Spesso gli artisti di una generazione riprendono un discorso interrotto da coloro che li hanno preceduti. Ma nel caso di Karl Blossfeldt e Jim Dine sembra piuttosto che il secondo abbia messo mano all’opera del suo predecessore per iniettare nuova linfa vitale alla perfezione scultorea della sua flora.
Circa un secolo fa in Germania si sviluppava una corrente artistica e di pensiero chiamata Nuova Oggettività, un movimento che si poneva in contrapposizione all’Espressionismo avendo come scopo principale una rappresentazione appunto oggettiva della realtà, scevra da interferenze romantiche o metafisiche. Durò pochi anni, ma ai suoi principi di base sono riconducibili le opere di due tra i fotografi tedeschi più importanti del Novecento: August Sander e Karl Blossfeldt. Come si sa il primo è celebre per i suoi ritratti di diverse tipologie di cittadini della Repubblica di Weimar, mentre il secondo lo è per i particolari di fiori e piante di vario genere che realizzò a supporto della sua attività di professore di arte. Della rilevanza di Sander si è già discusso nel numero 157 di FOTO Cult, ma una mostra in corso a Colonia sottolinea come anche l’opera di Blossfeldt abbia ancora una sua valenza, e lo fa mettendola in relazione a un ciclo di fotografie dell’artista americano Jim Dine.
Trenta X
Per produrre le sue immagini, Blossfeldt utilizzava apparecchi fotografici di propria costruzione che montavano obiettivi in grado di ingrandire il soggetto fino a trenta volte. In tal modo riusciva a carpire anche i minimi dettagli di foglie, fiori e germogli, potendo così individuare differenze ed elementi in comune, caratteristiche distintive e somiglianze che delineavano quelle che Bernd e Hilla Becher (che della Nuova Oggettività furono gli eredi più illustri) avrebbero definito tipologie. E visto che sono entrati in gioco i coniugi tedeschi famosi per le griglie di vedute di edifici industriali e costruzioni di varia natura e funzione, vale la pena notare come le piante di Blossfeldt spesso ricordino di più la fotografia di architettura che la scienza botanica. Secche a tal punto da sembrare pietrificate, perfettamente immobili contro uno sfondo neutro privo di vita, potrebbero essere scambiate per sculture in ferro battuto o per quei particolari dello stile gotico tanto celebrati dall’inglese John Ruskin. Molto probabilmente capita più spesso di riconoscerne alcune sul capitello di una colonna o sui fregi di un cornicione in qualche città d’arte che nel giardino di casa. Altre si manifestano più frequentemente nella ringhiera arrugginita di una vecchia scala o di un balcone pericolante che in un bosco di montagna. Ma ciò non deve indurre a pensare che il fotografo volesse trascendere il regno vegetale per alludere ad altro, magari di natura spirituale.
Scientifico
In realtà la prassi di isolare le piante dal contesto era semplicemente un modo per delinearne meglio i contorni, per gettare uno sguardo più oggettivo possibile sulle loro forme e catturarne la perfezione con una precisione degna di un progetto tecnico. Anzi, l’approccio di Blossfeldt era talmente basato sulla ricerca scientifica che talvolta si ha l’impressione che utilizzasse segmenti di tralci e agglomerati di fiori per dimostrare come anche madre natura fosse governata da leggi matematiche che si manifestavano in curve perfette e frattali tridimensionali. Infatti, se si vuole trovare un parallelismo tra il fotografo tedesco e qualche suo collega, uno dei primi nomi che saltano in mente è quello dell’americano Wilson Alwyn Bentley, passato alla storia per avere catturato la regolarità geometrica dei cristalli di neve. Entrambi penetrarono la natura tanto in profondità da dimostrare che non c’era bisogno di ricorrere a slanci mistici per raccontarne le meraviglie. Essa era autosufficiente, in grado di affascinare gli uomini grazie alle sue stesse leggi, anche in mancanza di un intervento divino.
Ritornare
Con le sue eliografie (immagini realizzate con una tecnica di stampa che unisce fotografia e incisione), Jim Dine sembra voler fare un passo indietro rispetto a Blossfeldt per ritornare idealmente ai luoghi da cui tutto è cominciato, i giardini in cui il fotografo tedesco raccolse gli esemplari finiti sotto i suoi obiettivi. È come se l’americano, nato quando Blossfeldt era già scomparso da tre anni, prendesse con le proprie mani piante e fiori e li ripiantasse nella terra non solo per farli tornare a vivere, ma anche per ricontestualizzarli e reinserirli in un ambiente che restituisca loro un senso antico, precedente a qualsiasi analisi scientifica o rilettura artistica. Ricollocata sullo sfondo di giardini di Los Angeles, Berlino e New York, la flora di Dine cessa di essere un catalogo di esemplari da erbario isolati tra loro e ridiventa un’unica entità organica che solo l’intervento umano può frazionare.
Quindi, dai dettagli si passa a una visione d’insieme e se nelle immagini di Blossfeldt regnavano la precisione e l’essenzialità quasi minimalista, nelle opere dell’americano spicca il disordine, o meglio la mancanza di pianificazione con cui la vegetazione cresce spontaneamente. Anche quando sono costrette dentro a un vaso, le piante di Dine sembrano spostarsi verso i bordi dell’inquadratura come se volessero sottrarsi al tentativo di incasellarle per analizzarle. Così da uno studio distaccato della natura che la pietrificò in un istante interminabile si passa a una sua osservazione che si limita a catturare un momento dei suoi incessanti cicli di vita. E da un approccio scientificamente oggettivo, seppure scaturito da necessità artistiche, si giunge a una posizione di pura contemplazione.
Le fotografie contenute in questo articolo fanno parte della mostra Poetry Of Plants – Photographs By Karl Blossfeldt And Jim Dine
- Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur, Colonia (Germania)
- fino al 21 luglio 2019
- www.sk-kultur.de