Alessia Capasso è una giornalista che vive e lavora a Bruxelles, con un particolare interesse alle dinamiche che agitano l’Unione Europea. Tra queste, la storia del Montenegro, che Alessia ha imparato a conoscere dopo un primo viaggio fatto per spirito di avventura. A quel primo viaggio ne sono seguiti altri, soprattutto quello che l’autrice definisce il suo primo progetto fotografico strutturato, Golden Odyssey, vincitore della sezione “Reportage” del Premio Nazionale Musa per Fotografe e del Premio FOTO Cult 2024, assegnato dalla nostra redazione nell’ambito dello stesso concorso. Abbiamo intervistato Alessia Capasso per farci raccontare il suo progetto e la sua esperienza.
Com’è nato Golden Odyssey?
Golden Odyssey è nato nel 2016 dall’idea di fare un viaggio da sola. Volevo una meta che mi permettesse di fare un’avventura e dopo aver parlato con un po’ di persone che conoscevano il Montenegro sono arrivata alla conclusione che quella poteva essere la mia destinazione. Con spirito giornalistico iniziai, così, a documentarmi sul Paese e sulla sua cultura. Casualità volle che nel 2016 si festeggiasse il decimo anniversario dell’indipendenza della Repubblica del Montenegro dalla Serbia.
Sei partita già con l’intento di fotografare?
Sì, l’idea di raccontare fotograficamente il mio viaggio è stata una mia intenzione fin dall’inizio. Non immaginavo, però, che ne sarebbe nato un progetto strutturato, per il quale sono tornata nel Montenegro altre tre volte: a gennaio e a maggio del 2018 e poi nel 2023. Di volta in volta, dalle mie fotografie emergeva una sorta di affresco di un Paese che entro il 2025, sarebbe dovuto entrare nell’Unione Europea, data poi rimandata al 2030.
Quindi il tuo lavoro, che doveva essere una documentazione del viaggio, cos’è diventato?
Ho cercato di mostrare il cambiamento in atto all’interno del Paese, i suoi volti, le sue anime, che sono contrastanti. Il Montenegro è attanagliato, infatti, da forze oppositive che convivono: c’è la spinta verso la sua occidentalizzazione, sia da parte di movimenti come quello dell’associazione LGBT Progress (nel progetto compare il ritratto del suo rappresentante John M. Barac), sia da parte di sostanziali dinamiche capitalistiche; poi c’è la frangia più tradizionalista che vorrebbe mantenere il suo rapporto storico con la Serbia e la Russia; poi c’è tutto lo spaccato religioso con le comunità mussulmane.
Il tuo lavoro rappresenta un dialogo temporale tra passato, presente e futuro, identitario e culturale tra le diverse comunità, ma anche geopolitico, soffermandosi sulla relazione tra il Montenegro e gli Stati confinanti e sugli interessi di investimento che chiamano in causa la Cina, i Paesi Arabi, la Russia. Come hai lavorato sul campo?
Facendo molta ricerca prima, studiando, poi ascoltando, le persone, le loro storie, ed infine preparandomi all’imprevedibile. Andando in Montenegro ho sempre avuto la mente sgombra da qualsiasi giudizio e quando mi si presentavano delle situazioni inaspettate io mi ci infilavo dentro. Il desiderio di stare dentro alla storia, anche quando le situazioni non mi mettevano propriamente a mio agio, è stato per me una vera spinta in avanti.
In Golden Odyssey non approfondisci le singole storie, piuttosto la storia della popolazione montenegrina appare nella sua complessità. Come ti sei approcciata ai tuoi soggetti?
Sì, la mia intenzione non era quella di raccontare la singola storia, quindi ogni persona che incontravo, ogni intervista che ho fatto, serviva per comporre un contesto generale. I ritratti non raccontano degli ‘unicum’, ma sono simboli di una storia molto più estesa e molto più complessa.
Anche se racconti una realtà influenzata da culture e visioni differenti, l’estetica del progetto appare uniforme. Ce ne parli?
Dal punto di vista estetico ho cercato di conferire alle immagini un taglio pulito e abbastanza tradizionale, con uno sguardo prevalentemente frontale. Ho lavorato con una fotocamera molto discreta e maneggevole, vale a dire una Micro QuattroTerzi impostata su formato 1:1 [quadrato, n.d.r.]. In mezzo all’equilibrio compositivo, però, ho cercato di inserire degli elementi di contrasto, di precarietà. Ho quindi voluto creare una struttura chiara, che facesse facilmente accedere alle informazioni visive e a molti dettagli, ma volevo anche inquadrare una realtà dinamica, comprensiva delle sue contraddizioni.
