Nel nord est dell’India esiste un’isola, l’isola fluviale di Majuli, che sta scomparendo, corrosa dalle forti correnti del fiume Brahmaputra. I suoi abitanti resistono alle avversità di una crisi climatica ormai imperante su scala globale e non lasciano la loro terra, adattandosi a nuove condizioni abitative e sociali. Per cinque anni il fotografo ungherese András Zoltai ha viaggiato sull’isola per raccontare questa storia di forza e resilienza, dove al centro di tutto scorre il fiume, il Brahmaputra, e il profondo rispetto che gli abitanti nutrono per esso. Il suo progetto è diventato anche un libro edito da Carmencita Editions e pubblicato nel mese di luglio 2025. Abbiamo fatto due chiacchiere con András.
Come e quando nasce il progetto Flood Me, I'll Be Here?
Ho sentito parlare dell’isola di Majuli, per la prima volta, da un caro amico che l’ha visitata circa dieci anni fa. Mi disse che la vita sull’isola sembrava quella delle pianure alluvionali dell’Ungheria di tanto tempo fa. Quell’immaginario ha messo in moto il progetto. Avevo già programmato di viaggiare nel nord-est dell’India e sono riuscito a farlo poco prima della pandemia di COVID, visitando anche Majuli.
Quando ci sono arrivato per la prima volta, effettivamente, i ricordi d’infanzia delle pianure alluvionali ungheresi mi sono tornati alla mente. Sono rimasto profondamente colpito dallo stretto legame che l’isola e i suoi abitanti intessono con il fiume e l’acqua.
Quella prima volta non pensavo a un progetto esteso, ma dopo essere tornato a casa, ho sviluppato ulteriormente la narrazione e ho iniziato a lavorare seriamente per proseguirlo. Purtroppo, la pandemia di COVID ha rallentato le cose, ma forse quel periodo di stasi è stato ciò di cui avevo bisogno per capire meglio cosa volevo fare. Grazie al finanziamento CARMENCITA in collaborazione con Kodak Professional Europe ho potuto continuare e sviluppare ulteriormente il progetto nel 2021.
Inizialmente il lavoro seguiva la classica narrazione climatica: un’isola che sta scomparendo e i suoi abitanti che ne sono vittime. Dopo il mio secondo viaggio, mi sono reso conto che non era propriamente così. Ho iniziato a concentrarmi sulla resilienza e sulla connessione umana, invece che sulla pura crisi ambientale. Piuttosto che dalle immagini sensazionalistiche, mi sono sentito attratto dai momenti più tranquilli e pacifici della vita quotidiana: la continuità della vita, il legame che le persone hanno con il fiume, l’acqua e la terra che le nutre.
Mi racconti la storia dell’isola di Majuli e dei suoi abitanti?
Negli ultimi decenni, l’isola di Majuli si è ridotta a un terzo delle sue dimensioni originali a causa dell’intensificarsi dell’erosione del suolo. I monsoni non arrivano più come un tempo e le inondazioni sono diventate più imprevedibili. Argini e sacchi di sabbia ora costeggiano le rive del fiume, cercando di contenere l’avanzata delle acque. Anche l’ecosistema di Majuli è stato sconvolto a causa del cambiamento climatico. Ciò nonostante, la resilienza, l’adattabilità e la silenziosa perseveranza degli abitanti, di cui sono stato testimone, sono diventate profondamente simboliche.
Più a lungo rimanevo, più mi rendevo conto che il progetto doveva concentrarsi anche sulla profonda venerazione fisica, sociale e spirituale che le comunità locali nutrono per il fiume e le sue acque sacre. Ho cercato di trascorrere più tempo possibile con la gente di Majuli, comprendendone le motivazioni e percependo sia le difficoltà che le gioie della loro vita quotidiana. Dagli agricoltori ai pastori di bufali, dai pescatori ai ceramisti, tutti condividevano un legame profondo e intimo con il loro ambiente e il fiume che lo alimenta.
Come questo lavoro richiama anche la tua storia personale?
Innanzitutto, la mia infanzia e i miei ricordi sono stati la mia più grande ispirazione per inseguire l’elemento dell’acqua. Da bambino vivevo a soli dieci minuti di bicicletta dalle rive del fiume Tibisco, in Ungheria. Lì avevamo anche una casa estiva, dove mi piaceva trascorrere del tempo a pescare, invitare gli amici o semplicemente starmene in riva al fiume. Szentes, la città dove sono nato e cresciuto, è anche famosa per le sue terme.
Ho imparato a nuotare in una piscina termale. Quindi, il mio legame con l’acqua è sempre stato molto forte, anche se non l’ho capito fino a quando non mi sono trovato in India. Mentre fotografavo le comunità che vivono lungo le rive del Brahmaputra, sono stato involontariamente e inaspettatamente colpito dai miei ricordi. Ho iniziato a confrontare le due realtà, interrogandomi più direttamente sulla situazione in Ungheria, domandandomi se abbiamo ancora lo stesso legame con l’acqua o se quel legame sta scomparendo.
Con che valore e simbolismo il fiume Brahmaputra attraversa le tue immagini?
Il Brahmaputra, e tutti i suoi affluenti, non sono solo un elemento fisico nelle mie immagini, sono la forza centrale che plasma sia il paesaggio sia la vita degli abitanti. Per me, il fiume racchiude molteplici strati simbolici: rappresenta la trasformazione costante, il passare del tempo e la resilienza. Visivamente, il fiume si intreccia nel progetto come un filo narrativo. Determina il ritmo della vita quotidiana, la luce, l’atmosfera e persino la temporalità delle immagini.
