Venezia
Dal 17 dicembre 2023 al 1° aprile 2024
In occasione del processo di valorizzazione dell’archivio di Luigi Ferrigno, acquisito dalla Fondazione Querini Stampalia qualche anno fa, si inserisce la mostra Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno, a cura di Lorenza Bravetta, visitabile fino al 1° aprile 2024. Ferrigno, fotoamatore schivo e sensibile, negli anni Sessanta annota visivamente, con un bianco e nero che ricorda la lezione di Henri Cartier-Bresson, una Venezia calata nella sua quotidianità, nelle sue attività abituali. Diverse, invece, risultano le sue immagini che provengono dagli anni Novanta e quelle prodotte dopo il Duemila, in cui l’autore sembra continuare ad occuparsi della sua tanto amata città, ma in maniera astratta, raccontandone il suo volto più concettuale. Così nasce la serie Frammenti della terra, generata dalla passione di Ferrigno per il vetro delle vetrerie veneziane, immortalato attraverso ingrandimenti che generano forme astratte e magiche. Abbiamo intervistato la curatrice della mostra, Lorenza Bravetta.
Chi è Luigi Ferrigno?
Luigi è un fotoamatore che nasce a Venezia e inizia a praticare la fotografia negli anni Cinquanta, per poi fermarsi e riprendere negli anni Novanta, senza mai farne, però, una vera professione. Ha lavorato, invece, inizialmente, nel settore alberghiero, a Roma, a Napoli e tornando, poi, a Venezia. Infine, ha trovato impiego in vetreria a Murano e ha fatto del vetro la sua passione e il suo lavoro. Il suo racconto della città è avvenuto, soprattutto per quanto riguarda le fotografie degli anni Sessanta, sotto forma di annotazioni visive, per questo la mostra è stata intitolata Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno.
Quanto l'essere veneziano ha influito sulla sua fotografia?
Senz’altro molto e ne ho avuto la riprova quando, per la sezione della mostra Frammenti della terra, abbiamo selezionato le immagini prodotte in vetreria, consistenti in ingrandimenti di parti di vetro. Penso che la connessione con il vetro e il territorio di Venezia sia molto vivida nelle sue immagini, non per niente i frammenti di vetro colti fotograficamente, per lui, sono “frammenti di terra”. Il vetro è un filo rosso in tutta la sua vita e anche in tutta la sua opera: lo troviamo nella prima fase fotografica, negli anni Sessanta, quella più reportagistica e umanista, quando fotografa, in bianco e nero, gli operai della vetreria; lo troviamo nella seconda fase, negli anni Novanta, quando a fianco della Protezione Civile di Venezia documenta, a colori, una serie di interventi a salvaguardia di monumenti ed aree di Venezia, compresa una zona industriale a Murano, specializzata in produzione di perline di vetro chiamate Conterie; infine, nell’ultima fase, negli anni Duemila, con gli ingrandimenti di oggetti di vetro che lo proiettano in una dimensione più astratta e onirica.
Quanto è stato influenzato dalle correnti in voga negli anni Sessanta e Settanta?
Luigi ha frequentato, a Venezia, prima il gruppo “La Gondola”, poi “Il Ponte”, di cui fu uno dei fondatori. Gravitava, quindi, in un pensiero creativo, ma sempre amatoriale. Sicuramente può aver conosciuto, frequentando questi circoli, i lavori di altri autori, può aver visto immagini che hanno catturato il suo interesse, ma non penso che il suo lavoro sia il frutto di una contaminazione consapevole. Luigi è un uomo di grandissima istintività e sensibilità e ha fondato la sua opera fotografica su questi elementi, senza perseguire un pensiero intellettualistico. Nella sua semplicità è riuscito a captare le innovazioni, le tendenze che si muovevano nel panorama fotografico intorno a lui, ma in maniera istintiva.
E il passaggio dal bianco e nero degli anni Sessanta al colore degli anni Novanta?
Sicuramente, rispetto al bianco e nero degli anni Sessanta, Luigi voleva che il lavoro con la Protezione Civile di Venezia degli anni Novanta risultasse più realistico. Da qui, probabilmente, la scelta del colore. Inoltre, ricordiamoci che lui abbandona la fotografia a metà degli anni Sessanta e la ritrova negli anni Novanta. Quando torna a prendere in mano la macchina fotografica il mondo delle tecnologie e il linguaggio fotografico sono cambiati. Quindi probabilmente il suo passaggio dal bianco e nero al colore è stato dettato non tanto da una presa di posizione artistica, quanto dal flusso della vita stessa. Tutti fotografavano a colori e anche lui fece così.
Perché questa mostra è stata esposta ora?
La Fondazione Querini Stampalia ha ricevuto nel 2017 da Luigi Ferrigno il suo archivio con altri due fondi importanti, quello di Graziano Arici e quello di Mark Smith. Dal momento dell’acquisizione è partito un processo di valorizzazione del materiale donato attraverso attività espositive, editoriali, educative, incontri. Per dargli nuova vita, oltre che per renderlo conoscibile al pubblico.
Quindi oltre alla mostra sono programmate altre attività relative all’archivio di Luigi Ferrigno?
