Da inizio anno il sito web internetassociation.org non si apre più. Era la pagina ufficiale della Internet Association, gruppo di lobbying basato a Washington, D.C, fondato nel 2012 sotto la spinta delle maggiori dotcom statunitensi, come Google, Amazon, Facebook, eBay.
Negli USA l’attività di lobbying è legale e la IA aveva come scopo principale quello di esercitare pressione sul Congresso (oltre che su altre istituzioni nazionali e finanche sui governi di altri Paesi) in merito a questioni normative e di governance dell’Internet, promuovendo, fra i tanti, i princìpi di neutralità della rete, dell’economia condivisa, della salvaguardia della privacy e del copyright; l’associazione realizzava anche studi sulla web economy. All’iniziativa aderirono nuovi membri (come si evince dai loghi nell’immagine che accompagna queste note): per esempio Microsoft, Airbnb, Linkedin, PayPal o Netflix.
Nel frattempo la IA apriva succursali negli USA e anche nel Regno Unito. Tutto molto bello, anche perché l’unione fa la forza e questo vale pure per i giganti che – mentre guidavano quella rivoluzione partita dall’informazione e dilagata in qualsiasi ambito della vita politica, economica e sociale – sempre più di frequente sono entrati nel mirino dell’antitrust. Finché le mutevoli dinamiche della rete sono riuscite a produrre divergenze fra gli stessi membri dell’associazione, con pesanti segnali di indebolimento rappresentati, l’anno scorso, dalla defezione di compagnie del calibro di Microsoft e di Uber.
Le conseguenze sulle politiche interne e sugli apporti economici hanno così fatto apparire, ironia della sorte, non più al passo coi tempi un ente che nell’ultimo decennio ha avuto un ruolo determinante nel disegnare la frontiera del progresso. La spina è stata staccata a metà dicembre 2021, e il bello è che in Internet e sui media tradizionali questo accadimento ha avuto una risonanza prodigiosamente scarsa.