Considerata una delle più grandi ambientaliste del nostro tempo, Jane Goodall ha conquistato fama mondiale e riconoscimento scientifico osservando e descrivendo il comportamento degli scimpanzé dell’Africa Orientale, primati capaci di fabbricare e usare utensili, di cibarsi di carne, di compiere danze sotto la pioggia e di impegnarsi in forme di conflitto organizzato.
L'Africa davanti
La sua morte, avvenuta all’età di 91 anni durante un tour di conferenze, è stata annunciata dal Jane Goodall Institute, la fondazione con sede centrale a Washington, D.C.. Quando non era in viaggio, viveva a Bournemouth, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, nella casa della sua infanzia.

Jane Goodall arrivò in Tanzania nel 1960, inviata da Louis Leakey per studiare gli scimpanzé nella Riserva del Gombe Stream. Quando il suo lavoro cominciò ad attirare l’attenzione del National Geographic, la rivista decise di documentarlo con fotografie e filmati, e inviò un giovane fotografo olandese di 24 anni, Hugo van Lawick. Era il 1962.
Nel 1957, al Museo di Storia Naturale di Nairobi, una giovane donna inglese destinata a rivoluzionare lo studio dei primati, Jane Goodall, assistette a una conferenza del paleontologo Louis Leakey. Quell’incontro avrebbe cambiato il corso della sua vita.
Leakey, insieme alla moglie Mary, stava allora portando alla luce a Olduvai Gorge, in Tanzania, i resti di Homo habilis, fondamentali per comprendere che i primi rappresentanti del genere umano avevano vissuto nella Rift Valley dell’Africa orientale circa due milioni di anni fa.
Alla fine della conferenza, Jane gli rivolse una semplice domanda: «Perché ha scelto di fare l’antropologo?».
Leakey, sorridendo, rispose: «Perché mi appassiona!».
Non c’erano motivazioni economiche dietro il suo lavoro, ma pura curiosità e dedizione, la stessa forza che può spingere chi ama la natura a volerla raccontare attraverso la fotografia.
Chi era Hugo van Lawick
Hugo era cresciuto tra le colonie olandesi in Indonesia, si era formato come naturalista e aveva un talento straordinario per la fotografia di animali selvatici. Appena arrivato a Gombe, rimase affascinato dal rigore e dalla sensibilità di Jane; lei, al tempo, era totalmente immersa nel lavoro di osservazione dei gruppi di scimpanzé. Nel 1963, a 29 anni, Jane Goodall divenne nota al grande pubblico quando il National Geographic pubblicò un lungo reportage, ben 37 pagine, dedicato agli scimpanzé che lei studiava. Da allora le sue ricerche furono sostenute finanziariamente dalla National Geographic Society, che ne riconobbe fin da subito il valore pionieristico.
Jane e Hugo si sposarono il 28 marzo 1964. Le immagini di van Lawick, intense, sobrie, luminose, contribuirono in modo decisivo alla fama mondiale di Jane Goodall. Le sue fotografie e i suoi film (come Miss Goodall and the Wild Chimpanzees, 1965) mostrarono al mondo, per la prima volta, la vita degli scimpanzé raccontata con rispetto e senza sensazionalismo.
Fu anche grazie a quel connubio tra scienza e immagine che il progetto di Gombe ottenne fondi e attenzione internazionale, compresa la trasformazione della Riserva del Gombe Stream in Parco Nazionale (1968).

L'apporto di Jane Goodall in 5 punti
Rimandiamo a Wikipedia gli interessati alla cronologia dei risultati scientifici di Jane Goodall, delle sue conferenze e dei riconoscimenti ottenuti.
Noi preferiamo sintetizzare il suo rivoluzionario valore scientifico. Le sue cinque scoperte più epiche, riconosciute unanimemente da etologi e primatologi, sono queste.
- Gli scimpanzé usano strumenti (e li costruiscono). A commento Louis Leakey, il grande antropologo, scrisse la celebre frase: “Dobbiamo ridefinire l’uomo, ridefinire lo strumento o accettare gli scimpanzé come umani”.
- Gli scimpanzé cacciano e mangiano carne.
- Questi primati coltivano legami affettivi e sociali complessi, in particolare le relazioni madre–figlio.
- Negli anni ’70 documentò la “guerra di Gombe”: scimpanzé maschi del gruppo di Kasakela attaccarono e sterminarono membri di un gruppo scissionista (Kahama). Rivoluzionò la visione “buonista” degli scimpanzé, mostrando che violenza, territorialità e coalizioni strategiche fanno parte anche del loro mondo.
- Trasmissione culturale e apprendimento sociale. Jane osservò che le tecniche di caccia, di uso di strumenti e perfino di “moda” (come battere le foglie) si trasmettono socialmente, non geneticamente. Fu la prima a parlare di “cultura animale”, concetto oggi centrale nella primatologia.
Poi ci piace soffermarci ancora un po’ sui primi gloriosi anni di Jane Goodall, come scienziata e come giornalista, con il fondamentale supporto di Hugo van Lawick.
Ci limitiamo a citare due bellissimi articoli, New Discoveries Among Africa’s Chimpanzees (Nuove scoperte tra gli scimpanzé dell’Africa), storia di copertina e un articolo di 30 pagine del National Geographic Magazine del dicembre 1965, con immagini di grande tenerezza nonostante l’importantissimo valore scientifico e, nel numero di maggio 1968, Tool-using Bird: The Egyptian Vulture, Unique photographs show how it throws stones to open ostrich eggs (Un uccello che usa strumenti: il capovaccaio. Fotografie straordinarie mostrano come usa le pietre per rompere le uova di struzzo). Era la prima volta nel mondo che veniva documentato questo comportamento del capovaccaio (Neophron percnopterus).

Entrambi gli articoli, quello del 1965 e questo del 1968, erano firmati by Baroness Jane van Lawick – Goodall, Ph.D. – Photographs by Baron Hugo van Lawick.
Noi non siamo solo appassionati di natura e fotografia. Amiamo anche leggere. La doppia firma baronessa Jane van Lawick – Goodall e barone Hugo van Lawick ci suscita la commozione di un confronto con l’avventura africana di un’altra grande donna, la baronessa von Blixen, scrittrice danese conosciuta anche con lo pseudonimo Isak Dinesen, che visse in Kenya (allora Africa Orientale Britannica) dal 1914 al 1931.
L’Africa divenne il centro della sua vita, come testimonia il saluto al Continente Nero che leggiamo nel capolavoro La mia Africa: “Ora io so una canzone dell’Africa, una canzone della giraffa e della luna nuova sdraiata sul dorso, dell’aratro nei campi e dei visi sudati degli uomini che raccoglievano il caffè – ma sa l’Africa una canzone che parla di me? Vibra nell’aria della pianura il barlume di un colore che io ho portato, c’è fra i giochi dei bambini un gioco che abbia il mio nome, proietta la luna piena, sulla ghiaia del viale, un’ombra che mi assomiglia, vanno in cerca di me le aquile del Ngong?”.
Chissà se gli scimpanzé di Gombe vanno in cerca di Jane Goodall…
Ringraziamo pubblicamente il Jane Goodall Institute per averci messo a disposizione il materiale fotografico.
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