Non solo proiezioni di diapositive ma pure immagini in movimento nella grande mostra dedicata alla fotografa americana Nan Goldin. Una retrospettiva che fa il punto della sua carriera e che, con un po’ di pazienza, sarà possibile visitare anche in Italia.
Amsterdam
Dal 7 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024
Pochi giorni fa Nan Goldin ha compiuto 70 anni. Un momento nodale sia nella vita di un individuo, sia nella carriera di un artista. Tra i regali che devono averle fatto più piacere c’è sicuramente la retrospettiva intitolata This Will Not End Well, una personale suddivisa in sei sezioni che dopo essere partita dal Moderna Museet di Stoccolma si sposta ora allo Stedelijk Museum di Amsterdam e, dopo avere fatto tappa a Berlino, nel 2025 toccherà il Pirelli HangarBicocca di Milano. Si tratta di una mostra importante non solo perché lo Stedelijk è stato fra i primi musei di arte contemporanea a mettere assieme una solida collezione fotografica contenente numerose opere della stessa Goldin, ma anche perché non è stata concepita partendo dall’idea delle immagini fisse bensì dalla lettura dei vari progetti dell’autrice come veri e propri lavori cinematografici. Un approccio che più che essere rivoluzionario è riparativo, dato che l’artista di Washington ma newyorkese di adozione si esprime principalmente attraverso la proiezione di diapositive, terreno di contatto tra la fotografia e il cinema.
Il percorso espositivo di This Will Not End Well
Le sei sezioni della mostra sono dedicate ad altrettanti cicli narrativi realizzati nel corso di vari anni: il celeberrimo The Ballad Of Sexual Dependency (1981-2022), The Other Side (1992-2021), Sisters, Saints And Sibyls (2004-2022), Fire Leap (2010-2022), Sirens (2019-2020) e Memory Lost (2019-2021). Ogni capitolo viene proiettato all’interno di una piccola sala disegnata appositamente dall’architetta libanese Hala Wardé, collaboratrice abituale di Goldin e autrice di uno dei molti testi critici che corredano la pubblicazione monografica edita da Steidl per accompagnare l’esposizione.
Nan Goldin: un ritratto collettivo
Nel corso della propria carriera la fotografa non ha mancato di aggiungere alle sue diapositive immagini d’archivio e spezzoni sonori, ma la sua visione resta fondamentalmente la stessa da oltre quarant’anni. Il suo sguardo punta nella stessa direzione di quello del primo Larry Clark e si sofferma spesso sulle manifestazioni di quello spirito performativo di soggetti anonimi che ha fatto la fortuna di Ryan McGinley, nato quando Goldin stava già muovendo i primi passi nella fotografia e negli ambienti più torbidi di New York. Il centro gravitazionale della sua intera produzione è il ritratto collettivo, generazionale, sentimentale e intimistico.
Per il suo obiettivo hanno posato soprattutto i suoi amici e gli sconosciuti che con loro – e con lei – hanno condiviso uno stile di vita spesso segnato dalla dipendenza da droghe e alcool, dalla violenza fisica, dall’emarginazione sociale, dall’epidemia di AIDS degli anni Ottanta e Novanta. Persone, molte ormai morte, che potevano contare sul sostegno non di una famiglia biologica ma di altri che vivevano nelle stesse condizioni di precarietà permanente; volti che sarebbero scomparsi se Goldin non avesse deciso di assumersi l’incarico di scrivere un diario pure per conto loro, come nella migliore tradizione del reportage sociale. Solo che nel suo caso l’atteggiamento non è stato quello del sociologo distaccato bensì quello di chi è partecipe in prima persona di ciò che documenta.
Dal coinvolgimento personale alla fondazione di P.A.I.N.
Dunque a sottendere i suoi lavori non è stata l’aspirazione di emulare per immagini la poesia confessionale in voga negli USA quando Goldin era ancora bambina, e nemmeno il tentativo di sollecitare il voyeurismo di coloro che mai avrebbero messo piede nei bassi fondi della Grande Mela. Il suo coinvolgimento era ed è tuttora personale ma con la consapevolezza che la sua biografia è un paradigma che si ripete in svariate declinazioni anziché un caso unico. Anche per questa ragione nel 2017 ha fondato l’associazione P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now), che ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla dipendenza dagli oppioidi e sul ruolo che ha avuto nel favorirla un medicinale specifico, l’Oxycontin commercializzato dalla Purdue Pharma di proprietà della famiglia Sackler. Una storia raccontata in Memory Lost e nel documentario All The Beauty And The Bloodshed di Laura Poitras, lungometraggio su Nan Goldin e premiato nel 2022 con il leone d’Oro al festival del cinema di Venezia.
This Will Not End Well
This Will Not End Well
- Stedelijk Museum, Museumplein, 10 – Amsterdam
- dal 7 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024
- tutti i giorni 10-18
- 22,50 euro; ridotto 10 euro; ingresso gratuito fino a 19 anni
- stedelijk.nl