Roma
Dal 2 al 13 dicembre 2023
Attualmente Cospaia è una frazione del comune di San Giustino, in provincia di Perugia, e la sua storia ha dell’incredibile. Fino a poco più di duecento anni fa Cospaia era una vera Repubblica, anarchica e liberale, generata per errore, ma che durò per quasi quattrocento anni, dal 1441 al 1826. Il borgo di Cospaia si rese indipendente quando, nel febbraio del 1441, papa Eugenio IV cedette il territorio di Sansepolcro alla Repubblica di Firenze e per un errore di trascrizione una striscia di territorio non fu inclusa nel trattato, così gli abitanti residenti ne approfittarono e proclamarono la loro Repubblica. Fabio Magara, quando ha scoperto questa storia, così ricca di spunti immaginifici, ne ha approfittato e, partendo dal dato reale, ha usato la fotografia per rimodellare addosso al passato di Cospaia un abito su misura, una storia di invenzione avvincente quanto la storia reale, se non di più. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Come sei venuto a conoscenza della storia della Repubblica di Cospaia e cosa ti ha spinto a partire da lì per un progetto di true fiction?
La vicenda della Repubblica di Cospaia mi ha affascinato dal primo momento in cui l’ho scoperta. Sono un grande appassionato di storia e da tempo cercavo degli spunti che toccassero il tema del “confine”. Una sera, per puro caso, ho scoperto questa vicenda, facendo ricerche tramite internet, e ne sono rimasto profondamente colpito. Parliamo della più piccola Repubblica della Storia, nata da un errore cartografico, e caso unico di Repubblica libera e anarchica, i cui abitanti, contadini senza istruzione, furono capaci di convivere liberamente senza legge alcuna, se non quella della suprema “PERPETUA ET FIRMA LIBERTAS”, per quasi quattrocento anni. Tutto questo ha suscitato la mia curiosità e ho deciso di approfondire la questione. Mi sembrava assurdo che io non conoscessi questa storia pur abitando non lontano da quei luoghi.
Qual è la storia, invece, di Protocollo K.?
Protocollo K. parte dalla reale storia della Repubblica di Cospaia ma la prolunga di circa cento anni, immaginando che non si sia conclusa nel 1826, come fu nella realtà, ma negli anni ’30 del secolo scorso, in pieno regime fascista. Un agente dell’OVRA, la polizia politica fascista, l’agente Mosca, interpretato da me medesimo, viene inviato presso la Repubblica di Cospaia per raccogliere informazioni, documenti, testimonianze e fare fotografie, al fine di stilare un protocollo che suggerisca il da farsi ai suoi superiori, il “Protocollo K.” per l’appunto.
Perché hai deciso di ambientare la storia di Protocollo K. durante il periodo fascista?
Ambientare la storia nel 1930 è stato fondamentale per la riuscita del racconto. Il regime fascista rappresentava infatti l’antitesi perfetta del “modello Cospaia”: l’uomo forte, al potere di un’intera nazione, contro la libera convivenza tra famiglie, in uno stato libero, senza leggi né capo alcuno.
Questo “scontro” poteva permettermi di sottolineare concetti fondamentali nella vicenda e mostrare le differenze tra i due modelli. Inoltre, in quegli anni il mezzo fotografico iniziava a farsi strada con le macchine 35mm e ciò rendeva credibile l’architettura del lavoro.
Il materiale d’archivio che usi è, in gran parte, un tuo artefatto creato ad hoc per testimoniare la fiction da te ingegnata. Ma il tuo progetto è il risultato anche di una capillare ricerca sul territorio e di uno studio del poco materiale d’archivio originale che ancora esiste.
