La fotografia di architettura può puntare a suscitare emozioni piuttosto che limitarsi a celebrare le geometrie degli edifici da cui ha origine. Claudio Sericano si concentra su alcuni elementi urbani essenziali, li fotografa e li colloca in una dimensione completamente stravolta. Grazie al fotoritocco creativo reinventa luci e ombre, e altera i colori secondo uno stile strettamente personale che spesso sfocia in sensazioni di angoscia e alienazione.
Claudio Sericano era molto giovane quando ha iniziato a puntare l’obiettivo della sua fotocamera sui paesaggi urbani. Dopo un’infanzia costellata di viaggi con la famiglia, ha mantenuto la sana abitudine di esplorare le città osservandone le architetture e apprezzandone le geometrie. Il desiderio di produrre immagini poco tradizionali lo ha spinto verso la fotografia di architettura fine art, con particolare attenzione per il lavoro della fotografa greca Julia Anna Gospodarou. Partendo dalla tecnica impiegata da costei, che consiste essenzialmente nel creare un effetto notturno trasformando una fotografia a colori in un’immagine in bianconero in cui il cielo viene scurito pesantemente, Claudio ha sviluppato uno stile personale reintroducendo il colore selettivo e creando forti giochi di ombre e luci. Tutto inizia da lunghe passeggiate per le strade di piccole città e grandi metropoli, che l’autore percorre con un equipaggiamento essenziale: una Canon Eos 6D Mark II e un obiettivo zoom 24-105mm che usa prevalentemente impostando lunghezze focali comprese tra 30mm e 100mm. È in postproduzione che avviene il processo di personalizzazione della fotografia, una trasformazione che punta a suscitare emozioni attraverso la manipolazione di alcuni parametri basilari dell’immagine. Abbiamo intervistato Claudio Sericano, per addentrarci con lui nelle atmosfere dark delle sue creazioni digitali.
Fotografi architetture, con particolare attenzione per le finestre. Perché?
Nell’ultimo decennio il mio stile si è avvicinato al minimalismo. Questo stile fotografico, nel quale l’Italia ha avuto Franco Fontana come maestro indiscusso, ha come principio l’utilizzo di un numero minimo di forme e colori. Io lo interpreto soprattutto con la parola ordine. Tutto deve essere visivamente preciso. Per anni sono stato attratto dall’idea di fotografare file di finestre simili tra loro ma tutte diverse per via di piccoli particolari. Negli ultimi anni, con le architetture delle grandi città, le finestre sono rimaste le mie principali protagoniste, non più per il loro valore geometrico, ma per l’effetto che possono creare illuminando una facciata buia. L’estetica ha lasciato il posto alle emozioni.
Hai studiato e reso tuo lo stile di Julia Anna Gospodarou, condividendone la predisposizione a scurire molto il cielo. È una scelta estetica o emotiva?
La fotografia fine art si differenzia dalla documentaristica, e vede il fotografo come un artista che utilizza l’elemento fotografico per esprimere la sua creatività. Con l’avvento del digitale e delle tecniche di postproduzione ha avuto luogo una specie di rivoluzione, che ha fatto transitare la fotografia di architettura da documentaristica a fine art, attirando l’attenzione di molti fotografi. Una delle tecniche che hanno maggiormente contribuito a questo progresso, è stata quella che prevede la sostituzione del cielo con una superficie scura. Suppongo che Gospodarou, e i pochi altri precursori di questa procedura, abbiano optato per la sostituzione dei cieli per una questione puramente estetica. Il cielo scuro, a volte attraversato da fasci di luce, permette agli edifici chiari di risaltare meglio, e in bianconero la resa è spettacolare. Il mio approccio alla fotografia fine art di architettura e la scelta di condividere la tecnica di sostituzione del cielo, invece, derivano dal mio costante sforzo di creare emozioni visive più che da un fattore estetico. Una volta imparata la tecnica, che per me è diventata fondamentale, ho cercato di personalizzarla con altre idee, come l’utilizzo dei colori o la creazione di effetti di movimento.
Con quale criterio avviene l’introduzione della luce e del colore attraverso i software di fotoelaborazione?
Aggiungere la luce in una foto di architettura è una operazione complessa. È necessario lavorare separatamente sugli edifici e sul cielo. Nel mio caso gli edifici vengono resi molto scuri, per poi schiarire solamente le parti che devono risultare illuminate. Il cielo può essere attraversato da raggi che colpiscono uno o più edifici mantenendo la stessa inclinazione, oppure può presentare un chiarore centrale diffuso. Per quanto riguarda il colore mi capita di accoppiare due tinte complementari, ma non ne faccio una regola. Solitamente provo varie combinazioni, fino a raggiungere un risultato visivamente ed emotivamente interessante. Un colore che dà buoni risultati è il rosso, soprattutto se accostato al nero.
