In The Enchanted Ones (Kehrer, 2025) Stephanie Pommez ci racconta di un luogo di vita palpitante, ma anche della dimensione mitica delle sue leggende, l’Amazzonia brasiliana. Sulle sponde dei suoi fiumi vive la comunità dei ribeirinhos, con le sue storie e le sue credenze ancestrali. Pommez ci immerge nella loro vita e nelle loro tradizioni, concentrandosi su una figura specifica che anima queste terre: l’ostetrica. Inevitabilmente associata al concetto di vita, la levatrice rappresenta un contatto tra due mondi, un’entità emblematica che la fotografa segue in ogni momento del suo lavoro e nei suoi viaggi tra una casa e l’altra. Le ambientazioni e i soggetti che Pommez ci mostra sono aggrovigliati in un magma di realtà e magia, di presenze fantasmatiche e di momenti carichi della vivida concretezza di un parto.
Abbiamo intervistato l’autrice per farci raccontare del suo nuovo progetto.
Come sei venuta a conoscenza della storia e della realtà dei ribeirinhos, gli abitanti dei fiumi dell'Amazzonia brasiliana? Chi sono?
Ho trascorso quattro anni, a intermittenza, fotografando i ribeirinhos, circa vent’anni fa. All’epoca vivevo a New York e lavoravo come assistente freelance per fotografi e registi, richiedevo sovvenzioni e poi tornavo in Amazzonia per un paio di mesi, documentando la vita quotidiana e il lavoro delle ostetriche tradizionali. Ho viaggiato attraverso diversi Stati per lunghi periodi, spinta dalla curiosità e dall’interesse a raccontare la storia delle comunità di ribeirinhos (abitanti dei fiumi), in particolare quella delle donne.
La foresta pluviale amazzonica si estende per circa 5,5 milioni di chilometri quadrati, dunque è più grande dell’Unione Europea, la cui superficie misura circa 4,2 milioni di chilometri quadrati. Questo immenso territorio vanta una biodiversità vibrante e ospita anche diverse culture.
Tra queste culture ci sono i ribeirinhos, le cui case a volte si trovano lungo i fiumi e gli affluenti, chiamati igarapes, a volte in piccoli villaggi e a volte in città più grandi. Le loro abitazioni sono semplici, spesso composte da una o due stanze, dove le amache vengono tirate fuori di notte e appese lungo le pareti durante il giorno. Si tratta in genere di famiglie composte da sei o più persone, che comprendono diverse generazioni.
I ribeirinhos dell’Amazzonia hanno una propria cultura, un intreccio di conoscenze e tradizioni provenienti da diverse origini: indigene, afro-brasiliane e portoghesi. Il fiume svolge un ruolo centrale nella loro vita sociale ed economica, plasmando la loro cultura e le loro tradizioni. Crescendo in Brasile, ho sentito spesso parlare dei ribeirinhos, ma spesso in relazione agli uomini, in particolare ad attivisti ambientalisti ed eroi come Chico Mendes. Ero curiosa di sapere chi fossero le donne.
Perché ti sei focalizzata specificatamente sulle figure delle levatrici?
Il progetto è partito da un’ampia prospettiva e mi sono concentrata sulle ostetriche e sul loro ruolo. Si distinguono come custodi della vita, ma anche come custodi della medicina tradizionale e della cultura locale, collegando case e comunità attraverso i loro viaggi, visitando le donne incinte e assistendo ai parti. Seguendole durante quelle visite e assistendo, io stessa, ai parti, ho iniziato a scoprire un altro lato di queste donne incredibili che accompagnano la vita dentro e fuori dal mondo: la loro dote di narratrici. Tra le storie che tramandano e raccontano ci sono anche i miti degli encantados, entità che vivono nel mondo incantato sottomarino dei fiumi o nelle foreste e possono trasformarsi in esseri umani.
Come il dialogo tra realtà e leggenda lo hai tradotto nell’estetica del tuo progetto?