Si, è stato un lavoro impegnativo, ma molto appagante, proprio per la curiosità che questa vicenda suscitava in me, ogni giorno di più. Facevo ricerca sul territorio, come dicevi tu, ma anche tramite internet o altre fonti e contemporaneamente realizzavo degli appunti visivi, cercando degli spunti e delle “chiavi” che mi permettessero di realizzare un racconto credibile. Raccontare questa vicenda oggi, dopo duecento anni dal suo epilogo, era una sfida grande. La modernità, unita ad una memoria affievolita, infatti, rendevano molto difficile realizzare un lavoro credibile che non sfociasse nel clima da festa di rievocazione. Decisiva è stata la lettura di alcuni libri e la conoscenza di alcune persone del posto che mi hanno tramandato le loro memorie sulla vicenda della Repubblica di Cospaia. Con tutta questa serie di informazioni e con gli appunti visivi che realizzavo ho messo insieme la struttura del progetto. Dopo questa fase, nella mia testa, tutto è risultato più chiaro e scattare le fotografie e scrivere i testi è stato molto più semplice.
Al di là della storia specifica di Protocollo K., il tuo progetto vuole essere metafora anche del concetto di memoria e soprattutto riflette e fa riflettere sulla natura stessa del mezzo fotografico, sulla sua veridicità…
Sicuramente. La memoria è la base su cui si fonda il futuro e va coltivata e tramandata. Io l’ho fatto a modo mio, con la fantasia, realizzando uno dei miei sogni di bimbo: viaggiare nel tempo. Farlo, tramite la fotografia, come in Ritorno al Futuro tramite la DeLorean, è stato veramente la ciliegina sulla torta. Spiazzare il lettore, disorientarlo sulla veridicità della storia e delle fotografie, era uno degli obiettivi che mi ero prefissato. Ed è appagante ascoltare le domande dei visitatori della mostra o dei lettori del libro, incuriositi sul reperimento delle immagini e dei documenti o sulla reale esistenza della Repubblica di Cospaia, mixando la verità con la finzione creata ad hoc da me.
Come la resa sgranata delle immagini, gli sfocati, i mossi e un bianco e nero che riporta alla mente le indagini antropologiche di Ernesto de Martino, danno il loro apporto al concettualismo di Protocollo K.?
La coerenza estetica era importantissima per realizzare una true fiction fotografica credibile. Per questo sono partito dalle uniche foto anni Trenta che avevo della città di Cospaia, le tre cartoline, e partendo da lì ho realizzato un vestito il più possibile simile per le mie fotografie. In più, era necessaria anche una credibilità di comportamento dell’agente Mosca come fotografo, che era in incognito e quindi doveva realizzare scatti senza dare troppo nell’occhio, a volte di nascosto. A questo è dovuto il mosso e lo sfocato, due “armi” utilizzate, quindi, anche per rimandare alla condizione di scatto del mio personaggio. Inoltre, non volevo che il progetto risultasse troppo documentativo, ma più evocativo, lasciando puntini di sospensione per il lettore.
Il tuo essere presente, nella storia di finzione, come “agente Mosca”, ti ha permesso di controllare maggiormente gli sviluppi della sua narrazione?
La mia presenza era fondamentale perché forte era il mio coinvolgimento personale. In Protocollo K. ci sono tutte le mie passioni e molto della mia vita. C’è la passione per la storia e la politica e la mia presa di posizione netta sul tema, c’è il mio sogno di viaggiare nel tempo, c’è la vita contadina, ci sono tanti nomi e citazioni importanti. C’è anche una citazione fotografica per Vasco Rossi, mio grande idolo, nella mia foto segnaletica che chiude il lavoro e che mi vede con un occhio nero come quello di Vasco in “Colpa d’Alfredo”. Insomma, in Protocollo K. ci sono io.
Ulteriori informazioni sulla mostra Protocollo K. di Fabio Magara sono disponibili sul sito collettivowsp.org.
Fabio Magara. Protocollo K.
- In collaborazione con Il fotografo della Tana
- WSP Photography, via Costanzo Cloro, 58 – Roma
- dal 2 al 13 dicembre 2023
- lunedì-venerdì 18-19 o su appuntamento
- ingresso gratuito
- collettivowsp.org