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Home CULTURA INTERVISTE

Kurt Moser, Lightcatcher

Loredana De Pace di Loredana De Pace
1 Febbraio 2018
in INTERVISTE
Un dettaglio del ritratto eseguito a Josef Lanzinger dal Lightcatcher Kurt Moser.
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L’ambrotipia è la tecnica con cui il fotografo e cameraman altoatesino Kurt Moser crea i suoi pezzi unici. Per farlo si serve di antiche fotocamere a soffietto, ma non solo…

Nel 1850 Frederick Scott Archer sviluppa l’ambrotipia, e conia questo nome dal termine greco ambrotos, che significa immortale. Si tratta di una tecnica estremamente complessa e dispendiosa, richiede meticolosità nelle procedure di preparazione e velocità nelle fasi di sviluppo. Ce ne parla Barbara Holzknecht, manager del visionario progetto Lightcatcher, nel quale il suo socio, il fotografo Kurt Moser va “a caccia” con l’ambrotipia di una storia antica, per restituire un senso di eternità alla fotografia che individua nei profili taglienti delle Dolomiti (ossia nei luoghi in cui è nato), e sui volti segnati dal tempo dei suoi anziani abitanti.


Qual è il senso di Lightcatcher e come si svolge?

L’idea è nata dopo che Kurt ha comprato e restaurato la nostra Baby, vale a dire una fotocamera a soffietto del 1907. La chiamiamo così perché è la macchina fotografica più piccola, per così dire, che usiamo per realizzare le ambrotipie.

Con Lightcatcher, Kurt vuole restituire valore all’immagine, alla fotografia stessa. L’obiettivo è di strappare le storie alla loro fugacità, di catturare il momento e di trasformare le immagini in opere d’arte, facendole apparire reali e immortali. Kurt non lavora in digitale, ma con un processo antico completamente analogico; per questo motivo il suo approccio alla fotografia è diverso, già solo per il tempo che serve per la pianificazione, la preparazione e la realizzazione di una sola immagine. Al momento lavoriamo alla produzione dei quadri per il Museum für Fotografie di Berlino, dove è prevista una mostra nel 2020.

Kurt, dopo essere stato in giro per il mondo negli ultimi trent’anni lavorando come direttore della fotografia, ha deciso di tornare nei luoghi in cui ha vissuto la sua infanzia per immortalare le Dolomiti e l’ultima generazione di abitanti che vive in sintonia con queste meravigliose montagne. Per entrambi i temi abbiamo il patrocinio dalla Fondazione UNESCO Dolomiti che ci sosterrà anche in futuro.

Per quanto concerne i paesaggi, prima di tutto cerchiamo i posti ideali che ci permettano di lavorare con le nostre ottiche antiche fisse e con la camera oscura mobile, visto che dobbiamo sviluppare le immagini in loco, massimo entro 10 minuti dall’esecuzione dello scatto. Quando le condizioni meteo promettono bene, avendo preparato alcuni giorni prima il collodio ideale per il soggetto scelto e tutte le altre componenti necessarie per realizzare la foto, di norma partiamo prima del sorgere del sole e torniamo la sera, mentre Kurt il giorno dopo in atelier si occupa del processo di sigillatura dell’immagine. Per i ritratti invece vado alla ricerca dei personaggi nelle diverse valli, incontrandoli prima, spiegando loro il nostro progetto, per poi portarli a Caldaro, nel nostro studio, dove li fotografiamo con la Baby.


Cosa è e come si esegue l’ambrotipia?

L’ambrotipia è un procedimento fotografico sviluppato nel 1850, secondo solo alla dagherrotipia. Basata sulla sensibilità alla luce dei cristalli d’argento, questa tecnica sembra quasi una procedura alchemica. È incredibilmente costosa, è capricciosa e richiede grande maestria e perseveranza. Seguendo formule antiche, Kurt prepara nel laboratorio della camera oscura substrati, bagni, sviluppatori, fissatori e sigillature. Per fissare i cristalli d’argento sulle piastre di vetro nero serve poi una sostanza che funge da legante, nel nostro caso il collodio. Si tratta di una soluzione collosa composta da polvere di cotone, etere, etanolo e diversi sali della famiglia degli ioduri e bromuri. Il collodio va ottimizzato in base al genere di soggetto: per un paesaggio, un ritratto oppure una natura morta il suo comportamento varia a seconda della temperatura, della pressione e dell’umidità atmosferiche. Ha un suo periodo di maturazione e scade dopo alcuni mesi.

Il collodio viene versato uniformemente sulle piastre di vetro, precedentemente molate e lucidate. Le piastre vengono poi immerse con cautela in un bagno d’argento. In questo modo i cristalli reagiscono con i sali del collodio e diventano fotosensibili. Trascorsi alcuni minuti, le piastre vengono riposte in un magazzino a tenuta di luce e quest’ultimo viene applicato alla fotocamera. A questo punto restano fra i cinque e i dieci minuti per fotografare e sviluppare. Se la lastra si asciuga diventa inutilizzabile.