La sua vastità e imprevedibilità rispecchiano le correnti emotive sotterranee della storia che volevo raccontare. Ho spesso pensato al Brahmaputra come a un personaggio vivente, a volte calmo e generoso, altre volte violento e incontenibile. A livello personale, trascorrere così tanto tempo vicino al fiume ha cambiato il mio approccio alla fotografia: mi ha insegnato pazienza e umiltà; ho dovuto adattarmi al suo ritmo piuttosto che imporre il mio.
Quante anime ha questo progetto e come si relazionano tra loro?
Credo che questo progetto riveli molti strati di anime, che si intrecciano lungo l’intera narrazione. C’è un senso di fusione tra loro: le anime umane – gli abitanti di Majuli – la cui resilienza, i cui rituali, le cui lotte e le cui gioie costituiscono la spina dorsale della storia; poi c’è l’anima naturale o ambientale, incarnata dal paesaggio in continua evoluzione, permeato dall’acqua, e dai segni del cambiamento climatico; infine, c’è la mia anima, visibile attraverso le pagine del libro nel mio processo di scoperta, nella mia graduale comprensione del luogo e nella trasformazione personale che ho sperimentato durante i miei viaggi.
Le persone che ritrai non hanno valore in quanto singoli, ma in quanto comunità. Attraverso cosa l’umano e la natura dialogano nelle tue immagini?
Quando ho visto per la prima volta la gente del posto riempire i sacchi di sabbia e ho assistito al potere distruttivo dell’erosione del suolo, il focus del progetto si è spostato sul concetto di ‘scomparsa’: una storia incentrata sulla scomparsa dell’isola, sulle persone costrette a lasciare le proprie case e cercare nuovi posti in cui vivere. Ciò che mi ha colpito è stato la compattezza con cui la popolazione dell’isola reagiva a quelle sfide, non individualmente, ma come comunità. Molte famiglie hanno scelto di rimanere, anche nelle zone più critiche. Invece di abbandonare l’isola, si sono adattate, hanno trasferito le loro case in altre zone.
La loro prospettiva non si è concentrata sulla distruzione, ma sulla potenza dell’acqua e sul profondo rispetto che nutrono per essa. Hanno accettato che il fiume dà e prende, sempre. Questo tipo di accettazione è qualcosa che manca nella nostra cultura, dove spesso cerchiamo di controllare la natura con la forza. La vita quotidiana degli abitanti di Majuli non è animata dal vittimismo, ma è radicata in una narrazione di convivenza. Da esterno, mi ci è voluto un po’ di tempo per rendermene conto, ma capirlo ha cambiato completamente il mio approccio al tipo di emozioni che cercavo di trasmettere con questo progetto.
Hai speso cinque anni a produrre Flood Me, I'll Be Here. In cosa ti senti arricchito, sia umanamente che dal punto di vista fotografico?
Sul campo, ho lavorato in modo immersivo e intuitivo. Ho trascorso lunghi periodi sull’isola, vivendo spesso in piccoli villaggi e spostandomi a piedi, in barca o in bicicletta. Non mi sono avvicinato alla comunità con un piano o una lista di scatti prefissati, ma ho lasciato che gli incontri, il tempo e il ritmo della vita quotidiana plasmassero il lavoro.
Nel corso degli anni, i miei ripetuti ritorni hanno fatto sì che non fossi più solo un visitatore; le persone hanno iniziato a riconoscermi e questa fiducia mi ha permesso di accedere a spazi più intimi e di assistere a sottili cambiamenti sia nel paesaggio che nella vita degli abitanti, stagione dopo stagione. Durante questi viaggi, mi sono costantemente interrogato sulle motivazioni personali che mi collegavano a Majuli, mi chiedevo perché continuassi a tornarci così tante volte e perché sentissi un bisogno così forte di essere lì.
Credo che ogni progetto personale riguardi, in qualche modo, anche noi stessi. Mentre fotografavo, ho cercato di mantenere aperto questo filo conduttore personale, di lasciare che le mie emozioni fluissero liberamente e di reagire all’ambiente senza pensarci troppo. Ripensandoci ora, mi rendo conto che nulla è stato casuale. Anche il titolo, Flood Me, I’ll Be Here, può essere letto in due modi: da un lato, riflette la resilienza e la perseveranza delle persone che vivono lì, dall’altro, però, risuona profondamente anche con la mia personalità. Ho continuato a tornare a Majuli finché non ne sono diventato parte integrante e, attraverso le mie esperienze umane, ho iniziato a raccontare le storie della sua gente, le loro lotte e le loro gioie.
Quanto la resa della luce influisce sul progetto?
Ho fotografato principalmente all’alba e al tramonto. È stata una decisione consapevole, perché volevo stabilire un linguaggio visivo coerente lungo tutta la serie, un’atmosfera ariosa, ma contemporaneamente nebbiosa che legasse insieme tutte le immagini. Ho anche utilizzato costantemente lo stesso tipo di pellicola e macchina fotografica per mantenere un tono di voce uniforme. I capitoli del libro sono stati strutturati attorno a diverse qualità di luce e tono, consentendo alla narrazione di dispiegarsi gradualmente attraverso atmosfere mutevoli.
Ulteriori fotografie e informazioni sul lavoro di András Zoltai sono disponibili sul sito del fotografo zoltaiandras.com.
Titolo Flood Me, I’ll be Here
Fotografie di András Zoltai
Formato25 x 26cm
Pagine 216
Lingua inglese
Prezzo 55 euro
Editore Carmencita Editions
Data di pubblicazione luglio 2025
ISBN978-84-09-72910-4
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