E come sei riuscita a dare un volto a questa realtà dinamica?
È lo stesso Paese, con le sue politiche, a plasmarla, favorendo il dialogo tra le numerose anime che agiscono al suo interno. Quindi, naturalmente, l’ambiente restiutito dalle mie foto è quello del dialogo, della relazione. Io ho cercato di mostrare a chi guarda le mie foto le diverse entità montenegrine e l’ho fatto a volte per contrasti, a volte mantenendo una certa fluidità visiva. Inoltre, penso che il mio lavoro debba essere anche ‘letto’ e non semplicemente ‘guardato’.
Sono molto importanti anche gli apparati testuali, quelli delle didascalie per esempio, e bisogna sapere leggere anche il contesto dell’immagine. Ti faccio un esempio: l’immagine dell’uomo e della donna a lezione di tango a Podgorica. Il tango, un ballo erotico e di contatto fisico, è una rottura nel pensiero sulla relazione uomo/donna in Montenegro. Quella fotografia è una fotografia abbastanza omogenea tecnicamente, con una cromaticità fluida, non disturbante, ma è portatrice di forze e contraddizioni che possono essere assimilate solo conoscendone il contesto.
Parlando di cromaticità, nel tuo lavoro torna spesso il colore rosso. Perché?
È un colore la cui presenza torna spesso in Montenegro, inoltre richiama i colori della bandiera montenegrina in cui una doppia aquila dorata si staglia su uno sfondo rosso.
Il titolo, invece, da dove nasce?
Inizialmente il titolo era ‘Goodbye Crna Gora’ (“Crna Gora” significa “Montenegro” in cirillico), che riportava all’influenza statunitense sul Paese, in contrasto con quella russa. Però poi ho reputato che fosse un po’ semplicistico e così mi sono ispirata al titolo di un mio articolo sul turismo del lusso che anima il Paese. Inoltre, in una fotografia del mio progetto compare anche uno yacht chiamato, per l’appunto, ‘Golden Odyssey’. Da una parte racconta gli interessi capitalistici e del lusso sul Paese, dall’altra suggerisce il processo di cambiamento che il Montenegro sta affrontando, come una vera ‘Odissea’; anche se, in un certo senso, il ‘golden’ è riferito anche alla natura della storia montenegrina, che rispetto a quella di altri paesi balcanici, è stata, sicuramente, più ‘dorata’, meno travagliata.
Che tipo di paesaggio viene fuori da Golden Odyssey?
Secondo me una delle cose più interessanti del Montenegro è il fatto di trovarsi in mezzo a delle forti tensioni sociali, politiche e religiose, però manifestandosi in una dimensione positiva. Considera che è uno dei pochi Paesi dei Balcani che sono riusciti a coltivare l’idea della convivenza di differenti comunità. Quindi il paesaggio che ne è uscito è lo specchio di questa situazione, è un paesaggio sfaccettato, ma sereno, dove si sentono gli influssi del compromesso, della conciliazione.
Il progetto si ammanta di una luce che conferisce uniformità alle immagini. Visivamente, è la luce l’elemento conciliatore?
Con l’uso della luce non volevo creare nessun effetto speciale, né sottolineare nulla. Ho cercato di essere molto verosimile rispetto alla luce naturale che ho colto. In fase di postproduzione non ho lavorato per caricare di significato le situazioni, ma sono intervenuta in maniera leggera, delicata, non saturando, non creando dei contrasti ad hoc. Esiste una parte del progetto più oscura, quella che documenta la realtà relativa alla chiesa ortodossa e poi, piano piano, le immagini si aprono ad una diversa luminosità, sia dal punto di vista tecnico, ma anche per quanto riguarda i soggetti che ho ritratto e le loro storie.
In Montenegro, oltre al dialogo tra differenti identità economiche, culturali, religiose, permangono anche delle tracce tangibili del suo passato. Che apporto danno all’estetica del paesaggio?
Se il sentimento nostalgico per il proprio passato storico è in via di affievolimento, le tracce della storia del Montenegro permarranno, non possono essere cancellate. Per questo motivo l’estetica del suo paesaggio sarà un eterno dialogo tra il passato e la contemporaneità, un dialogo, però, che è sempre in cambiamento.
Pensi che quando il Montenegro sarà annesso all’Unione Europea potrai definire concluso il tuo lavoro?
Dipende da quello che succede. Personalmente vorrei passare ad altro o comunque dedicarmi alla concretizzazione di una sua veste più “fruibile”, come un libro o una mostra.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Alessia Capasso sono disponibili sul sito www.alessiacapasso.com.
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