Sì, ci sarà un “public program” di tre incontri che, a partire da febbraio, si focalizzeranno sui temi della ricerca di Luigi, coinvolgendo trasversalmente studiosi di altre discipline come l’antropologia, la sociologia, la storia, quella di Venezia nello specifico, la valorizzazione degli archivi. Vorremmo che la fotografia diventasse, oltre a un momento di studio, anche un pretesto per approfondire altro e mettersi in relazione ad altre forme di sapere. Ci saranno, inoltre, delle attività educative partecipative, durante le quali chiederemo agli abitanti di Venezia un’interazione con la Fondazione, coinvolgendoli in prima persona con le loro memorie.
Il processo di valorizzazione dei tre archivi comprende anche la loro digitalizzazione?
Sì, è in atto anche la digitalizzazione del materiale che, tramite il sito della Fondazione, sarà condivisibile con il pubblico.
La tua stessa ricerca si concentra particolarmente sulla mappatura degli archivi, vero? Ricordiamo il censimento di archivi, da te ideato quando lavoravi per il Ministero dei Beni Culturali, inserito nel più vasto progetto “Piano strategico di sviluppo della fotografia in Italia”…
Senz’altro per me il tema dell’archivio è un tema importante e ho continuato ad occuparmene anche dopo la conclusione del progetto “Piano strategico di sviluppo della fotografia in Italia”, oggi incardinato alla Direzione Generale della Creatività Contemporanea. In quel caso specifico, poi, il piano era stato pensato per creare una rete a cui potesse partecipare sia chi lavora nel settore fotografico in maniera istituzionale, sia non istituzionale.
Penso che sia stata proprio la mia passione per l’archivio fotografico a farmi approdare alla Fondazione Querini Stampalia, con lo scopo specifico di valorizzare le nuove acquisizioni.
Continuerete con il progetto di riscoperta di autori veneziani?
Mi piacerebbe continuare con questo focus. Adesso, ad esempio, è prevista la valorizzazione dell’opera del terzo fondo acquisito, quello di Mark Smith. Dopodiché vedremo il da farsi.
La prima parte della mostra, con le immagini anni Sessanta, è stata allestita in maniera semplice e minimale, affiggendo le fotografie con quattro chiodini. Perché?
La scelta ha un significato molto preciso. Luigi non ha molte stampe originali, l’archivio si compone di pochissime fotografie vintage perché il fotografo non poteva permettersi il costo della stampa. Inoltre, non vendendo le proprie fotografie e intendendo la pratica fotografica come non professionale, non sentiva il bisogno di stampare.
Per la mostra abbiamo prodotto delle modern prints, ma non mi piaceva l’idea di dare un tono troppo pretenzioso con il classico allestimento a cornice, e così abbiamo optato per la semplicità dei chiodi a vista.
Trattandosi, poi, di un fotoamatore e di un uomo estremamente discreto mi sembrava fosse un modo più fedele di raccontarlo, mantenendo il rigore filologico del formato, il 30x40cm, che gli apparteneva, in un allestimento, però, essenziale e pulito. Inoltre, la prima sezione della mostra vuole raccontare Venezia attraverso l’idea di un ‘fiume di immagini’, senza farle diventare delle opere.
Invece, ad esempio, per il progetto Frammenti della terra, la terza sezione della mostra con i dettagli degli oggetti di vetro, è evidente l’intenzione opposta, cioè dare il giusto valore e significato artistico a quelle immagini, che sono state allestite, per tale motivo, in maniera più convenzionale, con cornice e passepartout.
Le fotografie di Ferrigno, nella prima sezione della mostra, dialogano con alcune immagini di inizi Novecento di Mario Nunes Vais, della serie Nevicata a Venezia, e di Luciano Morpurgo, con fotografie dal titolo Lido di Venezia. Perché questo accostamento?
I due fondi e i rispettivi autori sono stati proposti direttamente dall’ICCD e da noi, ovviamente, approvati. La nostra intenzione era quello di inserire Luigi Ferrigno e la sua opera in una tradizione, una tradizione che nasce dal Grand Tour del XVIII secolo, dalla tradizione di Canaletto, prima ancora che dalla fotografia. Nunes Vais e Morpurgo rimangono affascinati entrambi da Venezia e dalla sua magia visiva, dalla visione di una città eterna, sospesa, quasi onirica. Mi interessava l’idea di iscrivere Luigi in tale tradizione, che mostrava e vedeva Venezia in quello specifico modo. Come dicevo prima, Ferrigno è un fotoamatore che non ha mai messo a punto una propria poetica, o forse semplicemente non ne ha avuto la consapevolezza. Tuttavia, inconsapevolmente, ha definito uno stile personale, anche sulla scia dei grandi fotografi che l’hanno preceduto, tra cui Mario Nunes Vais e Luciano Morpurgo.
Tutte le informazioni sulla mostra di Luigi Ferrigno e sulla Fondazione Querini Stampalia sono disponibili sul sito querinistampalia.org
Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno
- A cura di Lorenza Bravetta
- Fondazione Querini Stampalia di Venezia, campo santa Maria Formosa, 5252 – Venezia
- dal 17 dicembre 2023 al 1° aprile 2024
- martedì-domenica 10-18. Lunedì chiuso
- intero 15 euro, ridotto 12 euro
- https://www.querinistampalia.org