoro, voglia dare forma a una parte di quella sensibilità verso ciò che non ha tempo. È alla ricerca di quello che è innato, quasi animistico”.
Qualche riga dopo traccia un parallelismo illuminante evocando il concetto di rovina e la fascinazione che spesso suscitano gli edifici fatiscenti. Dice che “si può fare una considerazione suggestiva su quali edifici si prestino a diventare belle rovine. Immaginare rovine è un autentico modo di testare cosa sia la buona architettura. Si pensi che John Soane commissionò a Joseph Michael Gandy, il suo artista preferito, di disegnare la Bank of England come una rovina ancora prima che questa fosse costruita. Ecco l’idea di permanenza e assenza di tempo. E se non si mette a fuoco allora si sfoca il contesto e si esegue un’opera di astrazione: quindi il concetto di erosione di Hiroshi è paragonabile al test della rovina. Nella maggioranza dei suoi lavori Hiroshi Sugimoto evita i dettagli contestualizzanti. È inimmaginabile che mostri, per esempio, un’auto in una strada. Per lui la questione è come prendere qualcosa, rimuoverne il contesto e rivelarne le qualità essenziali e astratte”.
Le interpretazioni del tempo di Hiroshi Sugimoto
Il Chrysler Building, la torre Eiffel, il ponte di Brooklyn, il World Trade Center sono dunque stati estrapolati dalla dimensione temporale per eludere qualsiasi domanda sulla loro età e sul loro stato di conservazione. Ci sono poi il tempo immobile di Dioramas, il tempo senza territorio di Seascapes, il tempo deumanizzato di Portraits e tutte le altre interpretazioni del tempo operate da Sugimoto nel corso di mezzo secolo. Forse è anche perché da giovane ha studiato filosofia che si è misurato con un pensiero su cui l’umanità specula da migliaia di anni. Lo ha maneggiato proprio come la luce filtrata dal prisma di Opticks, scomponendolo e indagandone le varie manifestazioni o, per meglio dire, i diversi modi in cui viene percepito dalle sensibilità singole e collettive.
Time Machine
Time Machine
- Hayward Gallery, Southbank Centre, Belvedere Road – Londra
- dall’11 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024
- mercoledì-domenica 10-18; sabato 10-20
- intero 16 sterline
- southbankcentre.co.uk