Ci sono altri autori, oltre a Julia Anna Gospodarou, a cui ti sei ispirato?
Potrà sembrare strano, ma nonostante la tecnica di realizzazione della fotografia fine art di architettura che utilizzo sia recente, la mia ispirazione viene da molto lontano. Sono sempre stato attratto dalle immagini, e non solo dalle fotografie. Colleziono riviste e libri di antiquariato illustrati, soprattutto quelli legati agli stili dell’Art Nouveau e dell’Art Déco. La maggiore ispirazione per i miei lavori proviene da un libro del 1929, The Metropolis of Tomorrow, dell’architetto Hugh Ferriss. Nei suoi visionari disegni ho intravisto quella energia fantastica che sto provando tuttora a catturare nei miei lavori fotografici. Cerco anche fonti di ispirazione online, osservando i lavori di fotografi dell’era digitale sia scorrendo le classifiche dei più importanti concorsi internazionali, sia visitando i tanti siti web che pubblicano foto di alto livello. In particolare è per me prezioso il tempo trascorso nel sito web inglese 100asa.com, per il quale svolgo il ruolo di curatore studiando attentamente tutte le fotografie pervenute. Questa analisi aiuta a comprendere i punti deboli dei miei lavori.
Com’è nata Insomnia? È considerata una delle tue fotografie più rappresentative…
Ho creato Insomnia con lo scopo di raccontare una storia. Il fotogramma è riempito da una griglia di finestre che compongono la facciata di un grande palazzo di Parigi. Tutte le luci sono spente, eccezion fatta per una finestra in cui si scorge la silhouette di una persona che guarda fuori. Dopo un intervento di correzione prospettica in Photoshop ho introdotto una colorazione giallo-arancio sulla finestra in questione e una tonalità blu sul resto della fotografia, attenendomi alla teoria dei colori complementari. Anche la sagoma umana è frutto del mio intervento di fotoritocco, e ha lo scopo di trasmettere un senso di alienazione. La fotografia ha riscosso un successo inaspettato, e mi ha permesso di ottenere diversi riconoscimenti, come il secondo posto nella sezione Architettura dei Creative Photo Awards 2021. Una donna inglese ha commentato Insomnia definendola un’ottima rappresentazione della sensazione provata da chi, come lei, soffre di disturbi del sonno.
Cosa ti auguri che i lettori di FOTO Cult riescano a percepire osservando i tuoi lavori?
Penso che sia possibile percepire i miei lavori in modi differenti, ma dai commenti che ricevo deduco che quasi tutte le interpretazioni hanno un elemento in comune: il riferimento alla fantascienza. La sensazione più comunemente descritta da chi osserva le mie fotografie è quella di sentirsi in un luogo oscuro, avvolto da un’atmosfera dark. Lo scatto intitolato Metropolis, ad esempio, è stato descritto come una skyline tetra e opprimente in puro stile Gotham City, mentre il progetto Luci nella notte è stato associato alle immagini del film Sin City. La voce fuori dal coro dell’esperta di fotografia d’architettura Sue Barr ha descritto le mie immagini come teatrali, capaci di rimandare alla natura cinematografica degli scatti di Gregory Crewdson. Il messaggio che vorrei trasmettere attraverso il mio lavoro parla della spersonalizzazione e della solitudine dell’uomo nelle grandi metropoli del futuro. In un ipotetico scenario distopico, immagino una persona sola dietro ogni finestra: forse nulla di particolarmente irreale se si considera la situazione che stiamo vivendo in questi anni.
Bio
Claudio Sericano, nato a La Spezia il 5 agosto 1963, inizia a viaggiare da giovanissimo al seguito della sua famiglia. Presto riceve in regalo la prima reflex, una Minolta, alla quale affianca una Nikon F3 nella seconda metà degli Anni ’80, passando dalla fotografia stampata alle diapositive. Al termine dello stesso decennio inizia a partecipare a concorsi nazionali con buoni risultati e, dopo una pausa dovuta a impegni lavorativi, si avvicina al mondo del digitale esplorando le città vicine alla ricerca di scorci minimalisti. Concentrandosi sulle strade, le facciate dei palazzi e le finestre, porta avanti uno studio accompagnato dall’approfondimento sulle tecniche di postproduzione, grazie alle quali può sperimentare un approccio più creativo. Non mancano fotografie scattate nelle grandi metropoli, tra le quali la più nota è Insomnia, che gli vale il secondo posto nella categoria Architettura dei Creative Photo Awards 2021 e Luci nella notte, una serie di otto immagini con cui si aggiudica il primo posto nella categoria Architettura – Edifici del Prix de la Photographie di Parigi 2021.