Gli anni trascorsi a lavorare a questo progetto, sia sul campo che in seguito, sono culminati in un progetto diviso in due parti: Traditional Midwives, presentato a Visa Pour L’Image e diffuso in diverse pubblicazioni e, ora, The Enchanted Ones, un tentativo di offrire un altro modo di vedere e comprendere un luogo in cui il reale e l’immaginario non sono separati, ma parte di un’unica esperienza. In questo mondo, il tempo non scorre in linea retta. Piuttosto, i miti propongono una pluralità di tempi paralleli e interconnessi, che esistono l’uno grazie all’altro. Questi miti parlano della profonda interconnessione di tutte le cose all’interno della rete della vita, qui, nella foresta amazzonica.
Per rappresentare o evocare queste storie condivise oralmente, l’approccio a The Enchanted Ones è stato quello di creare un’esperienza visiva e sensoriale che trasmettesse la sensazione di fluttuazione.
Il libro affonda le sue radici nell’esperienza documentaria, ma si immerge nell’immaginario dall’inizio alla fine. La copertina raffigura una scena tranquilla all’interno di una casa, con una bambina che tiene in grembo una scimmietta e la luce che filtra dalla finestra. Quella luce diventa una guida per tutto il libro, una presenza effimera che appare e scompare, come un fantasma, una storia o un ricordo. La sovrapposizione di un occhio chiuso sul fiume, la vite che ricorda un cordone ombelicale, ci trascinano in un mondo diverso dove inizia il viaggio. La storia si sviluppa attraverso sussurri, non grida, espressi attraverso la scelta del font e del colore.
Ci sono pagine trasparenti, sovrapposizioni e descrizioni che evocano la sensazione di storie ricordate a metà, per frammenti e impressioni, e che mirano a creare un senso del tempo che si ripiega su sé stesso e dell’interconnessione tra il personale, il collettivo e la ripetizione dei miti.
La carta rosa cipria, dopo la copertina, evoca un tono fiabesco, una morbidezza che contrasta con le correnti sotterranee più profonde delle storie. Il colore è anche un riferimento al ‘boto’, che è probabilmente la più nota tra le creature mitologiche dell’Amazzonia, chiamate “encantados’. Il boto è un delfino di fiume originario dell’Amazzonia che si trasforma in un bell’uomo, o a volte una donna, che emerge dall’acqua per sedurre gli umani.
La carta scelta, la granulosità analogica e i contrasti tra neri intensi e luce creano un’esperienza sensoriale di intimità tra il reale e l’irreale. La quarta di copertina riporta il lettore all’interno: la texture delle assi di legno di una casa dove si condividono storie. Infine, la dimensione quasi quadrata allontana il racconto dalla realtà o dallo stile documentaristico, che spesso viene presentato in forma rettangolare.
Il progetto è un lavoro in analogico. Perché questa scelta?
Durante il mio primo viaggio nella regione, ho utilizzato pellicole a colori. Tuttavia, ho subito capito che, per la storia che cercavo di raccontare, il colore diventava una distrazione, soprattutto durante le scene del parto. Ero anche attratta da un linguaggio visivo che potesse elevare le ostetriche, ritraendole come figure senza tempo, data la tradizione che sta alla base del loro lavoro e la loro posizione nel ciclo della vita.
La fotografia in bianco e nero ha svolto un ruolo essenziale nell’interpretazione dei miti e della presenza di esseri ultraterreni. Infine, la granulosità della pellicola analogica e la sua qualità pittorica hanno arricchito l’esperienza sensoriale che cercavo, sfumando i confini tra reale e irreale.
Il mondo dei bambini è una realtà su cui ti soffermi spesso nel progetto. Perché?
La presenza di bambini nelle fotografie è nata in modo del tutto naturale, anche se mi sono concentrata principalmente su donne, spesso di generazioni diverse, il cui lavoro di ostetriche e assistenti familiari collegava intere comunità. Poiché molte delle donne visitate erano in età fertile e poiché le famiglie allargate spesso vivevano insieme o nelle vicinanze, le visite si svolgevano spesso nel cuore della casa, dove i bambini erano parte integrante del ritmo quotidiano e spesso partecipavano attivamente alle faccende domestiche.
Ulteriori fotografie e informazioni sul lavoro di Stephanie Pommez sono disponibili sul sito della fotografa: stephaniepommez.com.
Titolo The Enchanted Ones
Fotografie di Stephanie Pommez
Formato 24x26cm
Pagine 128
Prezzo 48 euro
Lingua inglese
Editore Kehrer Verlag Heidelberg
Data pubblicazione maggio 2025
ISBN 978-3969001745
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