Usiamo lastre di varie misure che vanno da 50x60cm a 150x100cm; ogni lastra ha una sensibilità di circa 1 ISO (sì, uno), reagisce quasi esclusivamente alla componente ultravioletta della luce, ossia su una parte dello spettro luminoso non visibile all’occhio umano. Per un risultato perfetto è necessario aver fatto tesoro della propria esperienza. I tempi di esposizione sono di diversi secondi che variano in base alla luce (se in interni o esterni).

 

Rientrati nella camera oscura la lastra con l’immagine latente viene sviluppata. Lo sviluppatore viene applicato manualmente a vista con un tempo massimo di sviluppo dai 10 ai 15 secondi. Il momento richiede la massima concentrazione. Ogni secondo racchiude un’enorme potenzialità di errore. Segue poi il bagno di fissaggio che ha lo scopo di rendere l’immagine stabile alla luce, durevole nel tempo e priva di residui. Questo è il momento magico e indescrivibile nella nascita di un’ambrotipia: come per incanto il soggetto emerge sulla superficie durante i movimenti ondulatori del liquido di fissaggio.

Tenuto conto di tutti i parametri e avendo eliminato margini d’errore, abbiamo tra le mani l’unicum di puro argento su vetro cattedrale nero. Questo tipo di vetro si usava nella costruzione dei rosoni delle chiese antiche e non è scuro in superficie ma lo è perché l’impasto con cui è prodotto è nero.

Perché avete scelto proprio questa tecnica?

I risultati sono pezzi unici e restituiscono un effetto quasi tridimensionale. Si tratta di immagini non manipolabili, che non raccontano bugie e che durano nel tempo. Non stampiamo le immagini perché la copia su carta non renderebbe, specialmente in termini di effetto-tridimensionalità, quanto rende il direct positive originale.


Com’è la qualità delle immagini?

Unica! Per curiosità abbiamo fatto un calcolo teorico sulle nostre lastre 50x60cm, formato che usiamo per i ritratti. In teoria una lastra di questo formato arriverebbe a una risoluzione di 2 terapixel, non mega e non giga, ma tera! Naturalmente non esistite ancora l’ottica con una capacità di risoluzione tale… Ecco perché il nostro calcolo è solo teorico.

Quanto costano i materiali per una singola foto?

I costi variano per ogni foto a seconda della grandezza. Inoltre non tutte le foto riescono al primo tentativo. Nel nostro calcolo si parte da circa 300 euro a foto. In questa cifra non sono però considerate le spese di viaggio e il fatto che non sempre la foto riesce la prima volta. Soprattutto in esterni il meteo può giocare brutti scherzi.


Da quanto tempo state lavorando a questa ricerca? E quante prove avete fallito prima di arrivare alla foto numero uno?

Kurt ha trascorso ogni minuto libero nella sua prima camera oscura e finalmente, dopo cinque mesi di sperimentazioni, è apparsa la prima ambrotipia. Senza calcolare il tempo che Kurt ha investito per il restauro di Baby, le ricerche e il corso di chimica a Berlino! In pratica da quando ci siamo seduti a tavolino per concepire, calcolare, organizzare tutto sono passati circa tre anni e mezzo.

Kurt Moser e Barbara Holzknecht, i Lightcatcher

Bio

Kurt Moser

Direttore della fotografia con più di 30 anni di esperienza come cameraman e fotografo, Kurt Moser ha lavorato per importanti reti internazionali, nelle sedi estere di ORF, ZDF, Pro 7, TV Svizzera, ARD, ARTE, BBC e CNN nel settore documentaristico, e come produttore di trasmissioni quali Terra X e Universum. Nominato per il Grimme Preis 2009, gli è stato assegnato il premio per la migliore fotografia al Film Festival Internazionale del Cinema Dimension 3 di Parigi per il documentario 3D, Das Auge 3D Leben und Arbeiten am Cerro Paranal. Dal 2005 è docente e membro della commissione d’esame presso ZeLig – School for Documentary, Television and New Media di Bolzano.

Barbara Holzknech

Dal 1998 Barbara Holzknecht si occupa di progetti televisivi, inizialmente come capo di produzione e dal 2003 nel ruolo di producer. Per sei anni è stata a capo di una casa di produzione. Ha lavorato nel settore documentaristico, pubblicitario e dello spettacolo. Ha cooperato con diversi produttori ed emittenti televisive in Italia e all’estero (RAI, ARD, BR, SWR, NT-V, 3 Sat, ORF). Dal 2015 è partner di Kurt Moser nel progetto Lightcatcher.

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